Riace: un esempio di accoglienza e convivenza interreligiosa

Il piccolo centro calabrese, noto per i due Bronzi, è divenuto un modello di accoglienza e integrazione nei confronti degli immigrati

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Salendo una strada piena di curve, lasciandosi il mar Ionio alle spalle, si arriva ad un’altitudine di 300 metri: Riace, un comune ‘colorato’ di Reggio Calabria, che negli ultimi anni, ha aperto le sue porte alla gente fuggita dalla sua patria per guerre e persecuzioni.  Tanto che questa cittadina, già nota per il ritrovamento di due statue bronzee di epoca greca nel 1972, è diventata famosa anche per l’accoglienza. Attualmente ospita 500 migranti, su circa 1800 abitanti complessivi.
Ma come hanno fatto a organizzare e ospitare gli immigrati evitando quelle difficoltà nella vita quotidiana che hanno spaventato altre località? ZENIT lo ha chiesto a Domenico Lucano, sindaco di Riace, che racconta che nell’estate del 1998 era arrivata casualmente una barca con circa 300 profughi; questo evento ha fatto aprire le porte alle case abbandonate di Riace.
“Questi essere umani fuggono dalle guerre, dalle oppressioni, dalle dittature, dalla fame, dalle miserie e dai luoghi in quali non si riesce a trovare la pace” spiega Lucano. “Sono obbligati ad intraprendere viaggi pericolosi in barca perché non hanno nessun’altra scelta. Arrivano a Riace e non sanno dove sono, ma sono felici di avere raggiunto la terra ferma e di essere calorosamente accolti. È forte il desiderio di cominciare una nuova storia senza sentire i rumore delle bombe o il grido della disperazione delle persone che muoiono”.
Il primo cittadino ricorda che, nel corso dell’ultimo decennio, il fenomeno della migrazione ha assunto una dimensione globale e ha fatto anche smarrire le dimensioni umane. A tal proposito, spiega: “La Calabria è stata considerata un luogo da dove sono trasmessi messaggi negativi a causa della mafia; ora Riace ed il modo in cui abbiamo accolto i migranti trasmette un altro messaggio al mondo, quello dell’umiltà, dell’accoglienza, dell’umanità”.
Riace, però, come tanti altri paesi del sud Italia, non conosce solo il fenomeno dell’immigrazione ma anche quello dell’emigrazione. Prima dell’arrivo dei migranti, dice il sindaco, “c’era quasi la certezza che nel corso di pochi decenni, Riace sarebbe diventata un paese fantasma. A cause delle nostre difficoltà economiche, i giovani ancora oggi vanno via per cercare lavoro altrove”. Un “paese con i fazzoletti in mano”, dunque. “Riace è così: una storia di emigrazione che, per uno strano destino, per il vento che ha portato questo barcone nel 1998, intraprende un percorso a ritroso e, alla fine, si riconosce in un luogo di arrivi”, afferma Lucano.
E, orgoglioso, sottolinea che “si sta sempre più sviluppando il processo d’integrazione tra riacesi e migranti che lavorano insieme per diventare il paese dell’accoglienza”. “Essere insieme – afferma il primo cittadino – può significare anche guardare con più coraggio al futuro e costruire il percorso dell’integrazione è più conveniente”.
Tutto questo sta avvenendo in assoluta normalità, spiega Domenico Lucano, riferendosi alle esperienze vissute finora. “Si vive e si convive – racconta – con la consapevolezza di avere rispetto di ognuno, anche del diverso credo religioso, così come della sua appartenenza politica”.
Dal punto di vista del dialogo interreligioso il rispetto reciproco “funziona bene”, conferma il sindaco. “Hanno lasciato da parte i contrasti delle diverse confessioni e si riconoscono in una dimensione umana che quasi non ci accorgiamo della diversità. Anche il nostro cimitero è un luogo per tutti, un luogo multi-etnico”.

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Jill Carnà

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