Una Chiesa in stato permanente di missione

Nel video messaggio ai partecipanti del pellegrinaggio al Santuario messicano di Guadalupe, il Papa ricorda che una Chiesa chiusa in sè stessa “fa indigestione e si debilita”

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“La Chiesa in stato permanente di missione”. Papa Francesco è partito da questa immagine per salutare in un video messaggio i partecipanti al Pellegrinaggio-Incontro presso il Santuario messicano di Nostra Signora di Guadalupe, in corso fino al 19 novembre.  Indetto per l’Anno della fede dalla Pontificia Commissione per l’America Latina con i Cavalieri di Colombo e l’Istituto Superiore di Studi di Guadalupe, l’evento è dedicato al tema: “Nostra Signora di Guadalupe, stella della nuova evangelizzazione nel continente americano“.

Il primo punto affrontato dal Santo Padre è una Chiesa che si muova nell’ampio contesto di una “missionarietà generalizzata”, affinché “tutta l’attività abituale delle Chiese particolari abbia un carattere missionario”. Più che un’attività, ha osservato il Pontefice, l’uscita missionaria “è il paradigma di tutta l’azione pastorale”. Perché “l’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, suppone un uscire da se stessi, un camminare e seminare sempre di nuovo, sempre più in là”.

“È vitale per la Chiesa non chiudersi – ha proseguito il Papa – non sentirsi già soddisfatta e sicura con quel che ha raggiunto”. Se succede questo, ha avvertito, “la Chiesa si ammala di abbondanza immaginaria, di abbondanza superflua, in certo modo ‘fa indigestione’ e si debilita”. Come cura e prevenzione, quindi, essa necessita di “uscire dalla propria comunità e avere l’audacia di arrivare alle periferie esistenziali che hanno bisogno di sentire la vicinanza di Dio”.

Questo è l’obiettivo che deve orientare l’attività pastorale e l’impulso missionario: “Arrivare a tutti, senza escludere nessuno e tenendo in gran considerazione le circostanze di ognuno”. Non si tratta, però – ha precisato il Santo Padre – “di andare come chi impone un nuovo obbligo, come chi si limita al rimprovero o al lamento dinanzi a quel che si considera imperfetto o insufficiente”. “Il compito evangelizzatore – ha sottolineato – esige molta pazienza, cura il grano e non perde la pace per la presenza della zizzania”. E “sa anche presentare il messaggio cristiano in maniera serena e graduale, con il profumo del Vangelo, come faceva il Signore”.

Nell’evangelizzazione, poi, bisogna privilegiare “l’essenziale e più necessario”, ovvero “la bellezza dell’amore di Dio che ci parla in Cristo morto e risorto”, ha affermato il Papa. Al contempo, ci si deve sforzare a trovare metodi creativi per non “rimanere rinchiusi nel luogo comune del si è fatto sempre così“.

Guida della pastorale nella Chiesa particolare è il Vescovo, ha ricordato Bergoglio. Egli svolge questo ruolo “come il pastore che conosce per nome le sue pecore, le guida con vicinanza, con tenerezza, con pazienza, manifestando effettivamente la maternità della Chiesa e la misericordia di Dio”. L’atteggiamento del “vero pastore” non è quindi “quello del principe o del mero funzionario attento principalmente alla disciplina, alle regole, ai meccanismi organizzativi”. Ciò – ha ammonito il Papa – porterebbe “ad una pastorale distante dalla gente, incapace di favorire ed ottenere l’incontro con Cristo e l’incontro con i fratelli”.

Il popolo di Dio, invece, “ha bisogno che il Vescovo vegli per lui, prendendosi cura soprattutto di quello che lo mantiene unito e promuove la speranza nei cuori. Ha bisogno che il Vescovo sappia discernere, senza spegnerlo, il soffio dello Spirito Santo che viene da dove vuole, per il bene della Chiesa e la sua missione nel mondo”. E questi atteggiamenti del Vescovo – ha soggiunto il Successore di Pietro – devono “essere partecipati molto profondamente dagli altri agenti di pastorale, soprattutto dai presbiteri”. Perché – ha avvertito Papa Francesco – è grande in tal contesto “la tentazione del clericalismo”. Esso fa “tanto danno fa alla Chiesa in America Latina” ed “è un ostacolo per lo sviluppo della maturità e della responsabilità cristiana di buona parte del laicato”.

“Il clericalismo implica un atteggiamento autoreferenziale”, ha spiegato il Santo Padre, che “impoverisce la proiezione verso l’incontro del Signore”. Diventa “urgente” allora, formare ministri “che sappiano infiammare il cuore della gente, camminare con loro, entrare in dialogo con le sue speranze ed i suoi timori”. “Questo lavoro, i Vescovi non lo possono delegare”, ha detto Bergoglio, ma assumerlo “come qualcosa di fondamentale per la vita della Chiesa, senza risparmiare sforzi, attenzioni e accompagnamento”.

Tuttavia, una formazione “di qualità” richiede “strutture solide e durature che preparino ad affrontare le sfide dei nostri giorni”; e la cultura odierna “esige una formazione seria, bene organizzata”. Ma, ha domandato il Papa: “Abbiamo la capacità autocritica sufficiente per valutare i risultati di seminari molto piccoli, con carenza di personale formativo sufficiente?”.

Le ultime riflessioni, Papa Francesco le ha dedicate alla vita consacrata, che ha definito “un fermento di quello che vuole il Signore”. Ha poi esortato consacrati e consacrate ad essere “fedeli al carisma ricevuto”, perché “nel loro servizio alla Santa Madre Chiesa gerarchica, non lascino svanire quella grazia che lo Spirito Santo diede ai loro fondatori e che devono trasmettere in tutta la sua integrità”. “Andate avanti con questa fedeltà creativa al carisma ricevuto per servire la Chiesa” ha quindi incoraggiato.

Ricordando infine che chi ha ricevuto il Battesimo è stato trasformato in discepolo del Signore, il Papa ha affermato: “Ogni discepolo è, a sua volta, missionario”, come diceva Benedetto XVI: Sono “due facce della stessa medaglia”. “Vi prego – ha quindi implorato Francesco – come padre e fratello in Gesù Cristo, che vi facciate carico della fede che avete ricevuto nel Battesimo”. E, “come fecero la mamma e la nonna di Timoteo, trasmettiate la fede ai vostri figli e nipoti, e non solo a loro”.

“Questo tesoro della fede non è dato per uso personale. È per donarlo, per trasmetterlo, e così crescerà” ha concluso il Pontefice, aggiungendo: “Fate conoscere il nome di Gesù. E se fate questo, non vi meravigliate che in pieno inverno fioriscano le rose di Castilla. Perché sia Gesù sia noi abbiamo la stessa Madre!”.

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ZENIT Staff

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