Interventi per la terza Congregazione generale nella mattina del 6 ottobre

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 7 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi tenutisi martedì mattina alla terza Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi sull’Africa.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

* * *

RIFLESSIONE DEL DELEGATO FRATERNO SUA SANTITÀ ABUNA PAULUS, PATRIARCA DELLA CHIESA TEWAHEDO ORTODOSSA ETIOPE (ETIOPIA)

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, amen!
Cari partecipanti a questo grande incontro di Cardinali e Vescovi,
è per me un onore e un privilegio essere stato invitato a questo grande Sinodo e di tenere un breve discorso sull’Africa e sulle Chiese in questo continente. Sono grato in particolar modo a Sua Santità, Papa Benedetto XVI, che ha voluto che fossi fra voi oggi e che mi ha testimoniato personalmente il suo amore per l’Africa e il suo rispetto per la Chiesa etiope ortodossa Tewahedo nel corso del nostro ultimo incontro fraterno qui a Roma nel giugno scorso.
L’Africa è, per grandezza, il secondo continente. È la patria di ogni genere di popolazioni con una grande varietà di colori, che vivono in una situazione di armonia e di uguaglianza.
Questo spettro di colori è un dono di Dio all’Africa e aggiunge bellezza al continente. È inoltre la prova che l’Africa è un continente in cui ogni genere di persone vive nell’uguaglianza a prescindere dalla differenza di colore e di razza.
Antropologi, filosofi e accademici hanno confermato che l’Africa in generale e l’Etiopia in particolare sono in effetti la culla del genere umano. E la sacra Bibbia conferma questa profonda convinzione. La storia, secondo il calendario etiope, comincia da Adamo e da Noè. Vale a dire che, per gli etiopici, l’inizio del genere umano, il nostro presente e il nostro futuro sono segnati oggi e per sempre da Dio e dalla sua salvezza.
L’Africa, la cui antica dignità di popolo è incisa sulle pietre dell’obelisco di Axum, delle piramidi egizie, dei monumenti così come nei manoscritti, non è stata solo una sorgente di civiltà. Secondo la Sacra Bibbia, l’Africa è stata anche rifugio per persone colpite dalla fame: è questo il caso degli Ebrei ai tempi di Giacobbe , quando trascorsero sette anni in Egitto.
La Sacra Bibbia afferma che gli ebrei e il profeta Geremia che soffrirono molto per l’invasione dei babilonesi trovarono scampo in Etiopia e in Egitto. Quanti vivevano nella parte mediorientale del mondo trovarono sollievo dalla fame in Etiopia e in Egitto.
Lo stesso Gesù Cristo e Maria santissima furono accolti in Egitto, mentre fuggivano dalla crudele minaccia di Erode. È evidente che gli africani si prendono cura dell’umanità!
L’Africa continua a essere un continente religioso i cui popoli hanno creduto in Dio onnipotente per secoli. La regina di Saba aveva insegnato ai suoi compatrioti l’Antico Testamento che aveva appreso da Israele. Da allora l’Arca dell’Alleanza si trova in Etiopia, nella città di Axum.
Il figlio della regina di Saba, Menelik I, aveva seguito il suo esempio ed era riuscito a portare l’Arca dell’Alleanza di Mosè in Africa, in Etiopia.
La storia dell’eunuco etiope e della Legge forte e ben organizzata di Mosè e delle profonde pratiche e culture religiose esistenti in Etiopia indicano che la Legge di Mosè in Etiopia veniva messa in pratica meglio che in Israele. Se ne può avere una testimonianza ancora adesso, studiando la cultura e lo stile di vita degli etiopi.
È ad Alessandria, in Egitto, che la santa Bibbia è stata tradotta in lingue non ebree. Questa traduzione africana è conosciuta come la “Versione dei Settanta saggi” (Sebeka Likawunt).
La Sacra Scrittura indica che, come ai tempi remoti dell’Antico Testamento, gli africani hanno l’abitudine adorare Dio secondo la legge di coscienza del periodo del Nuovo Testamento.
L’allora re dei re etiope, l’imperatore Baldassarre fu uno dei re che si recò a Betlemme per adorare il Bambino Gesù.
Il Vangelo ci dice che fu un africano, un uomo proveniente dalla Libia di nome Simone di Cirene, a prendere su di sé la croce di Gesù, mentre saliva sul Golgota.
E osservate: un eunuco etiope si era recato a Gerusalemme nel 34 dC per adorare Dio secondo la Legge di Mosè. Per ordine dello Spirito Santo l’eunuco fu battezzato da Filippo. Al suo ritorno in Africa, egli predicò il cristianesimo alla sua nazione. L’Etiopia divenne quindi la seconda nazione dopo Israele a credere in Cristo; e la Chiesa etiopica divenne la prima Chiesa in Africa.
Grandi storie di fede hanno caratterizzato i primi secoli del cristianesimo in Africa, poiché gli africani hanno sempre vissuto una profonda carità e una grande devozione per il Nuovo Testamento.
L’Africa è la regione da cui provengono eminenti studiosi e Padri della Chiesa come sant’Agostino,. San Tertulliano, san Cipriano, come pure sant’Anastasio e san Kerlos. Questi Padri vengono venerati sia nel continente che nel mondo.
San Yared, che ha composto bellissimi inni sacri e che il mondo onora per la sua straordinaria creatività, era parimenti originario dell’Africa. San Yared è un figlio dell’Etiopia. I suoi inni rappresentano una delle meraviglie mondiali per cui l’Etiopia è conosciuta ovunque. Le opere di tutti questi Padri caratterizzano l’Africa.
Secondo gli studiosi, è in Africa che è stato definito il primo canone della Sacra Bibbia.La storia ci ricorda anche il martirio dei cristiani in Nordafrica, quando il loro re, un non credente, alzò la spada contro di loro nel tentativo di distruggere completamente il cristianesimo. Allo stesso tempo cristiani che venivano maltrattati e perseguitati in diverse parti del mondo sono andati in Africa, specialmente in Etiopia, e hanno vissuto in pace in quella regione.
Devoti fedeli etiopici hanno offerto la loro straordinaria ospitalità ai nove Santi e ad altre decine di migliaia di cristiani che erano stati perseguitati in Europa orientale e fuggivano in Africa in gruppi. Le abitazioni e le tombe di questi cristiani perseguitati sono state custodite come santuari in diverse parti dell’Etiopia.
In Africa e in Etiopia conserviamo pezzi della Santa Croce. La parte destra della Croce si trova in Etiopia, in un luogo chiamato la Montagna di Goshen.
Anche i cristiani in Africa si sono fatti carico della Croce di Cristo. Penso alla mia Chiesa che ultimamente ha sofferto una dura persecuzione durante la dittatura comunista, con molti nuovi martiri, tra cui il patriarca Teofilo e, prima di lui Abuna Petros durante il periodo coloniale. Io stesso, che allora ero vescovo, ho trascorso diversi anni in prigione prima dell’esilio. Quando sono diventato patriarca, al termine del periodo comunista, c’era molto da ricostruire. È stato questo il nostro compito, con l’aiuto di Dio, le preghiere dei nostri monaci e la generosità dei fedeli.
