L'Ucraina orientale a ferro e fuoco

Gli scontri a Est di Kiev appaiono l’esito inevitabile di una crisi che le diplomazie del sistema occidentale continuano a gestire con pericolosa irresponsabilità

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Nelle ultime ore si rincorrono le notizie su fatti che cambiano la geopolitica dell’Europa Orientale. Giorni fa gruppi armati di cittadini ucraini filorussi avevano preso d’assalto il municipio di Donec’k. La decisione del governo di Kiev di inviare le truppe per contrastarli ha provocato almeno 4 morti e un numero imprecisato di feriti nella regione. A Mariupol’ sono attualmente in corso scontri che hanno provocato già altre tre vittime tra i filorussi. Nonostante le smentite iniziali, il governo di Kiev poi ha ammesso che a Kramators’k e in altre località i reparti dell’esercito ucraino passano dalla parte del «nemico», issando la bandiera tricolore bianca, blu e rossa della Russia. Kiev accusa Mosca di infiltrazioni tra le milizie ucraine filorusse, la Russia risponde condannando l’uso della forza contro gli Ucraini russofoni.

Ormai prende corpo l’ipotesi che altri pezzi di Ucraina orientale seguano l’esempio della Crimea e intendano entrare a far parte della Federazione Russa. Come valutare e gestire questa situazione? Si può certamente discutere circa la legittimità giuridica del referendum che ha sancito l’annessione della Crimea alla Russia, così come, però, sarebbe altrettanto importante iniziare una discussione seria e finora latitante sulla legittimità del nuovo governo di Kiev uscito dalla rivolta di piazza Maidan. C’è tuttavia un dato che persino gli osservatori più schierati e ideologizzati non possono negare. È oggettivamente impossibile che una regione come la Crimea, con un’estensione di oltre 26mila km² (più grande della Sicilia) e una popolazione di quasi 2 milioni di persone (maggiore delle Marche) sia stata annessa unilateralmente da uno Stato confinante in pochissimi mesi, senza suscitare reazioni, rivolte e violenze tra la popolazione locale e gli «occupanti» russi.

Se cioè il referendum di Crimea fosse stato un’operazione di forza mascherata da consultazione referendaria, oggi la Crimea dovrebbe essere in preda a una guerra quotidiana. Quando i processi politici interni sono sospinti dall’uso della forza da parte di Stati stranieri, essi lasciano strascichi per anni e anni: lo abbiamo visto in Afghanistan, in Iraq, lo vediamo in Libia e in Siria. Non tutti i cittadini di Crimea, ovviamente, erano filorussi: in politica, raggiungere il 100% dei consensi è un’utopia. Ma nell’insieme è impossibile negare che la stragrande maggioranza della popolazione si consideri russa e abbia volontariamente scelto di essere parte della Russia. Gli stessi Tatari di Crimea, minoranza turcica di confessione musulmana, pur essendo molto critici verso l’annessione non hanno finora cambiato le carte in tavola. Non si può dire con certezza come evolverà la situazione, ma sicuramente essa non può essere descritta semplicemente come un colpo di mano del Cremlino.

Un altro grave errore da evitare è quello di rappresentare la situazione come un antagonismo fra Ortodossi e Cattolici, fra Est o Ovest. Non si può negare che un certo nazionalismo ortodosso abbia inasprito il clima, come denunciato ad esempio da padre Michailo Michalkovskij, sacerdote greco-cattolico di Crimea che ha paventato nuove persecuzioni (1). Ma si tratta di un effetto collaterale d’una crisi gestita male fin dall’inizio, che nella sua scaturigine non ha niente a che vedere con l’appartenenza religiosa. Gli storici del futuro avranno molto da lavorare per ricostruire una situazione che a tutt’oggi ha molti punti oscuri. Se la corruzione del governo di Viktor Janukovyč e la legittima aspirazione a una vita dignitosa dei cittadini ucraini non lasciano adito a dubbi, vi sono aspetti assai inquietanti: chi ha equipaggiato e armato i rivoltosi di Piazza Maidan; la verità sul massacro di Kiev del 20 febbraio 2014, che una recente inchiesta del Primo canale della Tv tedesca (tedesca, non russa) attribuisce proprio all’opposizione di Maidan (2); Victoria Nuland, diplomatica USA che al telefono sceglie la composizione del nuovo governo di Kiev in nome dei 5 milioni stanziati da Washington (3); la folta presenza in tale governo di esponenti dei partiti neonazisti «Svoboda» e «Pravyj Sektor», addirittura collegati con il terrorismo ceceno (3).

Già i fatti di Crimea dovrebbero aver mostrato una verità luminosa come il sole: i cittadini ucraini filorussi, sia in Crimea che nel resto dell’Ucraina orientale, non sono «separatisti», non sono «indipendentisti», come si sente dire a sproposito. Separatisti e indipendentisti sono i gruppi politici che lottano per ottenere la totale autonomia politica dal Paese di cui fanno parte: ad esempio i Baschi in Spagna, i Ceceni in Russia, i musulmani del Kosovo in Serbia. I cittadini ucraini dell’Est, invece, non reclamano alcuna indipendenza, non sostengono le loro ragioni in nome di una malintesa «autodeterminazione dei popoli»: semplicemente, sono e si sentono Russi, parlano la lingua russa e vogliono far parte della Federazione Russa ritenendosi discriminati da un governo che giudicano ultranazionalista e non legittimato da regolari elezioni.

