"L'enciclica" di Papa Francesco al C.E.L.A.M.

Nel discorso ai “fratelli” dell’episcopato latinoamericano, il 28 luglio, il Pontefice ha invocato una profonda riforma della Chiesa universale, a partire dal cuore dei cristiani

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Vedere la storia con gli occhi della fede è veramente qualcosa di unico. Quando Benedetto XVI ha convocato, tre anni fa, la Giornata mondiale della gioventù in Brasile, solo lo Spirito Santo poteva immaginare che essa sarebbe coincisa con il primo viaggio del primo Papa latinoamericano nel suo continente.

Del tutto inaspettato, anche il fatto che questo Papa venuto “dalla fine del mondo” avrebbe richiamato oltre 3 milioni di giovani di 178 paesi, avrebbe visitato una favelas, che si sarebbe lasciato “abbracciare” dal popolo, che avrebbe portato tenerezza agli ex drogati e ai detenuti, avrebbe visto la presenza di 1.500 vescovi e 60 cardinali. Di queste meraviglie il Signore ci ha fatto testimoni e spettatori grazie anche ai vecchi e new media.

Tra i vari eventi, quello meno sottolineato dai mezzi di comunicazione è stato l’incontro con i Vescovi responsabili del Consiglio Episcopale Latinoamericano (C.E.L.A.M.), in occasione della riunione generale di coordinamento presso il Centro Studi di Sumaré, a Rio de Janeiro, il 28 luglio. Il Pontefice ha parlato a 45 vescovi del Comitato di coordinamento del CELAM, ma il suo discorso riguardava la Chiesa universale.

Dalle parole del Santo Padre è emerso che Francesco vuole una Chiesa sinodale. Già se ne era avuta prova sin dai primi giorni della sua elezione, salutando i vescovi delle “Chiese particolari” come vescovo di Roma, inviato nelle diocesi di altri vescovi, e non come “Capo” della Chiesa.

Allo stesso modo, quando il 27 e il 28 luglio si è rivolto ai suoi “fratelli” vescovi del Brasile, lo ha fatto non tanto nella forma ex cattedra, ma in maniera sinodale, invitando al dialogo attraverso una serie di domande e proposte e ascoltando le testimonianze dei presuli.

Un “forma” di Chiesa, questa, che Papa Francesco riprende dal Concilio Vaticano II, specificatamente dalla Lumen Gentium che afferma che il Papa è “primus inter pares”, il primo tra gli altri a prendere posto in un collegio episcopale a cui spetta il compito del governo della Chiesa. Quindi non decide da solo in maniera arbitraria o monarchica.

Questa svolta è l’architrave fondamentale dell’ecclesiologia di Papa Francesco. Il discorso del Santo Padre al CELAM è partito ponendo al centro la conferenza di Aparecida (2007). Il Papa ha ricordato il modo originale con cui l’America latina ha incarnato il Concilio Vaticano II e ha parlato di “giudicare”, “agire” e di “vedere”.

Riflettendo sulla missione continentale, che fu il grande impegno della Chiesa latinoamericana e caraibica nel 2007, il Pontefice è tornato sull’importanza di “un cambiamento delle strutture da caduche a nuove” che – ha sottolineato – “non è frutto di uno studio sull’organizzazione dell’impianto funzionale ecclesiastico”, ma dipende dai “cuori dei cristiani”, precisamente dalla “missionarietà”.

Ciò che il Papa chiede alla Chiesa è di convertire in chiave missionaria le attività abituali delle Chiese e che ogni riforma delle strutture ecclesiali sia “conseguenza della dinamica della missione”. Per tale motivo ha interrogato i suoi confratelli: “Facciamo in modo che il nostro lavoro e quello dei nostri presbiteri sia più pastorale che amministrativo? Chi è il principale beneficiario del lavoro ecclesiale, la Chiesa come organizzazione o il Popolo di Dio nella sua totalità?”. E ancora: “Rendiamo partecipi della missione i fedeli laici? È un criterio abituale il discernimento pastorale, servendoci dei Consigli Diocesani? Tali Consigli, e quelli parrocchiali di Pastorale e degli Affari Economici sono spazi reali per la partecipazione laicale nella consultazione, organizzazione e pianificazione pastorale?”.

In quest’ottica di rinnovamento, il Pontefice pone domande precise sui laici e sul modo in cui vescovi e preti diano loro “la libertà perché vadano discernendo, conformemente al loro cammino di discepoli, la missione che il Signore affida loro”. Lo fa mettendo il dito nella piaga di ciò che ritarda ancora l’attuazione di un pieno coinvolgimento dei laici e il funzionamento dei consigli pastorali diocesani, ovvero una certa deriva clericale che ha portato tanti a privilegiare dogmi e direttive piuttosto che la vicinanza alla gente e la comprensione delle fatiche.

