di Chiara Santomiero
ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Domenica prossima, 23 maggio, si concluderà la Solenne Ostensione della Sindone 2010 che ha visto confluire a Torino circa 2 milioni di visitatori. La teca contenente la Sindone tornerà al suo posto nella cappella del Guarini di Palazzo reale, insieme ai molti interrogativi che circondano “l’oggetto più misterioso del mondo”, come è stato definito.
Quali sono i risultati scientifici che si possono considerare definitivi relativamente alla Sindone? E quali gli aspetti ancora da indagare? ZENIT lo ha chiesto a Bruno Barberis, docente di Meccanica razionale presso l’Università di Torino e presidente del Centro internazionale di sindonologia, il complesso di discipline che studiano la Sindone.
Cosa può attendersi la fede dalla scienza, quali risposte può avere?
Barberis: Indipendentemente da ciò che le indagini scientifiche potranno ottenere in un futuro prossimo o lontano, la Sindone è in modo innegabile un rimando chiaro, diretto, analitico alla Passione di Gesù. “Uno specchio del Vangelo”, la definì Giovanni Paolo II nel 1998 quando venne a Torino per quella Ostensione. Nella stessa occasione, Giovanni Paolo II affermò che “l’uomo si aspetta dalla scienza che essa si occupi in modo serio e onesto di scoprire la verità sulla Sindone” e chiese agli scienziati di essere rispettosi della metodologia scientifica, di non dare per scontati risultati che non ci sono.
Questo purtroppo nel campo della Sindone non sempre accade. Si tratta anzi di un settore nel quale spesso emergono dei fondamentalismi da entrambe le parti, per cui è facile leggere articoli, considerazioni o teorie che partono da idee preconcette. Voler dimostrare a tutti i costi che la Sindone è la prova scientifica della Resurrezione è una sciocchezza, perché la scienza non può occuparsi di fenomeni sovrannaturali, ma solo naturali. La scienza, cioè, non potrà mai esprimere un parere sulla Resurrezione perché non è un fenomeno riproducibile in laboratorio. Allo stesso modo capita di voler dimostrare a tutti i costi, forzando i dati a disposizione, che la Sindone è un falso medievale o di qualunque altra epoca per il semplice fatto che si desidera sia questa la verità. Uno scienziato serio si preoccupa di cercarla la verità, qualunque essa sia.
Lo studio della Sindone non ha lo scopo di dimostrare a tutti i costi che essa è il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Cristo o non lo è, ma di dimostrare cosa realmente sia. Sicuramente, un oggetto di enorme interesse, unico al mondo – non esiste altro telo con un’impronta con caratteristiche nemmeno lontanamente comparabili con questa di Torino – ed è sicuramente uno degli oggetti più studiati. Uno studio che coinvolge persone di varia formazione e diversa fede e moltissimi scienziati se ne sono occupati non essendo nemmeno credenti. C’è un interesse verso la Sindone che spinge ad andare al di là di quelli che molti considerano preconcetti, affascinati dalla sua natura di immagine ancora da spiegare.
Cosa si può attestare con assoluta sicurezza relativamente alla Sindone?
Barberis: Sulla Sindone ci sono due tipi di segni, le macchie ematiche e l’impronta corporea che hanno caratteristiche diverse.
le macchie ematiche
Riguardo alle macchie ematiche è stato possibile determinare che si tratta veramente di macchie di sangue umano, di gruppo AB. Esse sono state sicuramente prodotte dal contatto del corpo con il telo mentre l’impronta corporea non sembra essere avvenuta per contatto diretto. Un contatto, infatti, darebbe origine a una deformazione tenendo conto che la superficie corporea è curva mentre l’immagine della Sindone appare come una specie di proiezione ortogonale del corpo sul telo.
l’impronta
L’impronta ha caratteristiche tridimensionali – messe in evidenza dagli studi effettuati prima negli Stati Uniti e poi in Italia – che sono tipiche della Sindone, non appartengono cioè a una normale fotografia o a un dipinto, proprio perché la distribuzione della luminosità dell’impronta è realmente collegata alla distanza corpo-telo, cioè al maggiore o minore rilievo di quel particolare corporeo. Se ripetiamo gli stessi esperimenti su una normale fotografia di un corpo o di un volto su di un dipinto non otteniamo la caratteristica tridimensionale.