L’Africa è un continente potenzialmente ricco, con un suolo fertile, risorse naturali e una grande varietà di specie vegetali e animali. L’Africa ha un buon clima e possiede molti preziosi minerali. Poiché è un continente con molte risorse naturali non ancora sfruttate, molti le tengono gli occhi addosso. È inoltre innegabile che i progressi nella civiltà in altre parti del mondo siano il risultato delle fatiche e delle risorse dell’Africa.
Gli africani hanno fatto tante opere sante per il mondo. Cosa ha fatto il mondo per loro?
L’Africa è stata colonizzata con brutalità e le sue risorse sono state sfruttate. Le nazioni ricche che si sono sviluppate sfruttando l’Africa se ne ricordano quando hanno bisogno di qualcosa. Non hanno mai appoggiato il continente nella sua lotta per lo sviluppo.
Tutte e ciascuna delle nazioni del continente affrontano diversi problemi e sfide. I problemi possono essere sociali, politici, economici, come pure spirituali.
Mentre le condizioni di vita delle popolazioni dell’Africa sono più basse rispetto al resto del mondo, vi sono alcune cause che fanno sì che questi già poveri standard di vita peggiorino e si espandano in tutto il continente. La mancanza di accesso all’educazione rappresenta il problema più grande, perché i giovani non riescono ad avere un’istruzione adeguata. Nessun paese e nessun popolo può svilupparsi e prosperare senza istruzione e cono
scenza.
Come tutti ben sappiamo, non è stato possibile sconfiggere la pandemia dell’HIV/AIDS nonostante gli sforzi incessanti. Tuttavia dobbiamo incoraggiare tutte quelle esperienze che ci mostrano come guarire e resistere alla malattia, per dare speranza creando sinergia e fornendo all’Africa gli stessi trattamenti che ha ricevuto l’Europa. Allo stesso tempo altri generi di patologie attualmente ci minacciano. Rivolgiamo un appello al mondo perché operi in armonia a questo proposito. Il Concilio delle Chiese in Africa sta facendo ogni sforzo per limitare i problemi che sono emersi nel continente, soprattutto il caos che stanno creando gli estremisti. I capi religiosi del cristianesimo e i fedeli in generale devono prendersi per mano in questa impresa.
L’Africa è oppressa da un pesante debito globale, che né questa, né la generazione futura potranno colmare.
Come possiamo condannare la guerra civile, di solito combattuta da soldati bambini, che sono le stesse vittime di questi tragici atti di violenza? Come condannare gli spostamenti e le migrazioni palesi e clandestine delle popolazioni?
La legislazione internazionale sui diritti umani afferma che ogni persona sotto i 18 anni non può far parte di un gruppo armato perché è “minore”. Tuttavia attualmente alcuni paesi stanno costringendo ad arruolarsi nell’esercito ragazzi al di sotto dei 18 anni. Questa è una palese violazione dei diritti umani. È quindi imperativo per i capi delle Chiese africane esigere a una sola voce che questi comportamenti vengano immediatamente abbandonati.
Per questo vorrei servirmi di questa assise per sollecitare tutti i capi religiosi a operare per la pace, a proteggere le ricorse naturali che Dio ci ha donato e a difendere la vita e l’innocenza dei bambini.
In numerosi paesi africani, alcune necessità basilari quali il cibo, l’acqua potabile e l’alloggio non sono disponibili. In generale la maggior parte degli africani vive in una situazione in cui scarseggiano le infrastrutture e i servizi umani fondamentali. Anche se l’Africa si è liberata dal colonialismo da tempo, esistono ancora molte situazioni che la rendono dipendente dai paesi ricchi. L’enorme debito, lo sfruttamento delle sue risorse naturali da parte di pochi, la pratica agricola tradizionale e l’insufficiente introduzione di moderni sistemi di agricoltura, la dipendenza delle popolazioni dalle piogge, che incidono negativamente sulla sicurezza alimentare, la migrazione e la fuga dei cervelli colpiscono duramente il continente.
Spero che, avendo i Signori cardinali e vescovi già discusso precedentemente questi argomenti, oggi questo Sinodo voglia dibattere e proporre possibili soluzioni.
Credo che noi, guide religiose e capi delle Chiese, abbiamo un compito e una responsabilità veramente unici: riconoscere e sostenere, quando lo riteniamo necessario, i suggerimenti che vengono dalle persone, come pure, per contro, respingerli quando contravvengono al rispetto e all’amore per l’uomo, che affondano le proprie radici nel Vangelo.
Ci si aspetta che i cristiani siano messaggeri di cambiamenti nel portare la giustizia, la pace, la riconciliazione e lo sviluppo. È quello che ho visto fare con decisione e umiltà dalla Comunità di Sant’Egidio in tutta l’Africa: frutti di pace e di salvezza sono possibili e minano ogni forma di violenza con la forza e l’intelligenza cristiana dell’amore. I capi religiosi africani non devono preoccuparsi solo delle opere sociali, ma rispondere alle grandi necessità spirituali degli uomini e delle donne d’Africa.
L’apostolato e le opere sociali non possono essere trattati separatamente. L’impegno sociale è il senso dell’apostolato. Ogni parola deve tradursi in pratica. Quindi dopo ogni parola e promessa occorre che seguano azioni pratiche. Ci si aspetta inoltre che i religiosi promuovano la consapevolezza della gente affinché rispetti i diritti umani, la pace e la giustizia. La società ha bisogno degli insegnamenti dei suoi religiosi, che la aiuti a risolvere i suoi problemi in unità e a cessare di essere la vittima di un problema.
Perciò i capi delle Chiese africane, con il potere di Dio onnipotente e dello Spirito Santo, devono dar voce al linguaggio della Chiesa. È inoltre necessario capire quando, come e con chi parlare. Ciò va fatto per la sicurezza delle Chiese.
Sono veramente molto felice di partecipare a questo Sinodo della Chiesa cattolica sull’Africa. Sono un africano. La mia Chiesa è la più antica dell’Africa: una chiesa di martiri, santi e monaci. Offro il mio sostegno come amico e fratello a questo impegno della Chiesa cattolica per l’Africa. Ringrazio Sua Santità per l’invito e gli auguro una lunga vita e un ministero ricco di frutti.
Parliamo del Vangelo di Gesù Cristo al cuore degli africani e Gesù tornerà in Africa, come fece quando era bambino con la Vergine Maria. E con Gesù torneranno la pace, la misericordia e la giustizia.
Che Dio benedica le Chiese in Africa e i loro pastori! Amen!

