Le labbra, il cuore e la preghiera

Vangelo della XXII Domenica del Tempo Ordinario

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, giovedì, 30 agosto 2012 (ZENIT.org).- Dt 4,1-2.6-8

Mosè parlò al popolo dicendo: “Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi.”.

Gc 1,17-18.21b-22.27

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. (…) Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.”.

Mc 7,1-8.14-15.21-23

In quel tempo si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate –…, lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo le tradizioni degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”. Ed egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.”.

Chiamata di nuovo la folla diceva loro: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro”. E diceva ai suoi discepoli: “Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia calunnia, superbia stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”.

La necessità della coerenza tra ciò che dicono le nostre labbra e ciò che ‘dicono’ le nostre opere, non fa solo pensare all’osservanza concreta dei comandamenti, ma chiama in causa la verità profonda della persona.

Tra il dire e il fare, infatti, sta di mezzo quel cuore dell’uomo che è la sua stessa coscienza: un cuore che batte in chiesa come in casa, nel tempo del lavoro e in quello delle ferie, nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore, in compagnia degli amici o nel silenzio della notte.

Il problema del cuore-coscienza è questo: che a differenza del cuore anatomico che in genere nasce sano, la coscienza di tutti è congenitamente segnata dal peccato originale.

Lo fa osservare lucidamente Romano Guardini commentando il Vangelo di oggi: “Un pensiero – per quanto nobile sia – non appena entra nel cuore dell’uomo produce anche ciò che lo contraddice, la falsità e la malvagità. Così procedono le cose anche per quanto viene da Dio. Ordine del credere e del pregare, ufficio e disciplina, tradizione e costume sono in verità buoni; ma in rapporto ad essi nascono nel cuore e nello spirito dell’uomo possibilità negative. Dappertutto là dove nell’ambito della verità santa viene pronunciato un deciso “sì”e “no”, dove vigono forma oggettiva del culto, ordine e autorità, sorge anche il rischio della Legge e del “fariseo”. Il pericolo di prendere l’esterno per l’interiore; il pericolo della contraddizione tra l’orientamento intenzionale e la parola,..il rischio dunque di tutto ciò che Cristo rinfaccia ai farisei” (R. G., Il Signore, p.219s).

Adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia,…” (Mc 7,22): qui Gesù, per così dire, mette il dito sulla piaga della nostra coscienza.

Ora, se domandassi che cos’è, come funziona e dove è collocato il cuore fisico, facilmente farei concordare le varie risposte: ma il cuore-coscienzaè uguale per tutti o cambia volto come la fisionomia? E se cambia, qual’é la verità fondamentale ed immutabile che le ha conferito il suo Creatore?

Rispondo subito, con parole altrui: “la coscienza è una struttura antropologica fondamentale insita alla persona..il crogiuolo discriminante il bene e il male,..la capacità della persona di riconoscere la verità e la decisione di incamminarsi in essa,…eco di quella Voce che crea e salva, guida e libera con la sua Parola.” (card. A. Bagnasco, Il valore della coscienza nell’impegno sociale e politico, 17/12/2011).

Non ostante la chiarezza e la verità di questa definizione, ognuno di noi sa per esperienza quanto sono vere anche le parole di Paolo: “Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma ciò che detesto..Ora se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me” (Rm 8,18.20).

Si tratta dell’inesorabile legge del peccato, eppure la coscienza è quel mirabile dono di pura luce che il Padre ci ha dato per farci conoscere e mettere in pratica la sua Parola, come rivela oggi Giacomo: “ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce…Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi” (Gc 1,17).

Perciò ci domandiamo: è possibile e come si fa a mantenere una coscienza pura dalla quale escano solo cose buone e propositi di bene?

La risposta è certamente affermativa, ma per capire sia Giacomo che Paolo che Gesù, occorre anzitutto ricordare questa semplice affermazione del Magistero: “la coscienza diventa cieca in seguito all’abitudine del peccato” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 16). 

L’espressione è generica e forse fa anzitutto venire in mente il peccato grave, ma va detto che “peccato” davanti a Dio diventa qualunque comportamento, coscientemente mantenuto, che non corrisponde alla sua volontà, anche se si tratta di ‘innocue’ imperfezioni.

Inoltre, come la cataratta a poco a poco impedisce all’occhio di vedere, così la coscienza diventa cieca per l’abitudine di non pregare.

Lo fa intendere Benedetto XVI con queste chiare parole: “La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il “martirio” della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio, cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio” (Catechesi Generale, 28 agosto 2012).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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