Sappiamo che l’impronta ha anche le caratteristiche di un negativo fotografico, come scoperto più di cent’anni fa con la prima fotografia del 1898, cioè i chiaroscuri sono invertiti rispetto alla realtà. Questa è la ragione per la quale l’immagine si vede molto più evidente e chiara nel negativo fotografico: facendo il negativo del negativo si ottiene il positivo delle parti.
Altre indagini hanno permesso di sottolineare alcune caratteristiche molto interessanti dell’impronta: mentre le macchie di sangue sono visibili perché c’è del materiale estraneo che si è depositato sul telo – il sangue stesso -, dove c’è l’impronta non è così. L’impronta è visibile perché le fibre superficiali del telo sono un po’ più scure del tessuto dove l’impronta non c’è, non perché vi sia del colorante sopra, ma perché questo processo di formazione – ancora tutto da scoprire – le ha scurite. Per uno spessore infinitesimo, uno spessore di qualche decina di micrometri, cioè di qualche centesimo di millimetro. Sotto non c’è nulla, mentre le macchie di sangue sono passate attraverso il tessuto e sono arrivate sul retro della Sindone. Nel 2002 quando è stato completato l’intervento conservativo sulla Sindone e si è staccato il telo di supporto – il telo d’Olanda cucito nel 1534 per riparare i danni dell’incendio di Chambery -, è stato possibile, per la prima volta da allora vedere bene il retro della Sindone. Qui le macchie ematiche si vedono esattamente nelle stesse simmetriche posizioni rispetto al fronte, perché essendo un fluido hanno attraversato il telo e sono arrivate dalla parte opposta. L’impronta corporea invece no, perché essendo per di più spessa qualche centimetro di millimetro, non ha potuto giungere sul retro, come avrebbe fatto un colorante di qualsiasi natura che almeno avrebbe impregnato il tessuto per uno spessore maggiore di qualche centimetro di millimetro. Questa è una caratteristica veramente peculiare dell’impronta.
le ferite
L’esame topografico dettagliato dell’impronta effettuato dalla medicina legale – sono studi che risalgono già a circa ottanta anni fa, dopo la fotografia di Enrie del 1931 –, ha permesso di ricostruire con estrema fedeltà tutto ciò che è accaduto all’uomo della Sindone e quindi la serie di torture che gli sono state inflitte, compresa la crocifissione.
Sulla Sindone sono evidenti ferite fatte ad un uomo mentre era ancora in vita e quando era già cadavere, come quella fatta al torace dove il sangue è uscito dalla ferita già dissierato cioè separato nella parte sierosa e nella parte corposculare.
Questo tipo di riscontro è una ulteriore prova che l’impronta non può che essere stata lasciata da un corpo umano vero e proprio e non può essere un dipinto o un’immagine ottenuta con qualsiasi metodo, perché altrimenti sarebbe stato impossibile ricostruire con tale dettaglio tutte le caratteristiche anatomiche visibili. Allo stesso modo sarebbe stato impensabile usare del sangue uscito da un uomo vivo e del sangue uscito da un cadavere in epoche nelle quali non si conosceva nulla sulla circolazione sanguigna e sulla differenza tra i due tipi di sangue. Il funzionamento della circolazione sanguigna, infatti, è stato capito solo nella prima metà del 1600, quindi meno di quattrocento anni fa.
il polline
Sulla Sindone sono state ritrovate micro-tracce vegetali, granuli di polline appartenenti a piante che vivono esclusivamente in zone molte ristrette della Palestina e dell’Anatolia, segno che la Si
ndone è passata in quei luoghi in qualche momento della sua storia. Questo metodo non ci permette di sapere ‘quando’ vi sia passata, perché tali piante erano esistenti ben prima di Cristo: la flora di queste zone non è cambiata molto negli ultimi 5-6 mila anni. Esse permettono solo di ricostruire con certezza un percorso geografico dell’oggetto.