[Testo originale: inglese]

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

– S. Em. R. Card. Angelo SODANO, Decano del Collegio Cardinalizio (CITTÀ DEL VATICANO)

Il 15 settembre del 1965 il compianto Papa Paolo VI istituiva un nuovo organismo di comunione ecclesiale tra i Vescovi ed il Successore di Pietro. E’ il nostro “Synodus Episcoporum “.
1. Quest’Istituzione è ormai diventata adulta con i suoi 44 anni di vita e mi sembra che le sue assemblee (finora ben 22) abbiano contribuito grandemente ai fini specifici che il Legislatore le aveva attribuito, nel solco indicato dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Sono i fini che il nuovo Codice di Diritto Canonico, nel 1993, ha poi così sintetizzato nei seguenti tre:
a. favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice ed i Vescovi;
b. prestare aiuto alla missione del Romano Pontefice;
c. studiare congiuntamente i problemi riguardanti l’attività della Chiesa nel Mondo (Can. 342).
Personalmente sono stato testimone della grande importanza di tali incontri, avendo partecipato alle ultime 12 Assemblee Sinodali, alcune generali ed altre speciali.
Ora il Santo Padre ha voluto nuovamente invitarmi ad essere membro del Sinodo, quasi in rappresentanza del Collegio Cardinalizio, l’altra millenaria Istituzione ecclesiale che è parimenti chiamata ad assistere il Romano Pontefice nella sua missione di Pastore della Chiesa universale (cfr. Can. 349).
Certo, fra di noi vi sono già vari Confratelli Cardinali, provenienti soprattutto dall’Africa. Sono però lieto di poter qui rappresentare simbolicamente tutti i 185 Cardinali del mondo intero, che in questo momento ci sono vicini con la loro preghiera e con il loro comune impegno apostolico.
2. Ogni Sinodo, come ogni Concistoro, è così destinato ad essere un momento di intensa comunione ecclesiale. In tale contesto, vorrei accennare al Cap. IV del nostro “Instrumentum laboris”, là ove si parla delle persone e delle istituzioni cattoliche chiamate ad operare nella realtà africana, in favore della riconciliazione, della giustizia e della pace. In tale capitolo si sottolinea la necessità della collaborazione dei Vescovi con le Conferenze Episcopali e di queste con il Simposio delle Conferenze dell’Africa e del Madagascar.
Sarà però bene ricordare che, in primo luogo, v’è la necessità di una stretta collaborazione, con la Sede Apostolica, e cioè con il Romano Pontefice ed i suoi Collaboratori.
Come è noto, nei vari Paesi d’Africa vi sono poi anche i Rappresentanti Pontifici: sono 26 generosi Nunzi Apostolici che mantengono i contatti con i Vescovi del Continente ed instaurano un dialogo costruttivo anche con le Autorità Civili, per favorire la libertà della Chiesa e contribuire all’opera di riconciliazione, di giustizia e di pace: le tre finalità di questo Sinodo.
Ricordando qui la missione dei Rappresentanti Pontifici, vorrei anche rendere omaggio dinnanzi a voi al compianto Nunzio Apostolico Mons. Michael Courtney, che fu barbaramente assassinato in Burundi il 29 dicembre del 2003, propr
io mentre si interessava per la riconciliazione fra i differenti gruppi etnici del Paese. Purtroppo egli dovette pagare con il sangue il suo abnegato servizio per la pacificazione di quella Regione.
3. Proprio per questo, ho notato con piacere che il tema della riconciliazione ha addirittura la priorità fra i tre grandi temi da studiare in questo Sinodo: riconciliazione, giustizia e pace.
In realtà, oggi vediamo più chiaramente l’enormità dei disastri provocati dal nazionalismo e dall’esaltazione del concetto di razza. Noi qui in Europa ne abbiamo fatto una triste esperienza nel corso dei secoli, fino a giungere all’ultima guerra mondiale, che in cinque anni provocò ben 55 milioni di morti!
Ora dobbiamo tutti lavorare perché tali tragedie del passato non si verifichino più. Come dimenticare che anche in Africa la furia omicida fra differenti gruppi etnici ha sconvolto interi Paesi? Basterebbe pensare al Rwanda ed ai Paesi limitrofi! Nel 1994 e negli anni successivi l’ideologia nazionalista giunse a provocare più di 800.000 morti, fra i quali tre membri generosi dell’Episcopato, con altri membri del clero e di varie congregazioni religiose.
Credo che dovremo ripetere a tutti, con maggiore insistenza, che l’amore alla propria Nazione (in concreto, al proprio popolo, alla propria gente) è certo un dovere del cristiano, ma dovremo anche aggiungere che la deviazione del nazionalismo è totalmente anticristiana. Certo il concetto di Nazione è molto nobile. Esso si è formato in ambiente cristiano, a giudizio di molti storici, dato che nell’antichità prevalevano piuttosto le figure della piccola tribù, da una parte, e del vasto Impero, dall’altra. Il Cristianesimo ha favorito invece l’aggregazione delle genti di una determinata regione, dando vita al concetto di popolo o Nazione, con una propria specifica identità culturale. Il Cristianesimo ha però sempre condannato ogni deformazione di tale concetto di Nazione, una deformazione che sovente cadeva nel nazionalismo o addirittura nel razzismo, vera negazione dell’universalismo cristiano. In realtà, i due principi basilari della convivenza umana cristiana sono sempre stati i seguenti: la dignità di ogni persona umana, da una parte, e l’unità del genere umano, dall’altra. Sono i due confini invalicabili, entro i quali possono poi evolversi i vari concetti di Nazione, a seconda dei tempi e dei luoghi. Ed in realtà vediamo oggi in Europa che molte Nazioni vanno integrandosi, ai fini di una convivenza più solidaria, e ciò con l’appoggio degli Episcopati locali e della stessa Sede Apostolica.
4. Concludendo, vorrei dire che le attuali 53 Nazioni africane avranno un grande avvenire, nel concerto delle 192 Nazioni che compongono oggi l’intera famiglia umana, se sapranno superare le loro divisioni e cooperare congiuntamente per il progresso materiale e spirituale dei loro popoli. Da parte sua, questo Sinodo vuole dimostrare ancora una volta ai nostri fratelli e sorelle dell’Africa che la Chiesa è loro vicina e vuole aiutarli nella loro missione di essere artefici di riconciliazione, di giustizia e di pace in tutto il Continente.

