L'anima esiste ed è immortale (Quarta parte)

L’antropologia di Cartesio: l’anima è immortale / 1

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E’ necessario conoscere il metodo filosofico elaborato da Cartesio per comprendere la sua antropologia, la quale, scindendo l’essere umano in due sostanze irrelate: il corpo e lo spirito, ha confutato di fatto il concetto di persona, elaborato da Boezio e Leonzio da Bisanzio nei primi secoli del Cristianesimo per rispondere alle controversie cristologiche sorte in Occidente e in Oriente.

San Tommaso, al contrario, ha condiviso il concetto di persona elaborato da Boezio e ne ha sviluppato le potenzialità, considerando l’essere umano come uno spirito incarnato, che conosce la realtà tramite i sensi e l’intelletto e  la cui anima spirituale e immortale  è essenzialmente unita al corpo, al quale comunica l’esistenza.

Cartesio, studioso di matematica e di fisica, era attratto dal metodo scientifico perché costatava che, mentre la filosofia era “un campo di battaglie senza fine”, come dirà in seguito Kant, le scienze garantivano un sapere certo e condiviso dalla comunità degli scienziati.

Secondo il filosofo era necessario elaborare un metodo rigoroso come quello matematico che consentisse anche alla filosofia di acquisire un sapere incontrovertibile, certo e vero. Questo metodo verrà individuato nel dubbio metodico, in base al quale è necessario “dubitare generalmente di tutte le cose”[i], quindi di tutto il sapere filosofico e scientifico tramandato.

La ragione umana può essere ingannatrice e anche le conoscenze scientifiche più elementari possono essere false, come, in generale, i pensieri dell’uomo possono essere illusori.

Scrive: “Poiché vi sono molti uomini che si ingannano ragionando anche intorno a semplici argomenti di Geometria e cadono in paralogismi, io stimando di potermi ingannare come qualsiasi altro, rifiutai come falsi tutti i ragionamenti che avevo sino allora accettato come dimostrazioni. Infine considerando che gli stessi pensieri che abbiamo quando siamo desti possono presentarsi anche durante il sonno, senza che in tal caso ve ne sia alcuno vero, decisi di fingere che tutto ciò che avevo fino allora appreso non fosse più vero dell’illusione dei miei sogni”[ii].

Secondo Cartesio è necessario fare tabula rasa di tutte le conoscenze acquisite, quindi “una buona volta toglierle di mezzo al fine di sostituirle poi con altre migliori […]”[iii].

Il dubbio cartesiano è universale, investe quindi ogni forma di conoscenza, e deve consentire al pensiero umano di scoprire la verità, liberandolo dai pregiudizi. Il filosofo afferma infatti che “l’utilità di un dubbio così generale […] è grandissima in questo, che quel dubbio ci libera da ogni sorta di pregiudizi, […] e grazie ad esso non potremo avere alcun dubbio su quel che scopriremo […] come vero”[iv].

Il dubbio riguarda anche l’esistenza delle cose, poiché “lo spirito […], usando della sua propria libertà, suppone che tutte le cose, della cui esistenza è possibile anche il minimo dubbio, non esistano”[v].

Tramite l’esercizio metodico del dubbio, Cartesio intende pervenire a una forma di conoscenza apodittica, capace di mostrare le ragioni intrinseche del suo valore di verità e, per fugare ogni possibilità di errore, arriva perfino a ipotizzare che “un Dio” potrebbe volere “che io mi inganni tutte le volte che faccio l’addizione di due e di tre, o che enumero i lati di un quadrato”[vi]. Questo “Dio” potrebbe quindi falsificare anche “quel che concepisco chiaramente e distintamente”[vii].

Successivamente il filosofo ha abbandonato l’ipotesi del “Dio” ingannatore, teologicamente insostenibile, con quella del “genio maligno” che potrebbe illudere l’essere umano dell’apparente esistenza della realtà. Scrive: “Io penserò che il cielo, l’aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutte le cose esterne che vediamo, non siano che illusioni e inganni, di cui egli stesso si serve per sorprendere la mia credulità. Considererò me stesso come privo affatto di mani, di occhi, di carne, di sangue, come non avente alcun senso, pur credendo falsamente di avere tutte queste cose”[viii].

Il modo di pensare di Cartesio sembra assimilabile allo Scetticismo, ma il filosofo risponde a questa possibile obiezione affermando: “In tal modo non intendevo imitare gli Scettici, che dubitano solo per dubitare e si compiacciono di mostrarsi sempre irresoluti, ma, al contrario, il mio progetto mirava soltanto a farmi acquistare la certezza e a rimuovere la terra mobile e la sabbia per trovare la roccia o l’argilla”[ix].

Il filosofo trova questa “roccia” nell’io, realtà certa e vera, che è l’unica res assolutamente indubitabile e che può, conseguentemente, essere il fondamento della nuova filosofia che Cartesio intende edificare. Afferma infatti: “Mi accorsi che, mentre volevo pensare che tutto fosse falso, era necessario che io, che lo pensavo, fossi qualcosa; e notando che questa verità: io penso, dunque sono, era così salda e certa che tutte le stravaganti supposizioni degli Scettici non avrebbero potuto smuoverla, pensai che avrei potuto accettarla senza timore come primo principio della Filosofia che andavo cercando”[x].

L’io è quindi il “primo principio”, quindi il punto di partenza della riflessione filosofica; ma, cos’è l’io?

Il filosofo pone a se stesso questa domanda: “Ma che cosa, dunque, sono io? Una cosa che pensa. E che cos’è una cosa che pensa? E’ una cosa che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche e che sente”[xi].

L’io è essenzialmente una sostanza pensante, res cogitans, che può dubitare dell’esistenza del mondo e anche del proprio corpo tranne della sua esistenza. Scrive: “Esaminando con attenzione ciò che ero e vedendo che potevo immaginare di non avere nessun corpo e che non esistesse assolutamente il mondo né alcun luogo ove dimorassi, ma che per questo non potevo supporre di non esistere e che, al contrario, dal fatto stesso che pensavo di dubitare della verità delle altre cose, seguiva molto evidentemente e certamente che io esistevo mentre, solo che io avessi cessato di pensare, anche se tutto ciò che sempre avevo immaginato fosse stato vero, non avrei avuto nessuna ragione per credere di essere esistito, da ciò conobbi di essere una sostanza, la cui essenza tutta, o natura, non sta che nel pensare […]”[xii].

(La terza parte è uscita sabato di novembre. La quinta parte sarà pubblicata sabato 16 novembre)

*

NOTE

[i] Cartesio, Meditazioni metafisiche, in Opere filosofiche, vol. II, Laterza, Roma-Bari, 1986, p. 13.

[ii] Idem, Discorso sul metodo, a cura di G. Brianese, Paravia, Torino 1988, p. 71.

[iii] Ibidem, 53.

[iv] Idem, Meditazioni metafisiche, cit., p. 13.

[v] Ibidem.

[vi] Ibidem, p. 20.

[vii] Ibidem, p. 34.

[viii] Ibidem, p. 22.

[ix] Idem, Discorso sul metodo, cit., p. 67.

[x] Ibidem, p. 72.

[xi] Idem, Meditazioni metafisiche, cit., p. 27. Il corsivo è mio.

[xii] Idem, Discorso sul metodo, cit., p. 73.

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Maurizio Moscone

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