Possiamo dire che tutti questi elementi sono stati definitivamente appurati con certezza.
Cosa resta invece da scoprire?
Barberis: Sono due i nodi fondamentali da sciogliere: il modo con cui si è formata l’impronta e la datazione del telo.
la formazione dell’impronta
Non abbiamo ancora una teoria sufficientemente valida per la spiegazione della formazione dell’immagine. Ogni settimana qualcuno propone un’ipotesi nuova, più o meno sensata. Finora, però, nessuno è riuscito ad ottenere come risultato sperimentale conseguente dell’ipotesi fatta un’immagine comparabile con quella della Sindone.
Oggi la possibilità di verifica è semplice perché abbiamo una conoscenza dettagliata delle caratteristiche più importanti dell’impronta che ci permettono delle comparazioni rigorose.
L’anno scorso, ad esempio, il prof. Garlaschelli di Pavia ha ottenuto un’immagine che però ha caratteristiche che non corrispondono a quelle della Sindone. Infatti per ottenere l’immagine è stata usata dell’ocra rossa che contiene ossido di ferro mentre l’impronta della Sindone non ne contiene. Inoltre nell’esperimento è stato realizzato prima il profilo del corpo e poi le impronte ematiche tramite un colorante mentre sulla Sindone sono apparse prima le macchie ematiche e poi le impronte corporee, tanto è vero che sotto le macchie ematiche non c’è impronta. Tutto questo è sufficiente per dire che l’immagine ottenuta a Pavia non è comparabile con la Sindone e non serve a spiegarla.
L’unico esperimento che ha permesso di colorare una piccola porzione di tessuto in modo similare a quello della Sindone è stato effettuato dal Centro Enea di Frascati qualche anno fa, irradiando un tessuto con un laser a eccimeri, cioè un laser che emette ultravioletto. Se la potenza e il tempo di irradiazione sono calcolati correttamente, si ottiene una coloratura delle fibre superficiali, abbastanza simile a quella della Sindone per uno spessore dello stesso ordine di grandezza. Non possiamo pensare, però, che il corpo umano sia una fonte laser o che il laser possa essere stato utilizzato nell’antichità.
la datazione del telo
La datazione del telo, come è noto, fu effettuata nel 1988 datando con il metodo del radio carbonio alcuni campioni prelevati da una zona marginale della Sindone.
Enormi polemiche hanno preceduto e seguito quest’operazione, determinate da diversi fattori il primo dei quali è una non limpida conduzione di tutta l’indagine con delle scelte non opportune. Tra queste, ad esempio, l’unico sito di prelievo dei campioni, che è rappresentativo di quella zona ma non dell’intero telo. Tale zona, fra l’altro, sembrerebbe – da alcune ricerche fatte su fili avanzati da quella datazione – inquinata da cotone, quindi da un materiale che forse è stato aggiunto con un rammendo successivo, ipotesi che dovrà essere verificata non appena sarà possibile fare nuovi esami diretti.
L’indagine del 1988 fu condotta con metodi non propriamente scientifici; ad esempio non fu usato, come sarebbe stato necessario, il “metodo alla cieca” perché i laboratori pretesero di conoscere le date dei campioni di confronto prima di effettuare la datazione. Ci sarebbero da riempire libri – come qualcuno ha fatto – per raccontare questi retroscena e i numerosi dettagli.
Datare un telo è un’operazione molto delicata in quanto i tessuti sono gli oggetti più facilmente esposti all’inquinamento da agenti esterni. Esperimenti fatti su altri teli antichi hanno dimostrato come vi possono essere inquinamenti sia di tipo biologico – microrganismi -, sia di tipo chimico con sostanze presenti nell’atmosfera accanto al telo, che possono provocare apparenti ringiovanimenti dovuti non a errori del metodo, ma a contaminazioni da parte di questi fattori esterni che influiscono non poco sulla datazione, anche per parecchi secoli.