[Testo originale: italiano]

– S. Em. R. Card. Polycarp PENGO, Arcivescovo di Dar-es-Salaam, Presidente del Simposio di Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (S.E.C.A.M.) (TANZANIA)

Il tema di questo Sinodo è oggi particolarmente urgente per la Chiesa africana. Al fine di sviluppare e approfondire tale tema, come ci è stato richiesto, problemi quali l’egoismo, l’avidità e la ricchezza materiale, le questioni etniche che sfociano in conflitto e altre istanze che sono all’origine della mancanza di pace in molte società africane devono essere affrontati coraggiosamente e apertamente, e accompagnati da specifiche direttive pastorali. Le guerre e i conflitti che affliggono il nostro continente dividono i nostri popoli, seminando una cultura della violenza e distruggendo il tessuto spirituale, sociale e morale delle nostre società. È triste dover riconoscere che alcuni di noi pastori sono stati accusati di essere coinvolti in tali conflitti o per omissione o per partecipazione diretta. In questo Sinodo dobbiamo avere il coraggio di denunciare, persino contro noi stessi, l’abuso del ruolo e della pratica del potere, il tribalismo e l’etnocentrismo, lo schieramento politico dei capi religiosi eccetera… La Chiesa africana non potrà parlare a una sola voce di riconciliazione, giustizia e pace se nel continente è evidente la mancanza di unità, di comunione e il dovuto rispetto nei confronti del SECAM da parte dei singoli vescovi, nonché delle conferenze episcopali nazionali e regionali. Abbiamo bisogno di una maggior comunione e di una maggior solidarietà pastorale in seno alla Chiesa africana.
Era stato programmato che, proprio prima di questa seconda Assemblea Speciale, il SECAM dovesse celebrare la sua 15° assemblea plenaria a Frascati, sul tema “Autonomia: la via della Chiesa africana”. Sfortunatamente, e con nostro imbarazzo, l’assemblea ha dovuto essere convocata all’ultimo momento per mancanza di sostegno finanziario da parte di molti membri delle Conferenze episcopali – tutto ciò mentre stiamo celebrando i quaranta anni del SECAM. Esprimo la speranza e la preghiera che questo Sinodo porti noi tutti a impegnarci maggiormente per il SECAM!

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Lucas ABADAMLOORA, Vescovo di Navrongo-Bolgatanga, Presidente della Conferenza Episcopale (GHANA)

Ricopriamo spesso ruoli politici ed economici, e dobbiamo dare il nostro contributo a questioni quali educazione e salute alla luce della fede. Come individuo, il cristiano ha un bagaglio culturale diverso che potrebbe imporsi con forza, opponendosi così alla fede. Spesso l’individuo può trovarsi in contraddizione per diversi motivi, che gli impediscono di fare qualunque cosa. È naturale che i cristiani appartengano sia alla Chiesa sia alla società nelle sue varie dimensioni. Come membri dalla natura sfaccettata impegnati su molti fronti, talvolta essi potrebbero trovare difficile sapere cosa fare e quale posizione rispettare.
Nella prima Assemblea sinodale, ci siamo concentrati sulla Chiesa come famiglia universale di Dio. L’Assemblea stabilì una serie di condizioni per accrescere la credibilità della propria testimonianza: riconciliazione, giustizia e pace. In questa luce, fra le altre cose raccomandò la formazione dei cristiani alla giustizia e alla pace, che è una affermazione del ruolo profetico della Chiesa. Ciò riguardava i temi seguenti: un salario equo per i lavoratori e l’istituzione di Commissioni per la pace e la giustizia.
I principi che sottendono al documento Ecclesia in Africa sono assolutamente chiari e sono stati ripresi da molte Chiese particolari come linee-guida per le loro riflessioni. Ma non va particolarmente in fondo alla questione. Non è questa l’esperienza di molti vescovi, sacerdoti e laici africani che si recano in USA, in Europa e in altre parti del mondo. La nostra
esperienza della Chiesa in Europa e in America, ma anche quella di alcuni fratelli vescovi e sacerdoti ci fa pensare di essere membri di serie B della famiglia della Chiesa, o di appartenere a una Chiesa diversa. Si è creata l’impressione che noi abbiamo bisogno degli altri, ma non gli altri di noi. La teoria della fraternità e della comunità è forte, ma la pratica è debole.
La dinamica della Chiesa che insiste sul fatto che la comunità ecclesiale deve essere integrata, in teoria e in pratica, in modo tale che tutti vi si sentano a casa, dovrebbe essere portata avanti anche in questo secondo Sinodo. La presente Assemblea sinodale dovrebbe considerare opportuno riprendere la dinamica del Sinodo precedente, non soltanto sul piano dei temi da discutere collegialmente, ma anche nella necessaria prospettiva cristiana.
Affinché ciò accada, alcuni suggeriscono che si usi la radio, la parola stampata e le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Devono continuare gli sforzi affinché venga ricevuto tale messaggio, sempre valido in ogni tem
po.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Fidèle AGBATCHI, Arcivescovo di Parakou (BENIN)

È evidente che la presente Assemblea costituisce una positiva continuazione di quella del 1994. Se quest’ultima si era conclusa con l’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa, quella attuale si presenta con il tema: la Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Questa formula, per quanto positiva, non vuole nascondere le divisioni familiari, le tensioni interetniche con radici storiche, le guerre e la corruzione su larga scala che minano il continente.
Proseguendo il servizio a favore di questo continente, possano i padri sinodali comprendere quindi, al di là degli aspetti pratici più volte sottolineati dall’Instrumentum Laboris, come fondare esegeticamente e teologicamente la riconciliazione, la giustizia e la pace sull’unico Dio Trinità e sulla sua opera nella Rivelazione, dall’Antico Testamento fino alla venuta del Figlio dell’Uomo. Una simile impresa da parte dei padri sinodali aiuterebbe l’Africa ad assumersi la propria responsabilità storica di fronte al Vangelo che ha ricevuto e che ha il dovere di donarsi inserendosi prepotentemente nella dinamica della metanoia. Questa responsabilità la costringerebbe a liberarsi dalla paura.
In effetti, l’Africa ha paura e vive di paura. Conservando gelosamente per sé le sue scoperte riguardo al mondo e alla natura, si lascia istintivamente andare alla sfiducia, al sospetto, all’atteggiamento di autodifesa, all’aggressione, alla ciarlataneria, alla divinazione, all’occultismo e al sincretismo, tutte cose che hanno contribuito a offuscare la ricerca del vero Dio per millenni. Quanto è dunque attesa su questo continente – madre di tutti gli altri – la diffusione ancor più radiosa della luce del Cristo morto e risorto! Il mio augurio per questo Sinodo è quello di un futuro pasquale e, dopo le sue sofferenze, di una resurrezione dell’Africa.

