Il futuro del celibato sacerdotale

Padre Laurent Touze parla della teologia eucaristica del celibato

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di Anita S. Bourdin

ROMA, martedì, 8 giugno 2010 (ZENIT.org).- Padre Laurent Touze, francese, docente di Teologia spirituale presso l’Università Pontificia della Santa Croce di Roma, ha pubblicato in questo Anno sacerdotale un libro dal titolo L’avenir du célibat sacerdotal (Parole et Silence/ Lethielleux).

In questa intervista rilasciata a ZENIT, a conclusione dell’Anno sacerdotale, padre Touze spiega in cosa consiste questo “futuro” e fa riferimento alla “teologia eucaristica del celibato”.

Padre Touze, perché questo titolo?

Laurent Touze: Per giocare al piccolo profeta! Molti annunciano almeno da qualche secolo che il “prossimo Papa” renderà facoltativo il celibato e che quello attuale (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e ora Benedetto XVI) non lo fa perché è troppo conservatore o ha troppe pressioni dalla Curia, secondo quanto afferma la mitologia.

Io credo che la Chiesa scopra progressivamente sempre più il vincolo che unisce il celibato al sacramento dell’ordine e che il futuro è nel celibato, vissuto meglio, in modo più santo.

Lei parla di “vincolo” tra il celibato e il sacramento dell’ordine. A cosa si riferisce?

Laurent Touze: Penso a testi come l’enciclica Sacerdotalis caelibatus di Paolo VI, o alle esortazioni apostoliche Pastores dabo vobis del venerabile Giovanni Paolo II e Sacramentum caritatis di Benedetto XVI.

I Pontefici sottolineano non solo il vincolo celibato-ministero, ma ne precisano la natura, affermando una motivazione essenziale del celibato ecclesiastico: la sua natura sponsale o eucaristica, ovvero l’oblazione di Cristo alla Chiesa, che si riflette sulla condizione sacerdotale.

Servo di Cristo sposo, morto nella croce-altare delle sue nozze con la Chiesa, il sacerdote, identificato in maniera specifica con il Salvatore, è chiamato a riprodurre il sacrificio anche nel suo celibato.

Il contesto ancor più chiaramente eucaristico di Sacramentum caritatis, offre a mio avviso la chiave di questa natura.

La teologia eucaristica del celibato pone il sacerdote di fronte all’ufficio principale della sua vocazione, la Messa, e gli ricorda che le parole della consacrazione devono modellare la sua oblazione per la salute del mondo.

Il ministro impara ad associarsi interiormente ed esteriormente a Gesù Cristo, che rende realmente presente, a diventare anche egli pubblicamente sacerdote e vittima, a vivere come ministro ciò che Benedetto XVI chiama la “logica eucaristica dell’esistenza cristiana”.

Tuttavia nella Chiesa cattolica vengono ordinati sacerdoti anche gli uomini sposati …

Laurent Touze: Sì, è vero, nelle Chiese cattoliche orientali, in alcuni casi, una parte dei sacerdoti è formata da uomini sposati e anche nelle Chiese orientali separate da Roma.

Anche nella Chiesa latina, che riunisce la maggioranza dei cattolici e nella quale i sacerdoti sono celibi, vi sono eccezioni. Tra queste vi sono alcuni ministri riformati che entrano nella piena comunione con la Chiesa.

Ma bisogna anche sottolineare che nelle comunità cristiane che sono in senso stretto “Chiese” (perché hanno conservato pienamente la validità dell’ordine e dell’Eucaristia), il vescovo, che ha ricevuto la pienezza del sacramento dell’ordine, è sempre celibe.

Si sente dire che estendere il sacerdozio agli uomini sposati consentirebbe di superare la crisi delle vocazioni.

Laurent Touze: La “crisi delle vocazioni” non è generalizzata. Riguarda soprattutto i Paesi occidentali, in pieno inverno demografico, e le comunità spesso mal informate su che cos’è il ministero e forse più in generale su che cos’è la fede della Chiesa e la santità di Gesù Cristo.

Nelle famiglie più numerose, che vibrano con una fede autentica e viva, fioriscono vocazioni a ogni stadio della vita.

Inoltre, la crisi delle vocazioni esiste anche tra i protestanti, ai cui ministri è consentito sposarsi.

Inoltre, ordinando uomini sposati si correrebbe anche il rischio di dimenticare la vocazione universale alla santità, il cuore del magistero del Vaticano II: la prima missione dei laici, uomini e donne, sposati o celibi, è la santificazione delle strutture temporali e non la sostituzione dei chierici.

Si è anche sentito dire, in questi ultimi mesi, che il celibato sacerdotale sarebbe uno dei motivi dei casi di pedofilia. Cosa ne pensa?

Laurent Touze: Di fronte agli scandali a cui lei si riferisce, il primo compito della comunità ecclesiale è anzitutto quello dell’accompagnamento delle vittime, ma anche quello di fare prevenzione: fare tutto il possibile perché questi casi non si ripetano.

In questo senso, occorre porre attenzione alla selezione dei candidati al sacerdozio, insegnando a vivere la sincerità nella direzione spirituale.