Poiché la Sindone ha avuto sicuramente una vita molto complessa e movimentata e ha subito sicuramente inquinamenti di vario genere nella sua storia, il problema della datazione è molto complesso. Bisognerebbe riuscire a individuare un metodo di pulizia radicale del telo che possa eliminare qualsiasi fattore esterno, senza peraltro distruggere una parte eccessiva di cellulosa perché altrimenti avremmo bisogno di molto campione e non è che possiamo tagliare grandi pezzi di Sindone. Spesso mi viene chiesto il perché non si proceda di nuovo alla datazione prelevando campioni da diversi punti. La risposta è semplice: perché si tratta di un oggetto unico che non può essere usato come cavia per fare esperimenti di validità del metodo del C14. Questo metodo, purtroppo, è distruttivo: il campione viene bruciato e ogni esame richiede una distruzione definitiva di una sua parte.
Qual è il futuro della ricerca scientifica sulla Sindone?
Barberis: Non si può intervenire sulla Sindone senza precauzioni. Credo che il futuro degli studi scientifici sia quello di impostare una serie di esami fondamentali per raccogliere nuovi dati e proseguire nelle indagini, a patto che non siano distruttivi.
Occorre utilizzare le moderne tecnologie che permettono di ricavare informazioni sia di tipo fisico che di tipo chimico senza distruggere nulla ma irradiando il tessuto e lavorando sui risultati ottenuti. Ci sono metodi di sezionamento del tessuto che utilizzano sistemi che portano via dal tessuto delle sottili superfici di qualche millesimo di millimetro e non rientrano tra gli esami distruttivi perché questa asportazione è invisibile ma sufficiente per ricavare informazioni.
Per la datazione il metodo più attendibile rimane il C14, che però ha dei limiti soprattutto se interviene su oggetti rispetto ai quali non si hanno garanzie di una perfetta conservazione. Gli archeologi stessi – soprattutto quando si tratta di datare tessuti -, sono piuttosto cauti perché il rischio di errore è alto, in quanto il metodo non è in grado di distinguere atomi di carbonio provenienti dal tessuto e atomi provenienti da agenti esterni: brucia il campione e calcola tutto insieme. Ne consegue che datare nuovamente la Sindone tra breve non avrebbe senso, in quanto queste remore – indipendentemente dal risultato ottenuto – ci sarebbero comunque.
E’ necessario, allora, attendere nuove conoscenze che possano farci capire meglio – ad esempio – dove fare i prelievi in modo tale che siano rappresentativi dell’intero telo e non di una zona marginale. Questo richiede una conoscenza delle caratteristiche fisico-chimiche di tutto il telo con una mappatura molto dettagliata. Solo a questo punto potrebbe essere utile una nuova datazione.
C’è un programma di lavoro rispetto alla ricerca scientifica?
Barberis: Nel 2000, prima dell’inizio di quell’Ostensione, si tenne a Torino un convegno al quale furono invitati quaranta tra i maggiori scienziati che studiano la Sindone oppure esperti di discipline che interessano la Sindone e fu loro richiesto di fare proposte di studio e di ricerca. Le proposte arrivate negli anni successivi sono state raccolte, organizzate ed esaminate da una commissione di esperti esterni al mondo della Sindone affinché ne valutassero la attendibilità e scientificità. Tutto il materiale è stato raccolto in una relazione inviata alla Santa Sede, tramite il cardinale Severino Poletto che in quanto arcivescovo di Torino, è il custode pontificio della Sindone, perché il Papa è il proprietario della Sindone e sono sue le decisioni in merito.
Non si tratta di un’operazione semplice: non si può prendere la Sindone e portarla in un laboratorio, ma occorre
prendere il laboratorio e portarlo dalla Sindone.
