Il sapiente vive crocifisso con Cristo, fissando lo sguardo sul Cielo

Commento al Vangelo di domenica XVIII del Tempo Ordinario – Anno C

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“Eredità” e “cupidigia”, ogni conflitto tra “fratelli” sorge dalla inconciliabilità di questi due termini. Dove vi è eredità non può esservi cupidigia. L’eredità è un dono che scaturisce dal legame con colui che fa testamento. E’ frutto della sua liberalità, del suo amore. Noi tutti, per pura Grazia, siamo eredi di Dio e coeredi di Cristo. Di nostro abbiamo messo solo ribellioni e peccati. Come il figlio prodigo abbiamo dilapidato tutto.Come Adamo abbiamo perduto il Paradiso.

“O uomo!” ci dice oggi il Signore, perché nel “tale” tra la folla e in ciascuno di noi Egli intercetta proprio Adamo: ricco “presso Dio” nel Paradiso, di fronte al “raccolto abbondante” ricevuto in “eredità”, si è fermato a “dialogare con se stesso” ed è rimasto intrappolato nella menzogna del demonio. Come accade a noi quando, di fronte alla storia, ci rintaniamo nella nostra ragione facendo spazio alle adulazioni del nemico che ci convincono d’essere come dio.

E allora, a testa bassa ad “accumulare tesori per noi stessi”, moglie, marito, amici, denaro; “non sappiamo che fare” dei doni di Dio, non “abbiamo dove metterli” tanto il cuore è indurito; e così, nella paura di perderli, li serriamo nei “granai” del nostro egoismo, sempre “più grandi” per saziare il vuoto incolmabile di un dio senza paradiso.

“Dirò a me stesso”: è la follia di chi si crede nello stesso tempo autore e fruitore della vita, dio e creatura; la“stoltezza”demoniaca che si fa cupidigia, desiderio rapace, perché sempre inappagato.

O si è Dio o si è creatura. Siamo tutti “uomini ricchi”la cui vita può dare sempre un raccolto abbondante, Cristo Gesù vivo in noi. Pensare di servirsi di Lui per installarsi e “mangiare, bere e divertirsi”, è trasformare la vita in una folle corsa verso il nulla, preda dell’illusione di “averea disposizione molti beni, per molti anni”.

Spendiamo i giorni a progettare e mettere in agenda “per molti anni” riposo e godimento, e non riserviamo neanche un giorno alla morte, unica certezza. Offriamo a noi stessi la sessualità, con la quale Dio ci ha fatti “eredi” della creazione e della vita, per farne uno strumento di piacere che trasforma l’altro in un oggetto di consumo.

Così come in tante circostanze, quando un “fratello” – moglie o marito, figli o amici – un altro Adamo ingannato come noi, ci “ruba l’eredità”, l’affetto, il nostro tempo, l’onore, la carriera, i diritti; quando la “notte” degli eventi oscuri e dolorosi viene a “chiederci la vita”, rivelando la “stoltezza” di chi fa “dipendere la vita dai beni” destinati a corrompersi.

E’ allora che ci facciamo maestri del Maestro, insegnandogli come e cosa giudicare per giustificare la nostra cupidigia:“chi mi ha costituito giudice” secondo i criteri del mondo e della carne? Chi ha posto la mia vita a “mediare” tra una cupidigia e l’altra?

Ma Gesù, che è Dio, “giudica” anche oggi attraverso la croce: i progetti fondati sull’egoismo sono spine conficcate nella testa, preoccupazioni, angosce e notti insonni; le ricchezze accumulate con avidità sono chiodi che ci sottraggono la libertà di donarci.

La croce ci è data per comprendere che “la vita non dipende da ciò che l’uomo possiede”, ma dall’usoche se ne fa: un solo modo rende la vita autentica e innestata nell’eternità,arricchire presso Dio”, che significa vivere con la sapienza della croce.

Il sapiente vive crocifisso con Cristo, fissando lo sguardo sul Cielo; è figlio del Padre,sa che la vita può essere vissuta solo donandola, esattamente come è stata ricevuta.</p>

Il sapiente ha conosciuto il perdono, lo stolto vive nel rimorso. Per il sapiente la vita, con i suoi beni e i suoi affetti, è segno del perdono e così diventa dono che non teme la morte. Lo stolto progetta e si tormenta, incalzato dalla paura di morire, senza sapere “di chi sarà quello che ha preparato”.

Per divenire sapienti abbiamo bisogno di Gesù, il “giudice” che sulla Croce si è fatto “mediatore”. Ha giudicato il peccato e ha posto la sua vita come mediazione per il riscatto.Il Signore si è lasciato uccidere dalla nostra cupidigia ed è risorto per donarci l’autentica “eredità”.

Per riceverla e custodirla occorre “fare attenzione” a ogni istante della nostra vita, discernendo eventi e relazioni per imparare come, in tutto, rimanere “presso” il Signore per “arricchirci” del suo amore; se accolto, esso si moltiplica a dismisura perché “Caritas Christi urget nos: l’amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti… perché quelli che vivono non vivano più per se stessi” ma per Lui (cfr. 2 Cor. 5,14).

Il suo amore, nel matrimonio ci spinge al perdono, e ci apre alle nuove vite che Dio vuole donarci, “tenendoci lontani” da settimane bianche e schermi ultrapiatti che le famiglie numerose non possono permettersi. Nello studio, ci fa spendere le ore nel sacrificio che ci fa adulti e “ricchi” di maturità e responsabilità. Nel lavoro, ci “allontana” dalla cupidigia della carriera per fare dell’ufficio un altare dove offrirsi a colleghi e dirigenti. Nel fidanzamento ci difende dalla concupiscenza per rispettare l’altro e imparare a donarsi.

Siamo chiamati nell’urgenza di donare, ovunque e a tutti, “il raccolto abbondante” dell’amore che colma la “campagna” della nostra vita, “accumulando tesori” per arricchirne il Cielo, accompagnando“presso Dio”i “fratelli” che cercano in noi l’Eredità perduta.

Siamo chiamati a donare, ovunque e a tutti, “il raccolto abbondante” dell’amore che colma la “campagna” della nostra vita, “accumulando tesori” per arricchirne il Cielo, accompagnando “presso Dio”i “fratelli” che cercano in noi l’Eredità perduta.

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Antonello Iapicca

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