Vita Consacrata: identità e missione nella Chiesa

Prefazione al libro di mons. Vincenzo Bertolone sulla “Perfectae caritatis”, a cinquant’anni dalla sua pubblicazione

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Il libro di monsignor Vincenzo Bertolone “Perfectae caritatis, cinquant’anni dopo”  (editore Istante)vuol essere una proposta concreta di come dovrebbe essere vissuto l’anno – a partire dal novembre 2015 – dedicato da Papa Francesco alla vita consacrata.

Monsignor Bertolone mi trova pienamente d’accordo sulla prospettiva fondamentale del suo libro. Infatti, personalmente ho avuto un moto spontaneo di soddisfazione e di gioia, quando ho ricevuto notizia dell’indizione di tale anno per la vita consacrata.

Nello stesso tempo, però, con rammarico, mi sono detto che la vita consacrata non supera ancora la crisi in cui si trova, nonostante mai, nella storia della Chiesa, ci siano stati tanti documenti ben fatti riguardanti la vita consacrata, come lo sono il cap. VI della Lumen gentium, il Decreto Perfectae caritatis e l’Esortazione apostolica postsinodale Vita consecrata, ai quali se ne aggiungono diversi altri della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

La crisi non è determinata solo dalla carenza di vocazioni, ma anche, a mio parere, dalla perdita, o almeno confusione, circa la propria identità e missione nella Chiesa da parte degli stessi consacrati. D’altra parte, la prima cosa è il risultato della seconda.

Il rinnovamento, auspicato dal Concilio ecumenico Vaticano II e incoraggiato dai tanti documenti di cui si è detto, spesso si è ridotto a dei fatti esterni, invece che puntare, come si dovrebbe, ad un rinnovamento interiore, condotto dallo Spirito Santo, che conduce ad un’assimilazione del cuore a Cristo vergine, povero e obbediente; rinnovamento che non può che tradursi in un austero stile di vita, che diventi testimonianza visibile nell’attualità della Chiesa e della società in cui viviamo. 

Possiamo anche solo prendere in considerazione la società cosiddetta “occidentale”, che non solo respinge Dio e tutto ciò che a lui si riferisce apertamente, ma continuamente lo respinge in una maniera ancora più insidiosa, volendolo relegare sempre più nel privato, non tollerando alcun segno esteriore e visibile che ne riveli la presenza in questo mondo.

Questo è l’effetto tipico in una società secolaristica, in cui Dio è stato come nascosto e al suo posto sono subentrati soltanto i valori di questo mondo. Ora, il vero segno religioso, se è significante, non può che rimandare ad una realtà significata, Dio; chi rifiuta Dio o lo eclissa più o meno consapevolmente non accetta che il mondo venga indirizzato, anche silenziosamente, a Dio.

Allora, la vita religiosa, anche proprio con la sua visibilità, dovrebbe essere una sfida operante e in atto al tipo di società in cui viviamo, che provocatoriamente contesta l’autenticità dell’amore, preferendovi il puro piacere immediato; la povertà, sostituendovi la bramosia del possesso; l’obbedienza, confondendola con l’affermazione del potere e solamente dei diritti e non dei doveri, sia verso se stessi che verso gli altri. I membri degli Istituti secolari dovrebbero altrettanto porsi come una sfida nella provocazione, pur senza alcun segno visibile, per il loro stile di vita autenticamente evangelico, testimoniato negli ambienti in cui sono inseriti.

Quindi, penso che quest’anno “speciale” dovrebbe essere, innanzitutto per i consacrati stessi, un anno di presa di coscienza più profonda di quello che significa la consacrazione che di tali persone ha fatto Dio, nonché della risposta di consacrazione di se stessi che essi hanno liberamente fatto a Dio nella Chiesa.

La consacrazione, nel cristianesimo, ha sempre il senso di un’appartenenza a Dio, non per dei particolari atti esterni che si devono compiere, per l’offerta della propria vita, nell’attuazione quotidiana di ciò che è richiesto dalla propria vocazione specifica, in unione all’offerta che Cristo ha fatto di se stesso al Padre, per la salvezza di tutti.

Cristo è stato il segno supremo dell’amore di Dio per tutti noi nel silenzio della croce e il primo effetto di ciò è stata la fede, prima del ladro crocifisso con Lui, poi del centurione, che era stato il Suo carnefice, perché l’hanno visto morire amando.

Il rinnovamento, allora, dovrebbe essere innanzitutto nella preghiera quotidiana alla quale i consacrati dovrebbero essere formati, in modo che essa conduca ad un rapporto personale con Cristo e conformante con Lui, che potrà essere la base solida per le altre preghiere, anche quella liturgica.

Ciò richiede dei formatori, soprattutto dei maestri e maestre di noviziato, che siano maestri e maestre di preghiera, nonché persone di discernimento, quindi formati specificamente per il loro compito.