[Testo originale: francese]

– S. Em. R. Card. Franc RODÉ, C.M., Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (CITTÀ DEL VATICANO)

L’Instrumentum laboris, al n. 113, rileva la “forte crescita delle vocazioni” religiose
“segno del dinamismo della Chiesa in Africa” e insieme l’energia spirituale che proviene
dai Monasteri di vita contemplativa.
I Vescovi africani in visita ad limina testimoniano l’insostituibile impegno apostolico e missionario dei consacrati, uomini e donne, che offrono la propria vita per il Vangelo. La presenza dei consacrati/e è ancora oggi assolutamente predominante, in modo particolare nel campo della salute, dell’insegnamento e della carità.
Questo impegno encomiabile non può non tener conto delle grandi sfide della Chiesa in Africa, anzitutto del discernimento vocazionale e della formazione iniziale e permanente. La vita consacrata in Africa ha quindi bisogno di formatori e formatrici preparati e, insieme ad essi, di una comunità educante: la testimonianza di vita religiosa delle Comunità, la fedeltà ai consigli evangelici, alle Costituzioni e al carisma proprio, rappresentano una condizione indispensabile per formare veri discepoli di Cristo.
I religiosi e le religiose africani, inoltre, sono chiamati a vivere in pienezza il valore e la bellezza dei consigli evangelici, in una cultura in cui è difficile essere testimoni di povertà, obbedienza e castità, vissuti liberamente e per amore.
Le Conferenze dei Superiori Maggiori a livello nazionale e due organismi internazionali si occupano dell’animazione dei consacrati e delle consacrate africane e rappresentano un valido strumento per il dialogo con i Vescovi.

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Maroun Elias LAHHAM, Vescovo di Tunis (TUNISIA)

Il mio intervento riguarda i rapporti con l’Islam in Africa. Il primo aspetto da sottolineare è che l’Instrumentum Laboris parla dell’Islam in un solo paragrafo (102), in termini generici e che interessano l’Islam nell’Africa subsahariana. Ora, la stragrande maggioranza dei musulmani africani vive in Africa settentrionale, zona geografica completamente assente nell’Instrumentum Laboris. Un altro aspetto è che circa l’80% dei 350 milioni di arabi musulmani vive nei paesi dell’Africa settentrionale.Tutto ciò per dire che i rapporti islamo-cristiani in Africa del Nord sono diversi da quelli dell’Europa, dell’Africa subsahariana e anche dei paesi arabi del Medio Oriente. Questa omissione delle Chiese dell’Africa del Nord, quando si parla di Africa, e soprattutto questa omissione dell’Islam ci sorprende; l’abbiamo comunicato alle autorità competenti.
La specificità delle relazioni islamo-cristiane nelle Chiese dell’Africa settentrionale può arricchire le esperienze di dialogo vissute altrove (in Europa o nell’Africa subsahariana) e attenuare le reazioni di paura e di rifiuto dell’Islam che cominciano a farsi sentire in alcuni paesi. Sappiamo tutti che la paura è cattiva consigliera.
In cosa consiste la specificità dell’esperienza delle Chiese dell’Africa del Nord?
– Si tratta di una Chiesa dell’incontro. Anche se non ha tutta la libertà auspicata, non è perseguitata.
– Si tratta di una Chiesa che vive in paesi al 100% musulmani e in cui la schiacciante maggioranza dei fedeli è composta da stranieri la maggior parte dei quali resta solo qualche anno.
– Si tratta di una Chiesa che, dall’indipendenza dei paesi dell’Africa del Nord, si è fortemente impegnata nel servizio umano, sociale, culturale e educativo dei paesi che l’accolgono.
– Si tratta di una Chiesa che gode di un margine abbastanza ampio di libertà nell’esercizio del culto cristiano per le migliaia di fedeli, come per esempio in Tunisia.
– Si tratta di una Chiesa che vive in paesi musulmani in cui sta nascendo un movimento di pensiero critico nei confronti di un Islam integralista e fanatico. C’è anche una scuola “magrebina” di studio razionale dei testi e delle tradizioni musulmani.
– Viene spesso richiesta la collaborazione della Chiesa per questo nuovo modo di concepire e vivere l’Islam. Questo invito è rivolto a sacerdoti e vescovi che hanno trascorso molti anni nei paesi del Maghreb ed è stato sottolineato dalla nomina di vescovi arabi in alcune sedi episcopali.
Due proposte:
– Che il Sinodo per il Medio Oriente previsto per l’ottobre del 2010 comprenda anche le diocesi dell’Africa del Nord, soprattutto per quanto riguarda le minoranze cristiane e i rapporti e il dialogo con l’Islam.
– Un dibattito sull’Islam in Africa che tenga conto della varietà delle esperienze africane, da Tunisi a Johannesburg.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Simon-Victor TONYÉ BAKOT, Arcivescovo di Yaoundé, Presidente della Conferenza Episcopale (CAMERUN)

I bantù del Sud del Camerun attribuiscono un’importanza fondamentale alla vita in comunità. Si può esserne esclusi in seguito a un grave errore e poi cercare di ritrovare la comunione con tutti. È il senso del perdono offerto o accolto a seconda che si sia ricevuta un’offesa o si sia commessa una colpa.
Vi si giunge attraverso un rituale le cui tappe essenziali sono le seguenti: la discussione (palabre), la confessione pubblica, le parole rituali di richiesta di perdono, la riconciliazione e il pasto comunitario. È ciò che noi definiamo cultura della pace e della riconciliazione. Il clan sa ristabilirla ogni qualvolta la comunità si trova in situazioni di squilibrio.
L’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana, promuove la pace e la riconciliazione ma non ha ancora raggiunto la stessa capacità di conversione tra i cristiani che vi partecipano poiché il bacio della pace dato durante la messa manifesta discordanze abbastanza nette tra i fedeli. Si possono anche voltare le spalle a chi vi dà la possibilità di riconciliazione.Si impone un’adeguata catechesi da parte dei pastori per far capire a tutti che, essendo diventati fratelli e sorelle di sangue, visto che nelle
nostre vene scorre lo stesso sangue di Cristo assunto attraverso la comunione, questo sangue ci purifica da tutte le nostre impurità e dovrebbe essere più forte della tradizione del clan. Purtroppo, non è ancora così. Occorre impegnarsi sempre di più per raggiungere questo obiettivo.

