L’insegnamento della religione cattolica oggi in Italia

Continuità ed innovazione nel quadro delle finalità della scuola

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ROMA, sabato, 25 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato dal Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana in occasione del Meeting degli insegnanti di religione dal titolo “Io non mi vergogno del Vangelo (Rm 1,16)”, che si è tenuto a Roma il 23 e 24 aprile.

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“Io non mi vergogno del Vangelo”. È il titolo di questo Meeting degli IdR che si celebra nell’anno Paolino e durante il quale avremo l’occasione di incontrare il Santo Padre, successore di Pietro. É una forte “ambientazione ecclesiale” per un incontro nel quale siamo chiamati a riflettere sul contributo della Chiesa italiana alla formazione delle nuove generazioni, attraverso l’Insegnamento della religione cattolica nella scuola.

Un servizio, quello dell’IRC, nel quale si realizza con passione l’impegno di tanti uomini e donne, insegnanti di religione cattolica, in gran parte laici. Un servizio che chiede professionalità specifiche e che, per la Chiesa italiana, che cammina sulla strada tracciata dal Concilio Vaticano II, si configura come via proficua di collaborazione con lo Stato “per la promozione dell’uomo e per il bene del Paese”, come recita l’Accordo di revisione del Concordato Lateranense (1984).

1) Un insegnamento che viene da lontano

Fin dall’inizio della storia del Regno d’Italia, la Legge Casati (1859) prevedeva l’insegnamento della religione nella scuola elementare, e poi la Riforma Gentile del 1923, che gli assegnava un’ importante collocazione, ma sarà il Concordato Lateranense del 1929 e poi la sua modifica del 18 febbraio 1984 a dare sostanza alla storia dell’insegnamento della Religione cattolica in Italia.

I due concordati hanno due prospettive differenti che potremmo riassumere così: il primo del 1929, ha la prospettiva di un insegnamento religioso obbligatorio, considerato come “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica” (art. 36); il secondo, del 1984, contiene la proposta di un IRC curricolare, offerto a tutti, assicurato “nel quadro delle finalità della scuola” (art.9), con il diritto per gli studenti o i loro genitori di scegliere se avvalersene o non avvalersene.

L’IRC, secondo quest’ultima prospettiva si caratterizza, come scrivono i Vescovi italiani nella Nota del 1991, come «servizio educativo a favore delle nuove generazioni» e contributo alla crescita globale della persona, offerto a tutti, nella scuola di tutti.

All’Accordo di revisione del 1984 ha fatto seguito, il 14 dicembre 1985, l’Intesa tra il Presidente della CEI ed il Ministro della Pubblica Istruzione e nell’anno scolastico 1986-87 l’avvio del nuovo sistema che riconoscendo l’IRC, “disciplina scolastica”, ne sancisce la piena curricolarità. L’introduzione del diritto di scelta dell’IRC, e dunque l’aver fatto appello alla responsabilità educativa dei genitori e la possibilità di scelta da parte degli studenti, ha avuto nel corso degli anni un esito fortemente positivo, tanto che ancora oggi si registra una grande adesione all’IRC.

2) Una svolta, seguendo il Concilio

Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha contribuito a riconsiderare in modo complessivo il rapporto tra la Chiesa e le “realtà temporali”, riconoscendo ad entrambi i valori loro propri, e la giusta autonomia; grazie a questo cambio di mentalità e di visione delle cose, si è avviato così un processo di rinnovamento dello stesso modo di considerare l’insegnamento religioso nella scuola pubblica italiana più rispondente alle nuove sensibilità che andavano delineandosi nella cultura italiana, sviluppando anche una nuova coscienza democratica e politica.

Nello svolgersi di questi anni, molti sono stati i cambiamenti che hanno modificato tutta la società: infatti, la proclamazione della Repubblica e l’entrata in vigore della Costituzione Italiana, con l’inclusione nell’art.7 dei Patti Lateranensi ha introdotto un nuovo orizzonte dei rapporti tra Stato e Chiesa; intanto viene abrogato il concetto di religione di Stato, mentre si va sviluppando una cultura caratterizzata dal pluralismo e dalla libertà religiosa.

