Foto: Alessandro Ginotta

San Vincenzo de’ Paoli: servire il povero è servire Dio

Mons. Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, celebra nel duomo di Torino la messa per il 400° anniversario della fondazione dei Gruppi di Volontariato Vincenziano

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Accanto all’altare maggiore, il ritratto di San Vincenzo de’ Paoli accoglie tutta la Famiglia Vincenziana: la Società di San Vincenzo de’ Paoli, i Missionari di San Vincenzo de’ Paoli, i Gruppi di Volontariato Vincenziano, le Figlie della Carità, le Suore Nazarene, le Suore di Santa Giovanna Antida Thouret, oltre alla la Caritas Diocesana, religiosi e laici che si occupano dell’assistenza. Sono tutti riuniti nella splendida cornice del Duomo di Torino per celebrare la festa del Patrono Universale delle Opere della Carità.
Quest’anno la ricorrenza è sentita in modo particolare, perché cade nel Giubileo della Misericordia ed alle soglie del 400° anniversario della fondazione dei Gruppi di Volontariato Vincenziano.
San Vincenzo de’ Paoli fu cappellano delle galere e apostolo della carità in mezzo ai poveri, i malati ed i sofferenti. Egli ci insegnò ad essere “servitori dei poveri” ed a riconoscere nella presenza dell’altro “povero di intelligenza, povero di beni, povero nella condizione di amore e di vita” il Signore che si rende presente. Perché essere servitori “è un atteggiamento vero di adorazione”. Con queste parole S.E. Mons. Luciano Pacomio, Vescovo di Mondovì, ha introdotto la sua omelia.
Ecco allora che se nel povero noi scorgiamo Dio, si spiega la frase che San Vincenzo rivolgeva alle Figlie della Carità per esortarle: “Se dovete lasciare l’orazione per andare da un malato, fatelo. Il vostro dovere è lasciare tutto per il servizio dei poveri”.
“Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. E’ una grande signora: bisogna fare ciò che comanda. Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcuna timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni”.
Ecco il primato dei poveri: “un primato dell’amore ma che storicamente si attua soltanto e sempre privilegiando la povertà da soccorrere, da consolare e da orientare”. San Giovanni XXIII diceva: “Se volete davvero un futuro, andate con i poveri”. Scegliere i poveri, andare con i poveri, è una scelta d’amore che permette anche di “sciogliersi da tanti peccati”, infatti “come l’acqua estingue il fuoco, così la carità cancella il peccato” (cfr. Sir 3, 29).
L’orgoglio e l’egoismo ci incattiviscono, creano un odio malsano, incapace di avere uno sguardo misericordioso sugli altri e ci rende frantumati, insoddisfatti, incapaci di vivere quella felicità possibile che il Signore, se solo lo volessimo seguire, assicurerebbe a tutti. C’è infatti un modo di amare, specifico ed unico, che è quello di Gesù: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro nella vostra vita” (cfr. Mt 11,25-30).
Il brano del Vangelo proposto dalla Liturgia suggerisce al Vescovo di Mondovì dei precisi interrogativi: “Perché sono infelice? Perché sono scontento? Perché ogni mosca che vola mi fa vedere i limiti delle persone?”. “E’ perché – risponde – non faccio marcia indietro”.
Un po’ come quando “uscendo dal garage dovete retrocedere”, ha commentato con una frase ad effetto: la marcia indietro è “chemioterapizzare orgoglio ed egoismo”. Essere miti ed umili di cuore è proprio il dono che Gesù ci vuole fare per darci l’unico vero amore: l’amore umile.
L’agire di Gesù è sempre stato così: si è fatto prossimo nei conflitti. Farisei, sadducei, scribi… Cristo è stato un uomo senza requie, perché ha affrontato la vita così com’è, accettando le persone così come sono. Gesù ha guardato però le cose sempre dal punto di vista giusto: quello dell’amore. E questo è proprio il punto di vista che ha usato anche San Vincenzo.
“Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla” (1 Corinzi 13, 2). Come scrive Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia: “L’ideale cristiano, e in modo particolare nella famiglia, è amore malgrado tutto”. Dietro a questo “malgrado tutto”, ha commentato Mons. Pacomio, “c’è la cattiveria degli altri, c’è la non gratitudine, ci sono tutti i guai delle famiglie, tutti i guai delle comunità, la nostra storia personale”.
“L’amore malgrado tutto – ha concluso – sia questo: il desiderio, l’esperienza, il compito che San Vincenzo ci ottiene da Gesù e che ci resta fissato nel cuore”.

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Alessandro Ginotta

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