[Testo originale: francese]

– S.Em.R. Card. Zenon GROCHOLEWSKI, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica (CITTÀ DEL VATICANO)

I centri cattolici di educazione hanno svolto un ruolo importantissimo nell’opera di evangelizzazione e hanno contribuito molto allo sviluppo sociale e culturale del continente. Proprio al livello dell’insegnamento ed educazione la Chiesa in Africa ha da affrontare la più grande sfida.
a.) L’educazione più importante è quella dei seminaristi. Riguardo ai seminari, la Congregazione per l’Educazione Cattolica (CEC) è competente nei territori delle missioni soltanto “per quanto concerne il piano generale degli studi” e non in quello che si riferisce alla “formazione”. Circa l’insegnamento nei seminari è da sottolineare che già 70 istituti sono stati affiliati a una facoltà ecclesiastica, e principalmente alla Pont. Università Urbaniana (questo è un sesto di tutti i seminari affiliati nel mondo), che è obbligata a svolgere un regolare controllo dell’insegnamento. In questa materia c’è da preoccuparsi comunque del mancato talvolta collegamento organico fra l’insegnamento filosofico, che si svolge spesso in un luogo diverso o si appoggia su un istituto non adeguato, e l’insegnamento di teologia.
Comunque i problemi più gravi concernenti la formazione del clero in Africa (adeguato discernimento, formazione spirituale ed affettiva, ecc.) esulano dalla competenza della CEC, anche se l’insegnamento e la formazione sacerdotale sono elementi strettamente legati tra di loro. Nella prospettiva della formazione si deve soprattutto esigere che in ogni nazione sia elaborata una appropriata “Ratio institutionis sacerdotalis” (richiesta espressamente dal Concilio: OT, 1) e approvata dall’Autorità competente della Santa Sede che dovrebbe redigere un adeguato regolamento generale come richiesto dalla prima Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi dell’anno 1967. Ci vogliono, inoltre, le visite apostoliche regolari e qualificate nonché una preoccupazione costante per la formazione dei formatori, e in modo particolare una solida formazione spirituale di quei sacerdoti che studiano a Roma, in quanto principalmente loro saranno insegnanti e formatori nei seminari.
b.) Riguardo alle scuole cattoliche, la loro presenza in Africa è significativa: quasi 12.500 scuole materne con oltre 1.260.000 alunni; oltre 33.250 scuole primarie con circa 14.000.000 di alunni; e quasi 10.000 scuole secondarie con circa 4.000.000 allievi. Tale vasta realtà offre alla Chiesa un prezioso strumento di evangelizzazione, di dialogo e di servizio alle popolazioni del continente. È importante che queste scuole conservino e rafforzino la loro chiara identità cattolica. Ciò esige che la formazione degli insegnanti non sia solo professionale ma anche spirituale, perché considerino il loro lavoro come un apostolato da svolgere.
c.) Per quanto concerne gli istituti di studi superiori, il loro numero negli ultimi decenni si è moltiplicato. Oggi vi sono 23 Università Cattoliche, 5 Facoltà Teologiche e 3 Facoltà Filosofiche. Tutte queste istituzioni costituiscono un luogo privilegiato per evangelizzare le culture e formare uomini retti, operatori di pace, di riconciliazione, testimoni della fede. Vorrei proporre al riguardo alcuni accorgimenti utili:
– Piace sottolineare lo sforzo dato dalle facoltà ecclesiastiche al problema dell’inculturazione: questa esige una acuta saggezza evangelica ed è da affrontare seriamente alla luce dell’insegnamento della Chiesa.
– In tutte le università cattoliche, deve essere presente il pensiero teologico almeno con le cattedre dell’insegnamento teologico per i laici, della dottrina sociale della Chiesa, ecc.
– Ai tempi odierni si deve attribuire una particolare importanza a founare cattolici altamente qualificati per i mass media che “sono il nuovo areopago del nostro secolo”.
– Occorre anche intensificare la pastorale nelle università statali.

[Testo originale: italiano]

– S. Em. R. Card. Emmanuel WAMALA, Arcivescovo emerito di Kampala (UGANDA)

Mi rallegro con tutte quelle Chiese particolari che stanno “innalzando un inno di ringraziamento per la liberazione dai regimi dittatoriali”.
Quel che non riusciamo a comprendere è che una nuova stirpe di dittatori sta sostituendo quella precedente. Preferiremo chiamarli “blandi dittatori”, ma sempre di dittatori si tratta.
“La cultura dei principi democratici”, menzionata nei testi, non è quella che cercano di coltivare. Infatti non credono in alcun solido principio democratico. Credono in un unico principio e questo è quello dell’ingegneria politica. Nella maggior parte dei paesi dell’Africa, la politica esistente è una politica senza Dio. È questo stile di leadership che dà origine ai conflitti. Lo scenario politico generale nel continente africano e in Madagascar è chiaramente descritto nelle seguenti parole, n. 23: “Essi ( i nostri leader) incitano alla divisione per poter regnare (e talvolta far regnare i propri figli). In alcuni luoghi, il partito al potere tende a identificarsi con lo Stato”. Gli esempi di situazioni di questo tipo abbondano in molti paesi dell’Africa: questa è la tendenza.
Il ministero di riconciliazione che ci è stato affidato, come leggiamo in Cor 5, 18, è un compito estremamente impegnativo. Dobbiamo andare alle cause radicali dei conflitti e perfino delle guerre. Una leadership senza sani principi è, secondo me, una delle principali.
Come possiamo affrontare questo problema? Non vedo altra via d’uscita se non l’istruzione. Dovremmo influenzare le famiglie e la scuola affinché comprendano quei principi democratici fondamentali che troviamo nella dottrina sociale della Chiesa.
Le strutture esistenti nella Chiesa, a cominciare dalla famiglia, dalle piccole comunità cristiane, dalle scuole e altri organismi, sono alcuni dei fori in cui, con prudenza, può iniziare la formazione di leader con sani principi. Ed è da queste che può prendere l’avvio la riconciliazione tra gruppi di individui e tribù.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Vincent LANDEL, S.C.I. di Béth., Arcivescovo di Rabat, Presidente della Conferenza Episcopale Conférence Episcopale Régionale du Nord de l’Afrique (C.E.R.N.A.) (MAROCCO)