Se proprio si vogliono cercare paragoni, l’Ucraina orientale somiglia piuttosto all’Irlanda del Nord, che è istituzionalmente parte della Gran Bretagna, ma la sua popolazione si considera irlandese e reclama non l’indipendenza, bensì la riunione con il resto dell’Irlanda. In Italia il Sudtirolo-Alto Adige è una regione quasi totalmente germanofona. La stragrande maggioranza della popolazione si ritiene austriaca, condivide lingua, cucina, tradizioni e costumi con l’Austria. L’appartenenza del Sudtirolo all’Italia si regge su un delicato equilibrio, cioè essenzialmente sulla concessione di un’ampia autonomia culturale e amministrativa. Che cosa accadrebbe se domani un movimento di piazza cacciasse da Palazzo Chigi un governo magari corrotto ma democraticamente eletto, e poi imponesse come prima misura il divieto della lingua tedesca in Alto Adige? Ciò provocherebbe non solo una spontanea insurrezione dei Sudtirolesi, ma probabilmente anche il supporto esterno della Repubblica d’Austria.

Il sostegno di Mosca agli Ucraini russofoni va compreso a partire dalla storia: la Crimea ad esempio è stata russa fino al 1954, vi si parla russo, vi sono stati ambientati i racconti della grande letteratura russa, da Puškin a Čechov. L’annessione della Crimea alla Russia è stata sollecitata dallo stesso governo di Kiev, che come primo provvedimento (poi tardivamente ritirato) ha declassato la lingua russa. La politica di contrapposizione frontale a Mosca e all’Oriente russofono che Kiev continua a perseguire, spalleggiata dagli USA, non fa che peggiorare la situazione.

La verità è che il governo di Arsenij Jacenjuk non controlla l’Ucraina perché quasi mezzo Paese lo considera completamente illegittimo. Quando militari e forze dell’ordine, come sta accadendo a Donec’k, a Kramators’k e in altre località, depongono le armi davanti ai manifestanti che dovrebbero contrastare, ciò significa una cosa sola: che lo Stato non c’è più, che chi detiene il monopolio della forza non ha alcuna credibilità. È certamente verosimile, anche se da verificare caso per caso, che la Russia stia inviando rinforzi, ma ciò non sortirebbe effetto alcuno senza l’adesione della popolazione locale. D’altronde, in base a quale criterio gli agguerriti rivoluzionari di Piazza Maidan, ben armati ed equipaggiati dall’estero, sono un popolo democratico in rivolta, mentre i cittadini ucraini filorussi sono sempre e solo terroristi da stanare senza pietà?

I Paesi dell’Alleanza Atlantica, con timide riserve pubbliche e molta perplessità in privato, hanno finora appoggiato acriticamente la rivolta di Piazza Maidan e il governo di Kiev. Ma non si tratta di una partita di calcio Russia-Ucraina, dove fare il tifo per l’uno o per l’altro: un buon mediatore è colui che separa i contendenti, non chi mette il coltello nella mani di uno dei due minacciando l’altro. L’Europa ha bisogno di un’alleanza strategica con la Federazione
Russa non meno che di un’Ucraina stabile e prospera. Se USA e UE continueranno a fare il muso duro, saranno essi stessi a sospingere gli Ucraini russofoni nelle braccia di Mosca. Oggi a Ginevra si tiene un importante colloquio tra UE, USA, Russia e Ucraina, dove è atteso anche un quinto convitato sinora rimasto silenziosamente in disparte: il buonsenso.

***

Dario Citati è Direttore del Programma di ricerca «Eurasia» dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG)  [www.istituto-geopolitica.eu] e redattore della rivista Geopolitica [www.geopolitica-rivista.org].

NOTE:

1)      I cattolici temono la persecuzione, http://www.lastampa.it/2014/03/15/blogs/san-pietro-e-dintorni/crimea-i-cattolici-temono-la-persecuzione-CkxerMcZGB2DaFwrGgnxHK/pagina.html

2)      Massacro di Kiev, anche l’opposizione sparò sulla folla, http://www.tmnews.it/web/sezioni/top10/massacro-kiev-anche-l-opposizione-sparo-sulla-folla-20140410_141317.shtml

3)      http://www.youtube.com/watch?v=MSxaa-67yGM ; American Conquest by Subversion: Victoria Nuland’s Admits Washington Has Spent $5 Billion to “Subvert Ukraine”, http://www.globalresearch.ca/american-conquest-by-subversion-victoria-nulands-admits-washington-has-spent-5-billion-to-subvert-ukraine/5367782

4)      Ucraina, se il nuovo corso filo-Occidente include l’ultradestra Neo-nazista, http://www.lastampa.it/2014/03/06/blogs/underblog/ucraina-se-il-nuovo-corso-filooccidente-include-lultradestra-neonazista-2YWGk0SQMvsmnG3qTLVmbO/pagina.html

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Dario Citati

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