Anche la scuola affronta molti cambiamenti per rispondere al progressivo affermarsi di una scolarizzazione di massa, approfondendo sempre più l’importanza del proprio compito educativo per lo sviluppo della vita dei singoli cittadini e per lo sviluppo culturale ed economico del paese.

Anche la Chiesa, che non è estranea al mondo, e da sempre impegnata sul versante educativo, si sente fortemente coinvolta in questo processo di cambiamento culturale, sociale e religioso.

E’ illuminante qui ricordare come il documento Gravissimum educationis (=GE), dopo aver affermato che alla famiglia spetta primariamente il compito educativo e che la Chiesa ha il dovere di educare in modo del tutto “speciale” (n.3), afferma, ai nn. 4 e 5 che tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona, hanno il diritto inalienabile a una educazione che risponda al proprio fine, alla propria indole, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, e insieme aperta a una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. L’educazione, continua la GE, è indispensabile che abbia come fine la promozione della persona umana in tutte le sue dimensioni in vista del bene della società civile.

La scuola, dunque, in forza della sua missione, mentre con cura costante fa maturare le facoltà intellettuali, promuove lo sviluppo della capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquisito dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara la vita professionale e, generando un rapporto di amicizia tra alunni di indole e condizione diversa, favorisce la disposizione reciproca a comprendersi.

Essa, inoltre, costituisce come un centro alla cui attività e al cui progresso devono insieme partecipare le famiglie, gli insegnanti, le varie associazioni culturali, civiche e religiose, la società civile e tutta la comunità umana.

Nel 1971, l’Ufficio Catechistico Nazionale, con una Nota, porrà in evidenza l’esigenza di rinnovamento dell’insegnamento della religione cattolica, quale contributo importante per lo sviluppo di tutto l’uomo e per la formazione della personalità degli alunni1. Si dà avvio, così, ad una nuova riflessione sull’insegnamento della religione e la sua configurazione scolastica, si approfondiscono le ragioni pedagogiche e culturali, da una parte richiamando lo sviluppo integrale della personalità affidato alla scuola e nel cui complesso va inteso anche l’ambito religioso, dall’altra sottolineando il fatto che la scuola deve poter offrire gli elementi fondamentali per conoscere il fenomeno religioso, così importante nella storia dell’umanità.

L’evolversi della società e comunque dello sviluppo culturale, sia nelle istituzioni scolastiche sia nella Chiesa – specialmente con l’esperienza del Concilio Ecumenico Vaticano II – porterà al superamento dell’IR ereditato dal Concordato Lateranense, che lo aveva definito “fondamento e coronamento”, per lasciare lo spazio ad un nuovo profilo, cioè un IRC che si specifica “secondo le finalità della scuola”. Cresce, infatti, in tutto il tessuto sociale, la consapevolezza della necessità di un insegnamento della Religione cattolica come disciplina pienamente inserita nel quadro delle finalità della scuola di tutti, una scuola nella quale si pone al centro la persona nella sua integralità e nella sua totalità, dunque si fa strada la concezione personalista già intravista e anticipata dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

3) Al servizio della persona nella scuola

Nel 1984, dunque, l’IRC, assume a pieno titolo il profilo di disciplina scolastica, e si caratterizza come insegnamento della religion
e “cattolica” e non semplicemente di una storia delle religioni, ovvero insegnamento di quella religione che ha profondamente segnato la cultura italiana ed europea, e allo stesso tempo è riconosciuta parte integrante del patrimonio storico del popolo italiano.

Gli elementi fondamentali del nuovo profilo dell’IRC scolastico sono quelli che scaturiscono naturalmente dalla dimensione religiosa dell’essere umano, vale a dire gli interrogativi su Dio, sull’interpretazione del mondo, sul significato e sul valore della vita, sulla dimensione etica dell’agire umano. L’alunno, dunque, potrà familiarizzare con la realtà della religione cristiana nella sua tradizione cattolica, cogliendone la valenza educativa e progettuale. Come in ogni disciplina scolastica, l’apprendimento degli obiettivi dell’IRC sono un percorso fondamentale per raggiungere le finalità formative della scuola. Per questo l’incontro con la religione non potrà restare al solo livello cognitivo delle informazioni; ma dovrà essere capace di far cogliere i valori e i significati, che le persone che credono nel Dio di Gesù Cristo, manifestano con le loro scelte di vita, e con tutto quel patrimonio religioso, letterario, artistico e etico con cui veicolano e rivestono le loro espressioni religiose, anche nelle tradizioni, nella pietà popolare….