Gli esercizi spirituali annuali non dovrebbero consistere in lunghe prediche, che inculcano dei contenuti più o meno moraleggianti o edificanti, ma proprio il tempo di unione con il Signore, per l’apprendimento esperienziale di un efficace metodo di preghiera, sotto la guida di chi accompagna nell’esperienza di Dio.

L’unione con Dio è operata dallo Spirito Santo, non dalle prediche o dalle pie esortazioni, quindi è da lasciare lungo tempo e ampio spazio all’azione dello Spirito in quelle esercitazioni nello Spirito in cui si articolano queste pratiche annuali.

Solo un’autentica preghiera di questo tipo, infatti, può essere il luogo per un discernimento nello Spirito sulle vie da intraprendere per il rinnovamento autentico, e non solo esteriore, dell’Istituto, nella fedeltà al carisma originario e nel suo adattamento per renderlo vivo ed efficace nell’attualità.

Nello stesso tempo, questo anno dovrebbe essere propizio anche per i Vescovi, affinché facciano proprio l’insegnamento della Lumen gentium, chiarificato ed esplicitato dall’Esortazione apostolica Vita consecrata, quindi considerino e valorizzino la vita consacrata per quello che è nella Chiesa, ovvero per la sua essenzialità alla Chiesa, e non solo per quel vantaggio che viene alla diocesi per ciò che gli Istituti in essa operano.

I Vescovi dovrebbero prendere coscienza della necessità di promuovere una formazione nei seminari, che porti ad una conoscenza di che cosa è la vita consacrata, in vista sia di una maggiore libertà nel discernimento della volontà di Dio, da parte dei seminaristi, sia in vista della collaborazione futura tra il clero diocesano e i membri degli Istituti.

Evidentemente anche gli Istituti di vita consacrata debbono rendersi conto che, durante la formazione, debbono programmare gli strumenti adatti per una conoscenza della Chiesa universale e di quella particolare e della peculiare funzione e responsabilità che hanno il Vescovo diocesano, successore degli Apostoli, e il collegio diocesano dei presbiteri.

I Vescovi, poi, dovrebbero sottoporre a serio e responsabile discernimento le nuove fondazioni, che talvolta si presentano con caratteri sconcertanti e, forse, un po’ stravaganti, ma che invece, talvolta, vengono approvate in modo piuttosto affrettato, magari soltanto per il vantaggio pastorale che in modo immediato possono offrire alla diocesi.

Sarebbe molto deludente se tale anno si riducesse ad atti celebrativi, cioè a convegni e giornate di studio, dove vari organismi fanno a gara a chi, per primo, li programma e li realizza, oppure a qualche altro documento ufficiale, che, anche ben fatto, si aggiungerebbe a quelli che già esistono, ma niente cambierebbe nella vita. Non credo che questo corrisponderebbe all’intenzione di Papa Francesco.

In questa prospettiva, mi sembra opportuno questo saggio di monsignor Bertolone che, nella prima parte, pone delle domande molto stimolanti, che certamente non lasciano indifferente il lettore, specialmente se è una persona consacrata.

Anche utile è la presentazione dei filoni dottrinali principali che si ritrovano nell’Esortazione aposto
lica Vita consecrata, presentazione che mostra la ricchezza di essa, che spesso non è stata colta e che è valida ancora attualmente, per cui non si vede la necessità di un ulteriore documento della Santa Sede.

Alla fine, viene concretamente proposta una larga consultazione, nella quale dovrebbero essere coinvolti innanzitutto i consacrati, oltre che esperti. Certamente l’anno per la vita consacrata non sarebbe solo un anno celebrativo, se effettivamente gli istituti di vita consacrata s’impegnassero in un serio discernimento, volto alla verifica di che cosa del Concilio e della stessa Esortazione sia entrato nella loro vita e di che cosa ritengano che sarebbe da fare perché quanto proposto, da vari documenti della Santa Sede, diventi vita e conduca ad un autentico rinnovamento interiore nella conformazione a Cristo secondo i diversi carismi.

Certamente, soprattutto per il fatto che i consacrati sono oberati non solo da molto lavoro, ma anche talvolta da riunioni comunitarie che risultano inutili, non è facile organizzare consultazioni che richiedano un serio impegno e non si riducano ad un superficiale scambio di idee.

Dovrebbero essere i superiori a saper motivare tali riunioni e a ben prepararle. Ma qui si deve riconoscere con sincerità un’altra difficoltà: talvolta sono stati proprio i superiori a disattendere i documenti della Santa Sede e, quindi, a non aver saputo promuovere un rinnovamento spiritualmente fondato.

Qui ritorna il fatto che tutto si gioca sul saper cogliere, in tale anno per la vita consacrata, sia da parte dei superiori che degli altri membri degli Istituti, un’occasione di profondo esame di coscienza e quindi una possibilità di conversione per una presenza efficace nella società di oggi.

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Gianfranco Ghirlanda

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