Non è nemmeno un progetto che si possa realizzare in tempi brevi, però finita questa Ostensione – il prossimo anno magari -, può essere ripreso in considerazione. Abbiamo bisogno di nuovi dati, nuovi “mattoncini” da mettere insieme. Le grandi scoperte, in genere, sono rarissime; la scienza va avanti a piccoli passi, a volte apparentemente insignificanti, ma unendone tanti si può arrivare a risultati significativi.
In ogni caso il progetto di indagine dovrà essere rispettoso dell’integrità della Sindone. Gli ultimi anni sono stati dedicati più a studiare come garantire la conservazione che a raccogliere altri dati, perché ci si è resi conto che c’era una carenza in questo senso. Quando avvenne l’incendio della cappella del Guarini, nel 1997, ci si rese conto che la Sindone era conservata ancora come nel 1600, nello stesso luogo, in una cassetta, con le stesse condizioni climatiche. Non si poteva continuare così e si è deciso di intervenire. Prima la Sindone era arrotolata a formare un cilindro, posizione che provocava altre pieghe e magari perdite di particelle di sangue mentre adesso è stesa per intero. Prima, inoltre, era conservata nell’atmosfera e quindi soggetta ad ossidazione da parte dell’ossigeno che provocava uno scurimento del telo e quindi una progressiva diminuzione della visibilità dell’immagine. Attenzione: non è diminuita, come qualcuno ha affermato, l’intensità dell’immagine, ma se il fondo del telo tende a scurirsi a causa dell’azione ossidante dell’ossigeno, diminuisce il contrasto e questo processo doveva essere fermato altrimenti tra cento, cinquecento o mille anni si rischiava che la visibilità fosse azzerata. La nuova conservazione in argon, che è un gas inerte e garantisce l’impossibilità della formazione di nuovi composti, mantiene lo status quo e assicura una conservazione ottimale. Era stato anche scoperto che al di sotto delle toppe del restauro dopo l’incendio di Chambery, c’era una notevole quantità di polvere finissima residuo del tessuto carbonizzato che in gran parte si era già dispersa sul telo, passando dalle cuciture. Bisognava intervenire per evitare il rischio che questa polvere inquinasse la Sindone ed entrasse in datazioni successive. Perciò sono state tolte le toppe, non più necessarie data la conservazione orizzontale, e il materiale carbonizzato è stato asportato, catalogato e conservato perché sarà importante per gli studi futuri. Anche il telo d’Olanda di sostegno che era molto sporco e inquinato è stato sostituito con un telo nuovo per far sì che la Sindone sia conservata nel modo migliore e sia certo che da oggi in poi la visibilità non peggiorerà.
Lei ha calcolato che c’è una probabilità su 200 miliardi che la Sindone non sia il telo di Gesù…
Barberis: Si tratta di un calcolo effettuato per verificare la corrispondenza tra il racconto che emerge dall’immagine che vediamo sulla Sindone e il racconto della Passione e morte di Gesù che leggiamo nei Vangeli. Possiamo valutare in modo quantitativo la probabilità che quello della Sindone sia veramente l’uomo del Vangelo?
Dagli esami fatti, sappiamo che si tratta di un uomo torturato e crocifisso. Uno dei tanti della storia, considerato che la crocifissione viene usata dal VII secolo avanti Cristo almeno fino all’epoca di Costantino. Si tratta di un periodo di un po’ più di mille anni nel quale si può calcolare qualche milione di crocifissi, sicuramente centinaia di migliaia. Giuseppe Flavio ci racconta che dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme le crocifissioni di giudei andarono avanti per mesi alla media di cinquecento al giorno.
