Non stanchiamoci di educare, prima con l'esempio, poi con le parole

Mons. Enrico dal Covolo nella puntata dell’11 agosto di “Ascolta si fa sera”

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Pubblichiamo la meditazione preparata da monsignor Enrico dal Covolo, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, per la puntata di oggi, domenica 11 agosto 2013, del programma quotidiano di informazione religiosa “Ascolta si fa sera” di Rai Radio 1. 

Per un infortunio di mons. dal Covolo, il testo non è stato registrato.

***

C’era una volta un albero, che amava un bambino. Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore: si arrampicava su per il tronco, dondolava sui rami, si faceva una corona con le foglie.E l’albero era felice.

Il tempo passò, e il bambino crebbe. Ora che il bambino era diventato grande, l’albero rimaneva spesso solo. Poi, per un lungo tempo, il bambino non venne più.Quando finalmente ritornò, l’albero era così felice, che riusciva appena a parlare. “Avvicinati, bambino mio”, gli sussurrò. “Torna a giocare con me!”. 

“No”, rispose stanco il bambino. “Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare. Voglio una barca per fuggire lontano di qui. Tu puoi aiutarmi?”. “Taglia il mio tronco e fatti una barca”, rispose l’albero. “Così potrai andartene, ed essere felice”. Allora il bambino tagliò il tronco, e si fece una barca per fuggire.E l’albero fu felice.

Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora. “Mi dispiace, bambino mio…”, riuscì a dirgli l’albero. “Adesso che non ho il tronco, non ho più niente, né rami, né foglie per giocare… Sono desolato. Vorrei tanto donarti qualche cosa, ma non ho più niente… Sono solo un vecchio ceppo”.

“Non ho più bisogno di molto, ormai”, rispose il bambino. “Solo un  posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco…”. “Ebbene”, disse l’albero facendo un grande sorriso, “un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi. Avvicinati, bambino mio, siediti. Siediti e riposati”. Così fece il bambino. E l’albero fu felice.

Quanti alberi così abbiamo incontrato nella nostra vita? Dobbiamo essere grati a loro con tutto il cuore. E io, sono un albero così per le persone che mi incontrano, soprattutto per i più piccoli e per i più poveri? Siediti anche tu sul ceppo, e fermati a meditare.

Nel mese scorso ho vissuto un’esperienza memorabile. Ve la voglio raccontare. E’ la Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata a Rio de Janeiro fra il 23 e il 28 luglio.Mi limito a richiamarne un solo aspetto, forse il più evidente: è l’entusiasmo dei giovani. Un entusiasmo travolgente, che ha saputo sostenere sacrifici incredibili, a cominciare dalle spese del viaggio. Io, per aiutare alcuni giovani, ho fatto sponsorizzare un piccolo concorso. Così ho selezionato quindici studenti della mia Università, e li ho accompagnati a Rio. Era uno spettacolo vedere come questi giovani hanno pacificamente invaso la metropoli brasiliana, come partecipavano ai vari momenti di catechesi e di celebrazione!

Ma quello che più mi ha colpito è stata la capacità di sacrificio dei nostri giovani. Provenivano da tutto il mondo, spesso accompagnati dai loro educatori, per ascoltare dei messaggi impegnativi (talvolta in condizioni logistiche alquanto precarie); si sono confrontati con un pensiero non debole, ma forte, secondo il quale esiste una verità che valga per tutti; si sono aperti a una visione antropologica ispirata dalla ragione in armonia con la fede: una visione molto impegnativa, che richiede sacrificio e dedizione.Tutto questo – l’entusiasmo dei giovani, insieme alla loro capacità di sacrificio – fa rinascere la speranza dentro di noi!

C’è naturalmente una seconda riflessione da fare. Non poche volte incontro educatori scoraggiati dagli insuccessi. Ci sono infatti dei fenomeni che fanno pensare: ragazzi sfiduciati e depressi, oppure giovani schiavi di dipendenze nocive, dall’alcool all’erotismo. Vi cito solo alcuni titoli di studi seri e aggiornati della sociologia giovanile, che cercano di ritrarre quello che sta capitando: Perché siamo infelici; L’epoca delle passioni tristi; Fragile e spavaldo, ritratto dell’adolescente di oggi; L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani.

Adesso mettiamo insieme la prima e la seconda riflessione, e giungiamo alla conclusione, che è questa: se vogliamo che la speranza cresca in mezzo a noi, non dobbiamo stancarci di educare! Anzitutto con l’esempio, e poi con le parole: un Francesco d’Assisi, o una madre Teresa di Calcutta, convertono il mondo. 

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Enrico dal Covolo

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