Un giovane che ha problemi affettivi può arrivare ad essere santo. Deve imparare a vivere la continenza e magari ricevere un sostegno medico. Ma non dovrebbe poter diventare sacerdote.

Il celibato sacerdotale – continuo a fare l’avvocato del diavolo – sarebbe un’invenzione del Medioevo, anzi “medievale”…

Laurent Touze: Si dice e si ripete “medievale”! Si ignorano troppo spesso gli sviluppi recenti della storiografia del celibato sacerdotale. Penso ad Alfonso Maria Stickler, Christian Cochini e, più di recente e diffusamente, a Stefan Heid.

Questi autori hanno dimostrato che i vescovi e i sacerdoti del secolo IV erano celibi o continenti sin dall’ordinazione se erano sposati, ovvero, rinunciavano all’atto coniugale.

Questo mi sembra un primo fatto importante segnalato da questa scuola storiografica, la quale afferma inoltre – e ne sono convinto – che questa usanza era già vissuta nei secoli precedenti.

I canoni del IV secolo hanno solo messo per iscritto ciò che era già vissuto nella norma, conferendogli forza di legge.

Il terzo elemento di questo nuovo approccio è che solo con il Concilio orientale in Trullo del 691 sarebbe stata abbandonata la tradizione originale, consentendo ai sacerdoti – ma non ai vescovi – di consumare il proprio matrimonio.

La novità orientale, che è stata accettata dalla Chiesa universale solo nel XVI secolo, è quindi l’abbandono della continenza per i sacerdoti sposati.

Lei propone di rileggere il sacerdozio “dall’alto”, a partire dalla figura del vescovo che ha la “pienezza del sacerdozio”. Il sacerdote non è “pienamente sacerdotale”?

Laurent Touze: L’unico sacerdote della Nuova Alleanza è Gesù Cristo. Tutti i fedeli partecipano del suo sacerdozio grazie al battesimo e devono imparare a farsi sacerdoti nella propria vita quotidiana, offrendo ciò a Dio come un atto di culto.

I sacerdoti e i vescovi ricevono alla loro ordinazione un dono specifico che gli consente di distribuire, nella Chiesa, i doni di Cristo, capo del suo corpo, attraverso i sacramenti, la predicazione e il governo.

E il vescovo, come ha precisato il Vaticano II, ha la pienezza del sacramento dell’ordine. Esiste quindi una distinzione sacramentale tra il sacerdote e il vescovo, ma allo stesso tempo una forte relazione reciproca.

Il Concilio ha costruito la teologia del sacerdozio a partire dall’episcopato e oggi il sacerdote viene inteso sempre meglio alla luce della figura del vescovo.

Esiste, in questo senso, un parallelismo di significati tra i gradi dell’ordine (vescovo, sacerdote – non consideriamo in questa sede i diaconi) e i gradi della continenza/celibato richiesti al ministro: nessuna eccezione per il vescovo; qualche eccezione per il sacerdote.

Alla pienezza dell’ordine corrisponde la massima visibilità dell’oblazione eucaristica di sé, in un celibato/continenza senza mitigazioni.

Ma se il vescovo deve essere celibe/continente, quanto più – come oggi – il sacer
dote viene definito in funzione del vescovo, tanto più si dovrà chiedere a tutti i ministri che si sottomettano alla stessa disciplina, in ragione della logica del sacramento ricevuto.

Lei delinea, per il celibato sacerdotale, un futuro di santità e di libertà. Avrebbe potuto mai immaginare questa “purificazione” che sta vivendo la Chiesa da qualche mese, quando ha scritto il suo libro? Se la sente di ripetere oggi le stesse parole, nonostante l’attualità “dolorosa”?

Laurent Touze: Ancora di più! Una teologia del celibato che sottolinea la dimensione sacramentale, di fatto fa appello alla santità.

L’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, al paragrafo sul celibato (n. 24), moltiplica gli inviti affinché il sacerdote si apra alla “consacrazione”, all’“offerta esclusiva di se stesso”, a vivere “la sua missione fino al sacrificio della croce”, alla “dedizione totale ed esclusiva a Cristo, alla Chiesa e al Regno di Dio”.

Se la teologia attuale, del magistero, è ricevuta in modo autentico e applicata nella Chiesa, il futuro del celibato sarà un futuro di libertà, di dono, di santità sacerdotale.

In altre parole, per lei non c’è alternativa: la risposta alla “crisi” è la santità.

Laurent Touze: Mi hanno sempre impressionato le parole di san Josemaría Escrivá: “Un segreto, un segreto da urlare ai quattro venti: queste crisi mondiali sono crisi di santità”.

Quando le crisi sono visibili e palpabili, nella Chiesa e nel mondo, l’unica risposta di fondo è la conversione, la santità.

Ed esiste un’unica santità, perché solo uno è santo – Dio – che acclamiamo cantando: “Santo, Santo Santo è il Signore”.

Lui si è reso visibile al mondo in Gesù Cristo. Arrivare ad essere santi, cercare di esserlo, significa riprodurre la vita del Salvatore nella nostra situazione, imitare il suo dono si sé per amore.

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ZENIT Staff

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