Studenti dell’Africa subsahariana nel Maghreb: più di 30.000.
Ingiustizia
– Essi scoprono un mondo in cui l’Islam è sociale e dove praticamente non esiste libertà religiosa per un magrebino.
– Essi scoprono l’ingiustizia vedendo assegnare le borse di studio ai potenti e alle famiglie privilegiate.
– Per alcuni di loro, la Chiesa è l’ispirazione ed essi sono la vita delle nostre comunità cristiane.
Come potrà la Chiesa aiutare questi giovani a ritrovarsi per riflettere sul proprio futuro senza scoraggiarsi?
Pace
– Questi studenti scoprono il messaggio sociale della Chiesa e tutta la sua testimonianza di pace.
– La Chiesa non deve forse compiere un’opera di evangelizzazione a partire dal compendio?
Riconciliazione
– Questi studenti e stagisti scoprono il mondo dell’Islam con il quale devono riconciliarsi ma, allo stesso tempo, si aprono su altri mondi, altre culture, altre religioni. Ciò permetterà la riconciliazione.
– Possa la Chiesa del Maghreb aiutarli ad aprirsi al mondo.
– Possa la Chiesa in Africa aiutarli a diventare cristiani responsabili.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Jean-Noël DIOUF, Vescovo di Tambacounda, Presidente della Conferenza Episcopale (SENEGAL)

1. La descrizione di una liturgia di penitenza nei paesi Ndut (Senegal) in passato
Se veniva concesso il perdono, la riconciliazione era celebrata nella gioia. In
caso contrario, si infliggeva talvolta la condanna a morte con l’uccisione di un rappresentante della parte avversa.
2. Le riflessioni dei membri della Conferenza Episcopale del Senegal, della Mauritania, di Capo Verde, della Guinea Bissau in cinque punti:
Primo punto: riconciliazione, giustizia e pace esigono umiltà, amore e conversione. In altre parole, “un cuore nuovo e uno spirito nuovo”.
Secondo punto: cristiani a messa e pagani nella vita. Occorre tornare a essere “discepoli” di Cristo.
Terzo punto: il turbine della globalizzazione. Occorre resistere costruendo ripari saldi, quali comunità cristiane evangelizzate ed evangelizzanti.
Quarto punto: essere “sale e luce” per preservare l’Africa dalla disgregazione e dallo scoraggiamento: custodire il Vangelo e i valori africani.
Quinto punto: un congresso eucaristico per approfondire i risultati del Sinodo.
3. Ricorrere alla pianificazione pastorale che si sta mettendo a punto nell’Africa occidentale francofona. [Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Giorgio BERTIN, O.F.M., Vescovo di Djibouti, Amministratore Apostolico “ad nutum Sanctæ Sedis” di Mogadiscio (SOMALIA)

Da alcuni anni nella ricorrenza della morte di Mons. Salvatore Colombo OFM, vescovo di Mogadiscio ucciso il 9.7.1989, ho incominciato a ricordare nella Messa non solo lui, ma anche una serie di altre persone che sono state uccise mentre erano a servizio della giustizia, della pace e dei poveri in Somalia. Tra di essi vi sono stati alcuni cattolici, come la dottoressa Fumagalli, Annalena Tonelli e Sr. Leonella; vi sono stati dei fratelli “protestanti”; vi sono stati dei musulmani somali, e sono stati la maggioranza in questo paese musulmano; vi sono state anche altre persone non appartenenti ad alcuna fede. Chiamo questa giornata del 9 luglio “giornata dei martiri della Somalia”. Essa ci serve a ricordare che molte persone di convinzioni diverse hanno sacrificato la loro vita per più giustizia, più fraternità e più pace in Somalia.
Non siamo solo noi cattolici a volere riconciliazione, giustizia e pace in Somalia o in Africa. Ci sono tante altre persone e istituzioni di buona volontà. Due domeniche fa il Vangelo ci diceva: “chi non è contro di noi, è per noi” (Mc 9, 40). Questo significa che abbiamo il dovere di collaborare con tutti.
Concretamente vi suggerisco alcuni punti non esaustivi, pensando sia alla Somalia che all’Africa: 1. fare la memoria “insieme agli altri” delle persone migliori che hanno servito al bene di un dato popolo;
2. avere dei momenti di preghiera in comune con i credenti di altre fedi a favore della pace;
3. arrestare il traffico di armi e la libera circolazione di criminali di guerra;
4. invitare la comunità internazionale a una più grande collaborazione non solo alla lotta contro la pirateria, ma anche per la ricostruzione dello stato in Somalia;
5. collaborare con i musulmani di buona volontà per isolare e neutralizzare l’opera nefasta di gruppi islamici radicali che sono la causa di problemi anzitutto per i musulmani stessi e poi per gli altri;
6. appoggiare e sviluppare l’ azione della Santa Sede e dei suoi diplomatici.

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Michael Dixon BHASERA, Vescovo di Masvingo (ZIMBABWE)

I nostri fedeli cristiani sono legati da una riscontrabile cultura comune che si esprime in un gran numero di varianti. Tale eredità culturale, che ci conferisce identità, è a rischio di estinzione a causa degli eventi storici, i processi naturali e i progetti umani. La Chiesa-Famiglia di Dio in Africa non potrà mai essere autentica se la sua base culturale, che è ricca e può essere usata per risolvere tanti problemi, viene erosa.
Le sfide che dobbiamo affrontare sono determinate sia dal processo di globalizzazione sia da fattori locali. Si tratta di un insieme di problemi complessi creati dall’uomo, come la corruzione, l’avidità, l’oppressione e il totalitarismo. Nutriamo la speranza che questo Sinodo affronti questi temi in modo adeguato.
La nostra forza ci viene dal rapporto che abbiamo con Cristo. Alimentiamo tale rapporto mediante i sacramenti, in particolare il Sacramento dell’Eucaristia in cui veniamo plasmati nella famiglia di Dio e ognuno di noi è investito del compito di essere agente di riconciliazione, salvezza, giustizia e pace.
L’idea dei rapporti piace all’Africa perché nasce dal cuore delle sue culture. Partecipando ai sacramenti, siamo vincolati da un unico sangue, il Sangue di Cristo. Il vincolo sacramentale può essere più forte di quello biologico che unisce le famiglie. Ciò evidenzia i valori della famiglia africana, quali la solidarietà, la condivisione, il rispetto, l’ospitalità, lo stare insieme e la riconciliazione attraverso la giustizia riparatrice.
La Chiesa-Famiglia diventa segno visibile e vero strumento di giustizia, di pace e di riconciliazione, quando è compresa e vissuta in modo corretto. Dopo il turbamento, la riconciliazione genuina si esprime mediante la restituzione e la riparazione.
Alcuni africani ricorrono alle sette o alla stregoneria quando devono affrontare le difficoltà. Inoltre, è doloroso vedere i cattolici che si rivoltano contro i loro fratelli cattolici a causa di conflitti politici, sociali, economici e regionali. Il problema è la scarsa conoscenza del significato di Chiesa come Famiglia (di Dio). Questa Catechesi dovrebbe iniziare già in famiglia per poi continuare nelle nostre istituzioni educative, sanitarie, di sviluppo sociale e di formazione. .Quando i fedeli hanno raggiunto la comprensione di “chi siamo”, essi possono cominciare a orientarsi verso il dialogo ecumenico e promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Sithembele Anton SIPUKA, Vescovo di Umtata (SUDAFRICA)