Il tema successivo toccato dal Papa riguarda invece il rapporto con il mondo. Bergoglio cita il Vaticano II per spiegare il fondamento del dialogo con la società contemporanea: “Le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri e di quanti soffrono, sono a loro volta gioie e speranze, tristezze e angosce dei discepoli di Cristo” ha affermato.

Bisogna prestare attenzione – ha proseguito – ai nuovi linguaggi, agli “scenari e aeropaghi più svariati”. “Se noi rimaniamo nei parametri della ‘cultura di sempre, il risultato finirà con l’annullare la forza dello Spirito Santo. Dio sta in tutte le parti: bisogna saperlo scoprire per poterlo annunciare nell’idioma di ogni cultura; ogni realtà, ogni lingua, ha un ritmo diverso”.

Altro punto toccato dal Pontefice riguarda alcune “tentazioni” contro i missionari. La prima è “l’ideologizzazione del messaggio evangelico” che scade in una “pretesa interpretativa” fondata sulle scienze sociali, che comprende i campi più diversi, “dal liberismo di mercato fino alle categorizzazioni marxiste”. C’è poi l’ideologizzazione “psicologica”, una tentazione elitaria basata soprattutto sui ritiri spirituali, che finisce col risultare “un atteggiamento immanente e autoreferenziale”. Ancora: la “proposta gnostica” di gruppi e élites di “cattolici illuminati” che avanzano la pretesa di una “spiritualità superiore, disincarnata dalla storia”, e infine “la proposta pelagiana”, che appare “sotto forma di restaurazione”.

Papa Francesco, non esitando ad usare la parola “seduzione” o “astuzia evangelica”, propone invece una Chiesa più “pastorale”, che sappia accogliere prima di giudicare In queste parole c’è la visione ignaziana del camminare accanto delle persone a partire dalla situazione in cui vivono, e non da una morale stabilita a priori.

Altre due tentazioni sottolineate dal Santo Padre sono il “funzionalismo”, cioè una concezione “che non tollera il mistero”, ma “va all’efficacia”, riducendo “la realtà della Chiesa a una ONG”. Per Papa Francesco, infatti, molti fedeli hanno lasciato la Chiesa perché “essa non ha saputo raggiungerli là dove loro erano”. E poi il “clericalismo”, una “complicità peccatrice” in cui “il parroco clericalizza e il laico è disponibile a lasciarsi clericalizzare”. Il fenomeno del clericalismo – ha osservato – è alimentato in gran parte dalla “mancanza di maturità e libertà cristiana” nel laicato.

“Il laico – ha detto – o non cresce, o si rannicchia sotto coperture di ideologizzazioni già viste, o in appartenenze parziali e limitate. Esiste nelle nostre terre una forma di libertà laicale attraverso esperienze di popolo: il cattolico come popolo”.

Il Papa ha esortato pertanto ad impegnarsi nell’oggi avendo il passato come memoria e il futuro come promessa, ma sapendo che l’invito al discepolo è all’impegno nella realtà quotidiana. “Il discepolo – ha infatti ribadito – vive in tensione verso le periferie… incluse quelle dell’eternità nell’incontro con Gesù Cristo”. Nell’annuncio evangelico abitualmente abbiamo paura di uscire dal centro; il missionario è invece un “decentrato” inviato da Cristo, “non è una persona isolata in una spiritualità intimista, ma una persona in comunità per darsi agli altri”.

Infine, dopo aver messo in guardia dalla “proiezione utopica” verso il futuro e da quella “restaurazionista” verso il passato, il Papa ha spiegato che “Dio è reale e si manifesta nell’oggi”. La Chiesa quando “si erige in “centro” pretende di avere luce propria, diventa più autoreferenziale e da “serva” si trasforma in “c
ontrollore’”.  Esistono, ha sottolineato Francesco, pastorali “lontane” che “privilegiano i principi, le condotte, i procedimenti organizzativi”, senza alcuna “vicinanza, tenerezza, carezza”. Per questo ha ribadito l’invito ai vescovi ad essere “pastori vicini alla gente”¸ pazienti e misericordiosi. I presuli, ha concluso, “devono amare la povertà, anche quella esteriore”, la “semplicità e austerità di vita”, senza avere la “psicologia da prìncipi” e senza essere “ambiziosi”.

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Carmine Tabarro

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