L’IRC non richiede di per sé che l’alunno aderisca personalmente al credo religioso cristiano, ma che conosca, studi e percepisca il significato dei valori che scaturiscono da questa fede, riconoscendo che si tratta di valori generalmente vissuti e condivisi e che nel nostro Paese sono parte integrante del patrimonio storico culturale, capace di sviluppare attraverso gli interrogativi di senso, nuove sensibilità, in ordine alla ricerca della giustizia e della verità, per tutti gli uomini.

L’IRC, inserito “nel quadro delle finalità della scuola”, concorre al pieno sviluppo della personalità dell’alunno, in un scuola che sia in sintonia con i principi della Costituzione Italiana. Per gli alunni e gli studenti credenti che si avvalgono dell’IRC la comprensione della religione e del cristianesimo si riferisce ugualmente alle proposte e alle risposte, al significato o alla rilevanza che la religione ha per essi, alla ripercussione sui problemi personali e sociali; mentre per gli studenti che hanno altro credo religioso o si riferiscono ad altri sistemi di significato, conoscere e comprendere la religione cristiano-cattolica significa anche comprendere meglio la cultura italiana, cioè la cultura nella quale si vive. Inoltre potrebbe significare comprendere le persone che vivono coerentemente la fede cristiana. E questo anche in vista di promuovere una mentalità accogliente, al fine di una serena convivenza civile nel quadro di una società pluralista.

A ben guardare, possiamo dire che l’IRC arricchisce e completa la personalità dell’alunno poiché tale insegnamento, proprio per la sua nativa vocazione è chiamato a interpretare la storia e a proporre orizzonti di senso, pertanto offrendo un contributo originale e specifico al percorso educativo delle giovani generazioni, anche con lo scopo di ricercare il significato della scelta e dell’esercizio di una professione.

L’IRC, nella sua peculiarità “cattolica”, dunque “confessionale”, secondo quanto afferma il Concordato del 1984 – “in conformità alla dottrina della Chiesa” – più che un problema nella laicità dello Stato, diviene una “risorsa” per la Scuola che in questo caso, realizza con la Chiesa, una vera e propria “alleanza educativa”!2.

La ricerca europea sull’insegnamento della religione, svoltasi tra il 2005 e il 2007 su proposta del CCEE, e culminata con la pubblicazione del volume “L’insegnamento della religione risorsa per l’Europa”, conferma che l’orientamento di fondo è quello dell’apprezzamento del modello italiano dell’IR che, pur riconoscendo e tutelando la libertà di coscienza degli alunni avvalentisi, offre una proposta disciplinare ben definita nell’alveo della religione cristiana nella confessione cattolica con l’intento di perseguire le finalità istruttivo-educative della Scuola.

Per questo la “confessionalità” non può essere vista come una complicazione o un intralcio all’esercizio della laicità, bensì essa costituisce una garanzia di identità, un impegno per un insegnamento che non sia “a-situato”, cioè fuori contesto, ma al contrario che sia “radicato” in una tradizione viva, capace a sua volta di vivificarlo continuamente, e farlo progredire, in un costante confronto con la realtà.

Credo sia questo che vogliono le famiglie italiane, giacché l’ultima statistica del 2008, effettuata dall’Osservatorio socio-religioso del Triveneto per conto del Servizio Nazionale per l’IRC della CEI, ci conferma che l’IRC è scelto dal 91.1% degli studenti italiani. Per tutti questi motivi è stato necessario aggiornare i programmi, essenzializzare i contenuti, sperimentare nuove modalità didattiche, sempre in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione. Ciò anche in vista delle riforme che si prefiguravano già sul finire degli anni ’90 e, ultimamente, confluite nella modalità delle nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo, nel rispetto delle innovazioni apportate dal legislatore, che ha dovuto tenere conto delle istanze e degli obiettivi formativi che si sono dati gli Stati membri dell’Europa.