Dopo parecchi decenni di conflitti e di tensioni, i sudafricani sono riusciti a negoziare una soluzione pacifica ai loro problemi politici in quanto nazione e hanno creato strutture e politiche democratiche che operano per la pace. Sussiste tuttavia il problema che tali principi di democrazia non sono giunti fino alle radici. Mentre il paese si è trasformato sia legalmente che politicamente, a livello umano quotidiano dei rapporti personali, le persone si comportano ancora secondo l’antico sistema, sentendosi ancora diverse e perfino nemiche fra loro.
Ciò dimostra che è più facile cambiare le strutture esteriori piuttosto che cambiare mentalità, e finché non cambiano sia le strutture esterne che le mentalità, la democrazia non può essere apprezzata e sostenuta in Sud Africa. La Chiesa, il cui obiettivo principale di evangelizzazione è il cambiamento dei cuori, può offrire un importante contributo a questo proposito.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Jean MBARGA, Vescovo di Ebolowa (CAMERUN)

Per il presente Sinodo, la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa ha la missione di contribuire alla ricostruzione di un’Africa in preda a crisi tanto numerose quanto ricche di potenzialità, rinnovando la sua pastorale sulla base di un’ecclesiologia di apertura alle sfide della società: quale Africa per la Chiesa? Quale Chiesa per l’Africa?
Nelle sue diverse dimensioni, questa missione consiste nell’estinguere i conflitti, nel ricostruire l’Africa sulla base del Vangelo e della fede in modo che:
– laddove la fede cristiana si indebolisce o non esiste, le comunità ecclesiali testimonino la vita evangelica, la pratica ecclesiale e l’impegno sociale;
– laddove la cultura è combattuta tra tradizione e globalizzazione, la Chiesa ispiri opere culturali umanizzanti che diffondano valori autentici degni dell’uomo;
– laddove lo stato sfrutta il popolo, le comunità ecclesiali si impegnino a favore della democrazia e della buona gestione di beni e persone, della cultura della gratuità e del dono;
– laddove imperversano guerre e ribellioni, vi sia una mobilitazione di tutti per la pace.
Per essere segno e strumento di questi valori, la Chiesa-Famigl
ia che è al servizio sarà quindi una Chiesa che vive in pace e può dare la pace, che si evangelizza e che evangelizza la società.
– Sarà una Chiesa madre ed educatrice, che dona all’Africa una carta dei valori;- una Chiesa avvocata e profetica, che promuove politiche, legislazioni e strutture sociali illuminate da un umanesimo africano e cristiano;
– una Chiesa mediatrice, che riconcilia le parti in contrasto, lavora alla prevenzione dei conflitti e anima costantemente il dialogo sociale;
– una Chiesa mobilitante, che promuove un apostolato associativo militante e una leadership dei fedeli laici, un clero e persone consacrate formate per la società attuale;
– una Chiesa comunicatrice, che produce, con le nuove tecnologie, opere che diffondono una cultura africana e cristiana;
– una Chiesa che agisce attraverso opere sociali e programmi pastorali adeguati, che promuovono la sanità, l’educazione e il lavoro produttivo.
Questo sinodo può proporre la creazione di missioni o di commissioni più specifiche che chiariscano e intensifichino questa ecclesiologia e questa pastorale di apertura alle sfide della società attuale.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Thomas KABORÉ, Vescovo di Kaya (BURKINA FASO)

L’educazione alla giustizia e alla pace è una missione essenziale della Chiesa-Famiglia di Dio. I figli di Dio sono artefici di pace; “beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” proclama il Signore Gesù. Se la Chiesa che è in Africa è Famiglia di Dio è un luogo di riconciliazione, di giustizia e di pace.
In un continente tanto lacerato dai conflitti e dalle lotte, è Dio che ci invita ad essere una Chiesa-Famiglia, luogo di riconciliazione, di giustizia e di pace. Per questo, i Padri del primo sinodo per l’Africa “hanno subito riconosciuto che la Chiesa come Famiglia potrà dare la sua piena misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente piccole per permettere strette relazioni umane… Soprattutto, in esse ci si impegnerà a vivere l’amore universale di Cristo, che trascende le barriere delle solidarietà naturali dei clan, delle tribù o di altri gruppi d’interesse” [ Ecclesia in Africa § 89.].
Per assumere questa missione, dobbiamo dunque lavorare per trasformare le nostre Comunità Cristiane di Base (CCB). Esse devono diventare delle vere famiglie: questo vuol dire conversione “premura per l’altro, solidarietà, calore delle relazioni, accoglienza, dialogo e fiducia” [Ecclesia in Africa § 63]. Chiamiamo quindi queste Piccole Comunità, delle Comunità-famiglie. Saranno esse a dare alla Chiesa il suo volto e la sua realtà di famiglia, per farne luoghi di riconciliazione.
Il lavoro fondamentale per giungere a questa edificazione della famiglia sarà prima di tutto l’Evangelizzazione. Il primo scopo di queste Comunità-famiglie è di essere Scuole di Evangelizzazione; è necessario che tutta la Chiesa diventi una comunione di comunità-famiglia e che tutta la Chiesa sia evangelizzata, ovvero sia interiormente rinnovata e diventi un’umanità nuova. Ciò presuppone che i Pastori diventino predicatori itineranti della Buona Novella, andando di comunità in comunità.
L’Evangelizzazione sarà più una questione di testimoni che di metodo o di tecnica: “Una vera testimonianza da parte dei credenti è oggi essenziale in Africa per proclamare in maniera autentica la fede. In particolare, è necessario che essi offrano la testimonianza di un sincero amore reciproco” [Ecclesia in Africa § 77.].
Edificare la Chiesa-Famiglia di Dio vuol dire dunque suscitare delle Comunità-famiglie che saranno vere famiglie di Dio, luogo di integrazione fra cristiani di diverse etnie, regioni e condizioni sociali.

[Testo originale: francese]

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione