La misericordia nella vita di Umberto Eco

L’Unione Cristiani Cattolici Razionali (UCCR) ricorda quando lo scrittore disse: “Gesù Cristo è un miracolo anche per i laici inquieti come me…”

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“È morto ieri a 84 anni Umberto Eco, famoso semiologo e scrittore. Come sempre, quando muore un personaggio famoso il web viene inondato di articoli, citazioni, hashtag. Poi, dal giorno dopo, si tornerà ad ignorarlo.
Lui stesso, in un suo celebre intervento, ricordò che internet ha «diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel».
Di certo, per quanto ci riguarda, non lo abbiamo mai ignorato e mai gli abbiamo risparmiato critiche, sopratutto quando fu autore di una infelice uscita contro la grandezza intellettuale Benedetto XVI. Si alzò un grosso polverone e diversi intellettuali presero le difese del Papa emerito, come il filosofo laico Costanzo Preve che intervenne duramente contro Eco e il filosofo Nikolaus Lobkowicz, rettore dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco, che rispose: “Ratzinger, come Hans Urs von Balthasar o Henri de Lubac mezzo secolo fa, è uno degli uomini più colti del nostro tempo e anche uno dei più colti della lunga storia dei vescovi di Roma”.
Siamo intervenuti anche per replicare alle sue avventate considerazioni sul monoteismo violento e politeismo pacifico, stupiti che un uomo di cultura come lui potesse aderire ad una leggenda del genere.
Credeva ed elogiava i “valori marxisti”, dimenticando cosa terribilmente accadde nel ‘900 alle società (poi dittature) che li accolsero come guida morale.
Inutile negarlo, non abbiamo mai stimato Umberto Eco. E d’altra parte non è facile stimare una persona che non ha mai chiesto scusa per essere stato uno dei responsabili del violento appello contro Luigi Calabresi, il quale venne definito ‘commissario torturatore’ e accusato, senza prove, della morte di Pinelli.
Quella lettera scatenò una campagna diffamatoria che culminò con l’assassinio di Calabresi. Nessuna scusa da parte dei firmatari, tra i quali Eco, che sono poi tutti i moralisti laici di Repubblica: Furio Colombo, Roberto D’Agostino, Margherita Hack, Dario Fo, Dacia Maraini, Massimo Teodori, Eugenio Scalfari ecc.
Oggi però vorremmo ricordare quello che abbiamo apprezzato di lui, onorare la sua memoria cercando di trarre ciò che di positivo riteniamo ci abbia lasciato. Innanzitutto la sua realistica visione sul Medioevo, niente secoli bui ma un’epoca gloriosa, ha scritto recentemente, il cui risultato è “quella che chiamiamo oggi Europa, con le sue nazioni, le lingue che ancora parliamo, e le istituzioni che, sia pure attraverso cambiamenti e rivoluzioni, sono ancora le nostre”.
Perché “che il Medioevo non è quello che il lettore comune pensa, che molti affrettati manuali scolastici gli hanno fatto credere, che cinema e televisione gli hanno presentato”.
Il suo funerale si svolgerà, secondo le sue volontà, in forma laica al Castello Sforzesco di Milano, una scelta coerente perché Eco si convertì dal cattolicesimo all’illuminismo e al postmodernismo, optando per un approccio debole alla verità. Una apostasia meditata, che lo portò ad una “fede nel dubbio”.
Scrisse: “La psicologia dell’ateo mi sfugge perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l’esistenza, e poi credere fermamente all’inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare” (U. Eco, “In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996, p.23).
Raccontando la sua parabola esistenziale, disse: “La prospettiva laica non è stata per me una eredità assorbita passivamente ma il frutto, molto sofferto, di una lunga e lenta mutazione, e sono sempre incerto se certe mie convinzioni morali non dipendano ancora da una impronta religiosa che mi ha segnato alle origini. Tuttavia credo di poter dire su quali fondamenti si basa oggi la mia ‘religiosità’ laica; perché fermamente ritengo che ci siano forme di religiosità, e dunque senso del sacro, del limite, dell’interrogazione e dell’attesa, della comunione con qualcosa che ci supera, anche in assenza della fede in una divinità personale e provvidente” (In cosa crede chi non crede,  Liberal Libri 1996, p. 22).
Un convinto laico, ma non un ateo, che proclamava il diritto della Chiesa ad intervenire pubblicamente nella società: “Quando una qualsiasi autorità religiosa di qualsiasi confessione si pronuncia su problemi che concernono i princìpi dell’etica naturale, i laici debbono riconoscerle questo diritto: possono consentire o non consentire sulla sua posizione, ma non hanno nessuna ragione per contestarle il diritto di esprimerla, anche se si esprime come critica al modo di vivere del non credente”.
“Non ritengo esista il diritto inverso. I laici non hanno diritto di criticare il modo di vivere di un credente. Non vedo perché debbano scandalizzarsi perché la Chiesa cattolica condanna il divorzio: se vuoi essere cattolico non divorzi, se vuoi divorziare fatti protestante”.
Io confesso che sono persino irritato di fronte agli omosessuali che vogliono essere riconosciuti dalla Chiesa, o ai preti che vogliono sposarsi.  Ci sono ricevimenti (laicissimi) in cui è richiesto lo smoking, e sta a me decidere se voglio piegarmi a un costume che mi irrita, perché ho una ragione impellente per partecipare a quell’evento, o se voglio affermare la mia libertà standomene a casa” (In cosa crede chi non crede,  Liberal Libri 1996, p. 13).
Nelle lettere che scrisse al card. Carlo Maria Martini, il celebre semiologo toccò una profondità che mai abbiamo più ritrovato nei suoi libri.
Bellissime le sue parole, da non credente, verso la figura di Gesù Cristo: “se Cristo fosse pur solo il soggetto di un grande racconto, il fatto che questo racconto abbia potuto essere immaginato e voluto da bipedi implumi che sanno solo di non sapere, sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio reale si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede”.
Così, “io ritengo che un’etica naturale – rispettata nella profonda religiosità che la anima – possa incontrarsi coi princìpi di un’erica fondata sulla fede nella trascendenza, la quale non può non riconoscere che i princìpi naturali siano stati scolpiti nel nostro cuore in base a un programma di salvezza” (In cosa crede chi non crede,  Liberal Libri 1996, p. 25).
Oggi che Umberto è tornato alla casa del Padre possiamo solamente augurargli che quel “programma di salvezza” che riconobbe dentro di sé si sia realmente attuato, per lui. Un laico inquieto, dal cuore turbato e gentile”.
 

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ZENIT Staff

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