È di questi giorni un altro impegno della Conferenza Episcopale Italiana per assicurare, contestualmente all’entrata in vigore della riforma nei diversi ordini e gradi di scuola, in riferimento all’IRC e naturalmente d’intesa con il MIUR, ulteriori Indicazioni Nazionali per il Curricolo aggiornate e aderenti all’impianto generale del nuovo sistema scolastico italiano anche nell’orizzonte europeo.

Ci auguriamo che all’impegno leale e costante della Chiesa, in tutti questi anni, nel disegnare il nuovo profilo dell’IRC, possa corrispondere anche da parte delle Istituzioni governative il pieno riconoscimento scolastico dell’identità dell’IRC, con il superamento di alcune residue e contraddittorie limitazioni.

Abbiamo detto che l’IRC, declinato secondo le finalità della scuola, propone la visione dell’uomo nella sua totalità e lo presenta a partire dal dato biblico.

In particolare, nel Vangelo di Giovanni troviamo la valorizzazione dell’umano, nonostante la sua caducità, operata dal Verbo che si è fatto carne, cioè essere debole e mortale (cfr Gv 1,14). L’Evangelista afferma che lo Spirito è realtà vivificante, mentre la carne è impotente. Così anche l’Apostolo Paolo con il vocabolo carne sottolinea la creaturalità e finitezza strutturale dell’uomo: afferma che la vita di Cristo si manifesta «nella sua carne mortale». (2Cor 4,11). Per questo l’apostolo può affermare che la sua attuale esistenza «nella carne» è dunque vissuta da credente nel figlio di Dio (cfr Gal 2,20). Ed è ancora per tale ragione che possiamo dire che l’uomo è un essere unificato da una scintilla divina; è essere vivente perché ha ricevuto da Dio, fonte della vita, il soffio vitale. L’uomo vivificato dallo «spirito» divino è persona che si rapporta a Dio (Cfr. Ez 11,19-20; 36,26-28).

Paolo, dunque, all’uomo «carnale», contrappone l’uomo «spirituale», animato dallo Spirito di Dio: esso non ha un corpo, ma è un corpo vale a dire persona incarnata e aperta alla comunicazione con il mondo, gli altri e Dio.

Quindi l’uomo come «corpo» è essere relazionato al mondo trascendente, in particolare a Cristo e a Dio. Per l’Apostolo la dimensione religiosa dell’uomo si esprime nell’essere “uno”, ovvero un soggetto impegnato nella sua totalità, nella sua costitutiva incarnazione terrena, incamminato verso il cielo.

Credenti e non credenti, ricorda la Costituzione pastorale Gaudium et Spes al n. 12, sono generalmente concordi nel ritenere che tutto qu
anto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e a suo vertice. Ma che cos’è l’uomo? La Gaudium et Spes si sofferma anzitutto sulla convinzione di fede che l’uomo è stato creato «a immagine di Dio», dunque capace di conoscere e di amare il proprio Creatore, e che fu costituito da Dio sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio.

Benedetto XVI afferma che «oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e, sotto l’apparenza della libertà, diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “Io”. Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità, prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune» (Discorso all’apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, 06.06.2005).

È dunque meravigliosa e davvero importante, ricorda la GE al n. 5, la vocazione di tutti coloro che, collaborando con i genitori nello svolgimento del loro compito e facendo le veci della comunità umana, si assumono il dovere di educare nelle scuole.

Una tale vocazione esige speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento. A questo proposito, Benedetto XVI afferma che educare “non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. […] Dobbiamo dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di educare? E’ forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita” (Lettera alla Città ed alla Diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21.01.2008).

L’IRC, con il suo contributo specifico, pienamente inserito negli obiettivi dati dalle Indicazioni nazionali, evidenzia come nel progetto educativo della scuola sia opportuno partire dai bisogni e dalle esperienze, nonché porre attenzione alla dimensione socio-politica nel suo senso più alto. E’ necessario far emergere il superamento della giusta apposizione fra umano e religioso e far risplendere come il Vangelo sia sorgente perenne di una umanità ricca e di un umanesimo veramente plenario e integrale.

