«Il miglior investimento? Probabilmente l’educazione. Il miglior investimento infatti è mettere i soldi nel cervello dei figli, nello sviluppo della loro intelligenza, della loro capacità di essere creativi, competenti, adatti al mondo nuovo che si sta aprendo».
Se gli adulti seguissero il consiglio di Piero Angela e investissero qualche soldo in più in educazione, meno sangue e meno lacrime bagnerebbero le nostre strade. Perché ormai di questo si tratta: le carenze educative non sono più solo un fatto culturale – e già la questione sarebbe assai grave e delicata – ma diventano ogni giorno di più problema di ordine pubblico, di osservanza dei più banali principi della convivenza civile, addirittura di sopravvivenza. A Mileto, ad esempio, un quindicenne ha ucciso un coetaneo a colpi di pistola per un commento sgradito sotto una foto pubblicata su facebook. A Reggio Calabria, pochi giorni prima, un giovane pregiudicato aveva ridotto in fin di vita un anziano sacerdote a calci ed a pugni perché aveva osato sgridare lui ed i suoi compagni che giocavano a pallone (a mezzanotte!) davanti alla canonica, urlando e schiamazzando. Ergo: doveva avere una bella lezione.
A parte i singoli episodi, in generale è opportuna, anzi doverosa una riflessione sulla qualità e l’efficacia dell’educazione che le famiglie impartiscono ai figli. Questione non privata e confinata tra le mura domestiche, ma assolutamente di rilevanza pubblica e sociale: il rischio evidente è che la carenza educativa faccia saltare gli equilibri della convivenza e quel che resta (poco!) dell’osservanza delle regole, schiudendo le porte ad un’ordalia di egoismi e prevaricazioni difficile – se non impossibile – da arginare.
Educare è cosa del cuore. Le parole, pur importanti, servono fino a un certo punto. Si educa anzitutto con l’esempio. Dovere di ogni adulto è aiutare i bambini a gestire le emozioni, gli istinti, le sofferenze, il tempo libero, prendendoli per mano fino alla strada giusta, l’unica idonea a renderli felici, sereni, realizzati. Ma ciò accade in pochi casi, giacché i genitori, in genere, non colloquiano più con i figli. È proprio in ciò che essi hanno gravi responsabilità che si sommano alle disattenzioni delle politiche di governo in tema di formazione. E c’è, poi, anche un’altra causa, definita sindrome di Peter Pan, per la quale i genitori rifuggono dell’impersonare il ruolo di educatori, finendo per trasformarsi in coetanei dei figli. E ci sono poi i genitori-sindacalisti, convinti – vestendo i panni di difensori d’ufficio – di poterli difendere dalle insidie (magari inesistenti o presunte), ignorando (spesso volutamente) i pericoli concreti la prole.
Occorrono soluzioni. Sebbene insufficiente, sarebbe un buon inizio quantomeno evitare il ricorso alla retorica, utilizzata quale ennesima attenuante: il mondo va così, adeguarsi è d’obbligo. Ma non è così, non può essere così: la “rete” va sorvegliata. Per chi ritiene che gli uomini siano cattivi perché ad esser cattivi sarebbero i tempi, una risposta c’è. L’ha data secoli fa sant’Agostino: «Vivano bene, gli uomini, ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi».
Monsignor Vincenzo Bertolone è arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace e presidente della Conferenza Episcopale Calabra.
Biblioteca / Pixabay CC0 - andrew_t8, Public Domain
Sos: serve investire in educazione
Le carenze educative non sono più solo un fatto culturale ma diventano ogni giorno di più problema di ordine pubblico