Mondiali di Calcio 2010, la partita delle suore

La rete Talitha Kum impegna le religiose contro la tratta umana

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di Mariaelena Finessi

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- «Ti invitiamo a fare attenzione se ricevi offerte di servizi sessuali o di droga, che potrebbero essere offerte da vittime della tratta. Ti ricordiamo che la tratta di persone è riconosciuto come crimine internazionale». Con questo messaggio le suore della rete Thalita-Kum si rivolgono a coloro che raggiungeranno il Sudafrica per i prossimi mondiali di calcio (11 giugno-11 luglio 2010) e che potrebbero, volutamente o in modo ignaro, alimentare la schiavitù umana.

Nata nel 2009, Thalita-Kum è il frutto della collaborazione tra l’Unione internazionale delle Superiori generali (UISG) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), come spiega suor Estrella Castalone durante la presentazione, il 6 maggio a Roma, della campagna contro la tratta. Quella della UISG (di cui fanno parte 1990 congregazioni religiose femminili, per oltre 700mila suore in tutto il mondo) con l’OIM (di cui fanno parte 127 Stati) è una sinergia che funziona in realtà dal 2004 nell’organizzazione di corsi di formazione, finanziati in gran parte dagli Stati Uniti, nella convinzione «che solo attraverso un lavoro comune – conclude la salesiana – si può far fronte alle cause strutturali che generano la tratta».

Quanto alla campagna di prevenzione e informazione, concepita appositamente per i mondiali di calcio 2010, essa si spiega in questa modo: per la prima volta un evento sportivo di così grande rilevanza si disputa in Africa. E questa che può sembrare una nota di colore, in realtà mostra un grave pericolo: «Durante occasioni simili, infatti – spiega Stefano Volpicelli, OIM – , molte persone vengono assunte nei settori dell’industria dei trasporti oltre che nell’ospitalità, come ristoranti, bar e hotel. Un evento come la coppa del mondo di calcio crea molte aspettative di occupazione ed è il caso di coloro che hanno lavorato alla costruzione degli stadi, e che sono rimasti intrappolati in una situazione di paraschiavismo».

A partire dai campionati del 2006, disputatisi in Germania, gli eventi sportivi di questo tipo vengono accuratamente monitorati. «Fortunatamente quella volta – continua Volpicelli – i timori si rivelarono infondati ma il merito fu soprattutto del governo tedesco che già dal 2005 aveva messo in campo un fitta attività di controllo, sia alle frontiere che nei locali di intrattenimento. A ciò è da aggiungere che il popolo dei tifosi era variegato, rappresentato in gran parte da coppie e famiglie».

In Sudafrica non sarà così per diversi motivi: innanzitutto il Paese ha confini estesi, di conseguenza porosi e facili da attraversare in modo illegale. Non esiste poi una legge contro la tratta, quindi non ci sono vittime da difendere e colpevoli da punire. A ciò si aggiunga che il Sudafrica è percepito come uno Stato pericoloso. «Ciò ci fa immaginare che la composizione delle tifoserie non sarà così mista come in Germania ma sarà costituita perlopiù da maschi adulti».

Limitando il più possibile la libera circolazione, e circoscrivendo i tifosi in determinate zone e quartieri delle città, è ipotizzabile che le prestazioni sessuali avvengano a domicilio presso hotel e guest house. «Come se non bastasse, il governo ha ordinato la chiusura delle scuole durante tutto il periodo dello svolgimento del campionato. Il timore – conclude il funzionario dell’Oim – è che molti studenti si sposteranno dalle zone rurali verso le località che ospitano le partite, allettati dalla possibilità di fare piccoli lavoretti».

«Da parte nostra – interviene Suor Bernadette Sangma – ci sentiamo interpellate dalla crescente tendenza di rendere gli eventi sportivi mondiali, occasioni di sfruttamento di donne, bambini, giovani e, più in generale, di coloro che vivono una condizione di fragilità, come la povertà e l’emarginazione». Rientrata da poco dal Sudafrica, la religiosa si fa portavoce di coloro a cui sono state inflitte «sofferenze umilianti, degradanti ed inumane per scopi lavorativi o sessuali», testimoniando come «tali esperienze generino ferite profonde, tali da rendere il cammino di recupero estremamente faticoso».

Prevenire altra sofferenza è allora lo scopo primario della campagna, che istituisce anche una help line gratuita (0800 555 999). «Sono in corso da tempo numerose attività a questo riguardo, prima di tutto in Sudafrica ma anche nei Paesi confinanti, di transito o in quelli di origine delle vittime». Come nel caso della Thailandia, dove la collaborazione avviene con le religioni locali: «Essendo un Paese buddista, senza l’intervento dei capi religiosi del posto sarebbe impossibile arrivare alla base e parlare alle persone».

Intanto, è di pochi giorni fa la notizia che circa 500 gruppi criminali organizzati sono già attivi alle frontiere, collegati tra di loro, «spesse volte godono della complicità di chi detiene il potere e di chi ha interessi economici e commerciali». È chiaro che non c’è più tempo da perdere: le suore hanno presentato alla stampa anche delle cosiddette “lettere aperte”, indirizzate a quattro tipologie di destinatari.

Ai tifosi innanzitutto, «affinché il loro diritto al divertimento non sconfini quell’orizzonte valoriale dello sport per intaccare la dignità delle persone». Quindi ai facilitatori involontari e alle autorità religiose «alle quali chiediamo un aiuto materiale e la condanna decisa di talune condotte che sfociano nella tratta umana». Infine, alle vittime, «centro della nostra attenzione – conclude suor Bernadette -, e motivo della nostra battaglia».

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ZENIT Staff

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