4) La “scommessa” sui docenti

Perché possa verificarsi tutto quanto detto finora, la Chiesa ha fortemente investito per una autentica e profonda formazione degli insegnanti di religione cattolica, che in questi anni sono stati i veri protagonisti del processo di innovazione del nuovo profilo dell’ IRC. Una “scommessa”, in particolare, giocata sulle corde della professionalità scolastica e sul “servizio educativo”, senza mai trascurare la profonda dimensione di appartenenza alla comunità ecclesiale, dalla quale gli insegnanti di religione cattolica traggono linfa vitale per animare dal di dentro il loro servizio educativo.

L’insieme degli insegnanti di religione cattolica, costituisce oggi una compagine professionale ben amalgamata, e proprio negli ultimi anni ha registrato profondi e positivi cambiamenti, grazie soprattutto al contributo dei laici e di quei sacerdoti e religiosi che, impegnati “a tempo pieno”, hanno consolidato la loro presenza nella scuola, apportando idee e originalità creativa, condividendo con gli altri colleghi l’impegno educativo finalizzato “alla promozione dell’uomo e del cittadino”.

Una tappa molto importante, per il riconoscimento della professionalità scolastica, è stata l’emanazione della Legge riguardante il nuovo stato giuridico (2003), con la configurazione del ruolo, che ha visto tutti gli insegnanti di religione, con almeno un servizio continuativo di quattro anni, accedere ad un concorso pubblico bandito per titoli ed esami (scritto e orale), come avviene per gli altri docenti della scuola italiana.

Nei fatti, questa esperienza ha messo in luce la solida preparazione e formazione degli insegnanti di religione cattolica, che in questo caso hanno avuto il riconoscimento pubblico e formale della loro professione docente. La nuova situazione peraltro ha consolidato la scolasticità dell’insegnamento.

Le Legge sul nuovo stato giuridico era attesa da tanti anni, dato che lo Stato aveva dichiarato di voler dare una nuova disciplina dello stato giuridico sin dal 1985, in occasione dell’Intesa firmata dal Ministero della Pubblica istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana.

In attesa che lo Stato codificasse le intenzioni dichiarate nel 1985, la Conferenza Episcopale Italiana ha promosso in tutto il territorio nazionale una serie di azioni impegnative al fine di qualificare e aggiornare il personale docente, sia per quanto riguarda la preparazione iniziale negli Istituti Superiori di Scienze Religiose, sia per quanto riguarda la formazione in servizio, nonché lo sviluppo professionale di chi era già in servizio, mediante differenti corsi a livello nazionale e locale, anche in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca.

La professionalità, correttamente intesa, non è certo solo la padronanza di conoscenze e competenze legate ai processi di apprendimento scolastico. Non può prescindere, infatti, da un’ avvertita intenzionalità educativa che accompagna una profonda e radicata motivazione interiore che è alla base anche di una spiritualità vissuta. Queste caratteristiche sono condizioni essenziali perché l’opera del docente sia in grado di fermentare positivamente l’ambiente scolastico e proporsi come una vera risorsa per l’intera scuola.

E l’esperienza concreta, che abbiamo potuto registrare in questi anni, dice come gli insegnanti di religione cattolica, con le loro competenze, siano apprezzati nei contesti scolastici in cui operano, risultando punti di riferimento anche per i colleghi delle altre materie condividendo con loro la passione educativa.

L’insegnante di religione cattolica è, nella scuola, “segno” visibile che rimanda alla comunità cristiana, cioè la comunità che vive la fede, nella quale egli è profondamente inserito, anzi ne è l’espressione viva e riconosciuta anche giuridicamente mediante l’istituto dell’idoneità che gli dà l’approvazione documentale dell’ appartenenza ecclesiale.

Questo riconoscimento non si sovrappone né tanto meno contrasta con il quadro scolastico educativo, bensì lo rafforza e lo precisa, garantendo meglio la dignità professionale e morale dell’Insegnante di religione cattolica.