I numeri sono quindi alti, ma noi possiamo dedurre dalla Sindone alcune caratteristiche legate a quanto è avvenuto a quest’uomo in particolare. Per esempio le percosse in volto, la frattura della cartilagine nasale, l’ematoma sulla guancia destra, le ferite alle arcate sopraccigliari, il casco di oggetti appuntiti sulla testa che ha provocato una trentina di ferite con relative emorragie, l’aver portato sulle spalle qualcosa di ruvido e pesante che ha provocato due grosse escoriazioni – molto facile che sia il palo orizzontale della croce -. Possiamo aggiungere il fatto che sia stato flagellato, crocifisso con chiodi mentre si sa che venivano usate anche le corde e forse anche di più dei chiodi; il fatto che sia stato ferito al torace dopo la morte; il fatto che sia stato avvolto in un telo funebre come accadeva solo alle personalità importanti perché i riti funebri costavano carissimo mentre i crocifissi erano di solito schiavi o prigionieri di guerra, comunque non romani perché per i cittadini romani la crocifissione era vietata. Possiamo rilevare, inoltre, il fatto che, pur essendo stato il corpo avvolto nel telo, non è stata effettuata una sepoltura definitiva perché il cadavere non è stato lavato, non è stato unto con gli aromi, non è stato legato perché altrimenti avremmo caratteristiche diverse sulle impronte che vediamo. Infine rileviamo come il corpo sia rimasto nel telo per poche ore perché non si vedono le macchie da decomposizione che compaiono non più tardi di 50-60 ore dalla morte, il che significa che questo corpo è stato messo nel telo per un numero di ore inferiori e poi tolto e non rimesso.
Tutte queste caratteristiche sono presenti sia sulla Sindone che nel caso di Gesù e collimano alla perfezione.
Qual è la probabilità che ognuna di esse, presa singolarmente, possa essersi verificata per un qualunque crocifisso della storia? La flagellazione è un dato poco significativo perché almeno l’80% dei crocifissi la subiva; la crocifissione con chiodi è già più significativa perché riguarda almeno il 50% dei suppliziati. Se prendo in esame il casco sul capo, questo è l’unico caso della storia che conosciamo e certo non era prassi della crocifissione: non posso dire che sia stato l’unico caso, ma sicuramente presenta una probabilità molto bassa. Anche la ferita al torace è fuori dalla norma: se si voleva provocare la morte del crocifisso, gli venivano fratturate le gambe e, inoltre, la ferita è stata inferta dopo la morte. Anche l’esistenza della Sindone è un dato significativo: nessuno reclamava il corpo dei crocifissi e di certo non venivamo avvolti in un telo che si usava comprare dai commercianti che lo importavano; venivano lasciati sulle croci o sepolti in fosse comuni. Per di più si tratta di una sepoltura fatta in fretta e furia: anche questo evento ha poca probabilità di essersi verificato, perché deve essere successo qualcosa di significativo per aver interrotto le operazioni di sepoltura di un corpo, tra l’altro, rimasto per poche ore nel telo.
Se do’ ad ogni fatto una probabilità, la probabilità complessiva del verificarsi di queste condizioni – che non si influenzano l’una con l’altra – è il prodotto delle probabilità: in questo caso si ottiene un numero piccolissimo, 1 su 200 miliardi, cioè la probabilità che questi fatti possano essere presenti contemporaneamente su uno stesso crocifisso è quasi zero. Se i crocifissi fossero stati più di duecento miliardi potrei dire che una probabilità potrebbe esservi, ma poiché sono stati molti meno, vuol dire che su nemmeno uno dei suppliziati può essere accaduta una cosa del genere: quando ne ho due che presentano caratteristiche simili – Gesù e l’uomo della Sindone – la probabilità che essi coincidano è altissima, quasi la certezza.
Come scienziato non è impaziente di conoscere la verità sulla Sindone?
Barberis: Uno scienziato deve avere pazienza, sapere che la scienza ha dei limiti e che dopo vent’anni di lavoro si può scoprire che la pista che si stava seguendo era sbagliata. Se, d’altra parte, non si è in grado di conoscere tutto dei fenomeni chiaramente naturali, figuriamoci di un fenomeno che potrebbe essere soprannaturale! Bisogna andare avanti cercando di sapere quanto più possibile e raccogliendo tutte le informazioni ma lasciand
o che sia l’evoluzione naturale del sapere a guidare il futuro delle ricerche.