L’Humanae vitae: il coraggio di Paolo VI e l’attacco alla Chiesa

Un libro svela i tentativi di indebolire il magistero papale

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di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 6 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Quando fu pubblicata, il  25 luglio 1968, scatenò un putiferio, non solo tra coloro che avversavano la Chiesa, ma anche all’interno della gerarchia e del clero cattolico.

Il 30 luglio del 1968 il New York Times pubblicò un appello di oltre duecento teologi, che invitava i cattolici a disubbidire all’enciclica Humanae vitae.

Il clero e la conferenza episcopale olandese si ribellarono e il 6 dicembre del 1968, 774 cattolici francesi scrissero una lettera molto critica al Pontefice in merito alla stessa enciclica.

Il clamore e le critiche offesero così tanto Paolo VI che da allora non pubblicò più una enciclica.  

In merito all’Humanae vitae, Giovanni Maria Vian, Direttore de “L’Osservatore Romano”, ha ricordato cosa scrisse nel 1995 il Cardinale Joseph Ratzinger: “Raramente un testo della storia recente del Magistero è divenuto tanto un segno di contraddizione come questa Enciclica, che Paolo VI ha scritto a partire da una decisione profondamente sofferta”.

Su quanto era accaduto il 29 giugno del 1972, Papa Paolo VI disse che “attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa”.

In un volumetto dal titolo “La profezia di Paolo VI. L’enciclica Humanae vitae (1968)” (Edizioni Cantagalli 90 pagine, 9,90  Euro), monsignor Michael Schooyans, docente emerito dell’Università di Lovanio, ha spiegato l’importanza di quell’enciclica.

“Oggi, di fronte agli inquietanti sviluppi dell’ingegneria genetica – ha precisato – l’Humanae vitae appare lucida e profetica quando dichiara che ‘se non si vuole esporre all’arbitrio degli uomini la missione di generare la vita, si devono necessariamente riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo e sulle sue funzioni; limiti che a nessun uomo, sia privato, sia rivestito di autorità, è lecito infrangere’”.

Monsignor Schooyans, già docente presso l’Università cattolica di San Paolo, ha pubblicato molti libri di successo sui temi che riguardano le politiche demografiche e la morale sociale.

Schooyans è inoltre membro dell’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali (Roma), dell’Accademia Pontificia per la Vita (Roma), dell’Accademia messicana di Bioetica (Messico), del Population Research Institute (Washington) e dell’Istituto di Demografia Politica (Parigi).

In questo saggio, il sacerdote belga racconta che nel 1968 il Pontefice era sotto pressione perché da più parti si invocava un suo pronunciamento in merito alla contraccezione per le coppie sposate, che una Commissione al Concilio Vaticano II aveva promosso e accettato.

Dopo tante preghiere e ore passate in Chiesa per decidere sul da farsi, il Pontefice pubblicò quell’enciclica in cui ribadì che non bisognava dividere l’amore coniugale dalla responsabilità procreativa.

Mentre infuriava la rivoluzione sessuale sullo slogan “vietato vietare”, Paolo VI ebbe la forza e il coraggio di opporsi a quello che sembrava il parere della maggioranza.

Secondo Schooyans, Paolo VI fu profetico nell’opporsi al relativismo morale. Opponendosi alla contraccezione difese infatti il matrimonio, la dignità e la salute delle donne, e contrastò il controllo e la selezione delle nascite.

“Se Paolo VI avesse ceduto sul tema della contraccezione – ha scritto il professore belga – avrebbe aperto la porta ad un naufragio in campo morale, avrebbe cioè sconfessato la ragione, capace di discernere il vero dal falso, il bene dal male”.

“Inoltre – sottolinea Schooyans -, egli avrebbe avviato una crisi capace di scuotere tutta la teologia dogmatica: Creazione, Incarnazione, Ecclesiologia”.

Per il professore belga, “la principale sfida dell’Humanae vitae, la questione veramente fondamentale, è quella dell’autorità del Papa e del rapporto con la Tradizione. Si voleva, né più né meno, cercare di convincere Paolo VI a sconfessare Pio XI e portarlo a distruggere la propria autorità e quella dei suoi successori”.

Nel saggio pubblicato da Cantagalli, Schooyans illustra come “la collegialità che nello spirito di Giovanni XXIII doveva  rafforzare l’unità attorno a Pietro, era stata deviata dal suo senso originario”.

Il docente belga si dice inoltre convinto che “secondo il significato distorto che volevano dargli i revisionisti, la collegialità avrebbe significato che il Papa avrebbe dovuto, da quel momento in poi avvallare le decisioni prese collegialmente dai Vescovi, dagli esperti e dal popolo di Dio”.

“In un certo modo – afferma Schooyans -, si fa appello al Concilio contro il Papa il quale avrebbe dovuto allinearsi alla posizione della maggioranza emersa da una procedura collegiale. Egli in questo modo sarebbe stato privato dell’autorità legata al suo primato”.

Nella parte centrale del libro Schooyans spiega come quell’ideologia a cui l’Humanae vitae si è opposta abbia portato all’attuale “suicidio demografico dell’Europa”, e conclude proponendo una cultura e una serie di misure legislative e politiche per favorire il rafforzamento della famiglia naturale e la libera nascita di bambini e bambine.

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ZENIT Staff

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