L’idoneità, certamente, non è paragonabile a un diploma che abilita ad insegnare correttamente la religione cattolica. E a questo proposito, la Nota dei Vescovi del 1991, tuttora valida nei suoi aspetti fondamentali, che presto potrà essere riproposta arric
chita di quelle riflessioni attente al nuovo contesto scolastico, spiega che l’idoneità ecclesiastica «non si sovrappone, né tanto meno contrasta» con la prospettiva dell’IRC curricolare3.

Preparazione culturale e professionale, intenzionalità educativa, forte legame con la comunità: questo è il profilo sostanziale degli insegnanti di religione cattolica, uomini e donne cui la Chiesa italiana sente di dover essere profondamente grata; perché essi svolgono una professione che è tra le più alte e allo stesso tempo realizzano la loro vocazione, vocazione che si pone al servizio della persona, un servizio educativo non facile ma nello stesso tempo appassionante e decisivo, e oggi sempre più prezioso, verso le giovani generazioni. Lo abbiamo dichiarato anche al Convegno di Verona (2006) che la Chiesa realizza il suo impegno educativo anche avvalendosi dell’impegno profuso nella scuola dagli insegnanti di religione cattolica.

Nel 1991 avevamo tracciato un identikit dell’insegnante di religione cattolica e lo avevamo definito come “uomo della sintesi”, sottolineando, con questa caratterizzazione, il suo trovarsi su crinali diversi, tra fede e cultura, Vangelo e storia, tra comunità ecclesiale e scuola, tra aspirazioni e bisogni degli alunni. Ancora oggi questa definizione trova concretezza nell’esperienza di vita di tanti insegnanti di religione cattolica, che – come recita il titolo di questo Meeting – non si vergognano del Vangelo, anzi lo testimoniano con una passione educativa coraggiosa e coerente.

La loro professionalità, spesa nel servizio alle persone, cioè ai bambini, ai ragazzi e ai giovani che abitano la scuola che persegue le sue finalità educative e formative, è autentica testimonianza, anche, di una Chiesa che, nello spirito del Concilio Ecumenico Vaticano II, rifugge dai privilegi, non vuole per sé rendite di posizione, ma cerca di “farsi carne”, di immergersi nella pasta come lievito per promuovere la persona umana, e “fare nuove tutte le cose”: siamo sempre più convinti che il cristianesimo con la sua presenza cattolica, come pensiero, come cultura, come esperienza politica e sociale, è un fattore fondamentale e imprescindibile nella storia del Paese, ….e con la sua forza è in grado di animare le molte culture che oggi vi coabitano, al fine di promuovere la civiltà dell’amore. I Vescovi italiani vi ringraziano, vi stimano, vi sono vicini!

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1 La Nota afferma che non si può “tralasciare di rendere agli alunni un servizio adeguato per il risveglio, l’interpretazione e la maturazione del senso religioso”. E specificatamente, a proposito dell’insegnamento religioso si sottolinea che, in una “scuola formativa” appare “legittima, anzi doverosa” l’istituzione “di un servizio adeguato per lo sviluppo critico e la maturazione del senso religioso” (UCN, Nota sull’insegnamento della religione nelle scuole superiori, Roma, 1971, n. 5).

2 Un insegnamento, che fosse, “non confessionale”, renderebbe il fatto religioso un elemento non legato all’esperienza di vita delle persone riducendolo a teoria religiosa “disincarnata” dalla realtà e dalla concretezza dei vissuti, incapace, di fatto, di dare un reale contributo alla comprensione della stessa cultura italiana con il suo ampio e diffuso patrimonio etico, storico, letterario e artistico….

3 L’idoneità “non è paragonabile a un diploma che abilita ad insegnare correttamente la religione cattolica. Essa stabilisce tra il docente di religione e la comunità ecclesiale nella quale vive un rapporto permanente di comunione e fiducia, finalizzato ad un genuino servizio nella scuola” (Nota Cei, Insegnare religione cattolica oggi, Roma 19 maggio 1991, n. 22).

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ZENIT Staff

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