Trento

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Spiritualità e canto in Nedda Falzolgher

Un caso letterario da riscoprire nell’ambito della poesia d’ispirazione cristiana del ‘900

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In questa “casa a specchio sul fiume / così sola nell’urlo delle piene” visse la sua breve vita Nedda Falzolgher, col “corpo segnato in croce” e “il canto di allodola pura”. Queste parole sono incise sulla targa commemorativa che il Comune di Trento volle dedicare alla poetessa Nedda Falzolgher (1906-1956), per onorarne la memoria nel centenario della nascita.

“Il caso di Nedda Falzolgher resta, per i più, ancora da scoprire”, scriveva nel 1966 il grande critico e poeta Alberto Frattini. “Eppure è una voce che meriterebbe d’essere ascoltata, per la purezza e la limpidezza di accenti in cui l’angoscia di una vita stroncata nell’infanzia dal male fisico sa farsi toccante elegia, equilibrando l’ansia disperata d’amore in placata letizia d’ascesi e d’offerta, entro un dolceamaro colloquio tra la creatura e il Creatore che solo può suggerirle parole di verità e di salvezza”.

T’amo, Signore, per la muta passione delle rose.
T’amo per le cose della vita leggere,
le cose che sognano i morti la sera
dentro la terra calda,
sotto il limpido brivido degli astri.
Ma più t’amo, Signore, per la misericordia
delle tue grandi campane
che portano nel vento
verso l’anima della sera
la nostra povera preghiera.

*

Nedda Falzolgher appartiene, in effetti, a quel novero di poeti che non hanno avuto grandi riconoscimenti dalla critica, ma che purtuttavia hanno lasciato un corpus di opere di indiscusso valore artistico. La sua sfortunata vicenda umana (fu colpita dalla poliomielite all’età di cinque anni rimanendo paralizzata alle gambe e al braccio destro) le impedì una partecipazione attiva alla società letteraria del suo tempo, nondimeno si dedicò con entusiasmo allo studio dei classici e riuscì a riunire nella sua casa affacciata sull’Adige un piccolo cenacolo di amici e poeti per discutere di letteratura, filosofia e argomenti culturali.

Poi venne la guerra, la casa sul fiume fu danneggiata dalle bombe, e quel piccolo gruppo si sciolse. Dopo la morte dell’amatissima madre (che l’aveva sempre incoraggiata nella sua spontanea vocazione poetica), Nedda rimase sola con il padre e con la fedele governante Adele, la quale, in un articolo a firma di Renzo Francescotti pubblicato nel 2006 sul quotidiano L’Adige, così la ricorda: “Era un creatura angelica. Aveva un volto molto bello ed una voce melodiosa aperta al dialogo con familiari ed amici. Era lei, paradossalmente, ad offrire loro conforto: lei, che fra tanti più fortunati che si piangono addosso, in nessuno di suoi versi alluse mai alla sua condizione fisica…”.

Passano gli anni e la vita di Nedda Falzolgher continua ad esprimersi attraverso la scrittura. Attraverso quei versi che vergava con la mano sinistra prediligendo l’inchiostro verde, e che portavano alla luce il suo mondo di emozioni in delicata sintonia con l’ambiente naturale:

…Che ansia, allodola pura,
questo palpito d’angelo sommerso
che ha smarrito la vena dei venti;
sul respiro del mondo senti
ancora tutte le stelle
mutar la tua voce in chiarore…

*

Superati i quarant’anni, Nedda Falzolgher, che aveva sino ad allora pubblicato soltanto su alcune antologie, decise di raccogliere le sue liriche in volume. Il libro, intitolato Fin dove il polline cade, uscì nel 1949 a cura dell’editore Ubaldini con prefazione del grande critico teatrale Silvio D’Amico (una prefazione procurata dalla famosa attrice Edda Albertini, anch’essa trentina, che aveva fatto parte del gruppo della “casa sul fiume” e aveva conservato con la poetessa un’amicizia affettuosa). Non furono in molti ad accorgersene: tra questi lo scrittore Bruno Cicognani e il già citato Alberto Frattini. Ma, al di là della disattenzione della critica, sono versi che esprimono una profonda ansia spirituale; versi che affidano al canto un dolore centellinato nelle sue pieghe più amare, per sublimarlo in una superiore intuizione di vita.

Ora tu vedi queste mie canzoni
simili tanto alle foglie che sperdi,
amaro Iddio del silenzio.
E sai che non hanno feste di sole
perché di tutto il sole tu inondi
la Terra dove cammina l’amore.
Ascolta ancora, Dio,
le sorgenti, e perdona,
e nella mano portaci, col seme
delle stagioni innocenti.

*

Nedda morì giovane, ad appena cinquant’anni. Dopo la sua morte, il padre affidò a Franco Bertoldi, docente universitario a Milano e Trento (anche lui del gruppo degli amici della “casa sul fiume”), l’incarico di ordinare e pubblicare in una antologia le poesie della Falzolgher. Il volume uscì nel 1957 per i tipi dell’editore Rebellato e fu intitolato Il libro di Nil (il soprannome con cui Nedda veniva chiamata dagli amici). In quest’opera postuma c’è una sezione di poesie intitolata Ritmi dell’infinito, dalla quale proponiamo alcuni versi, rivelatori di uno stato d’animo contraddittorio: sentimento della vita che sfugge e sofferenza per ciò che non si è vissuto…

Stasera io sono stanca
delle tue mani lontane;
stanca di grandi stelle disumane,
com’è sazia l’agnella di erbe amare…

*

Trascorreranno ancora molti anni prima che la critica inizi ad accorgersi dell’opera della poetessa trentina. Nel 1978, edita dal Comune di Trento, uscì l’antologia Nedda Falzolgher, poesie e prose (1935-1952). Tre anni dopo, il noto critico letterario Vittoriano Esposito pubblicò un’importante monografia intitolata Il caso letterario di Nedda Falzolgher. Nel 1986 fu la volta di Marcella Uffreduzzi, qualificata studiosa della poesia d‘ispirazione cristiana del ‘900, che pubblicò un volume intitolato La casa sull’Adige, comprendente quasi ottanta poesie della Falzolgher, da cui emergono una grande forza interiore, una fede salda seppure inquieta, e una profonda spiritualità.

E oggi? Oggi per fortuna c’è la rete, grande serbatoio di memoria collettiva, dove è possibile rintracciare importanti testimonianze sulla vita e l’opera di Nedda Falzolgher e leggere alcune delle sue raffinate composizioni liriche. Ed è appunto con una di queste composizioni che ci congediamo dai nostri lettori, nella speranza d’aver dato anche noi un piccolo contributo per la riscoperta di una delle più sensibili autrici del ‘900 letterario.

Non ti darò contro il petto dolore
più che il rigoglio delle fronde sciolte.
Dammi tu spazio allora per questa morte:
io non ho solco per vivere
e non ho paradiso per morire;
e sento in me stormire
quest’agonia d’amore,
bionda, contro la zolla che la ignora…

***

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Massimo Nardi

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