I due Santi Pontefici uniti nella missione alle genti (Prima parte)

Il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli e il Pime. La “Princeps Pastorum” dedicata ai laici delle missioni

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Ho provato grande gioia per i due nuovi Santi della Chiesa, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Come Vicari di Cristo nella Chiesa universale la loro azione era a tutto campo, in tutti i settori della vita cristiana e del rapporto con il mondo. Come missionario li vedo uniti in una linea di continuità nell’aver promosso la missione fino agli estremi confini della terra; e non solo per proclamare il primo annunzio di Cristo ai popoli, ma perché la spinta ad uscire dall’ovile di Cristo per evangelizzare i non cristiani e i non credenti riporta la Chiesa d’oggi allo spirito delle prime comunità cristiane che erano animate dal fuoco dello Spirito Santo, il protagonista della missione.

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Ho conosciuto bene e da vicino i due nuovi Santi. Il 3 marzo 1958, il Patriarca di Venezia card. Angelo Roncalli venne a Milano per portare al Pime le spoglie del nostro Fondatore (nel 1850), il Servo di Dio mons. Angelo Ramazzotti, suo predecessore a Venezia, oggi tumulate nella chiesa di San Francesco Saverio. Roncalli diceva che avendo studiato la vita dei Patriarchi veneziani: “Si è fatta profonda e schietta in me la convinzione che davvero a mons. Ramazzoti il titolo di Santo gli convenga e di Santo da Altare”. Ed esortava il Pime ad introdurre la sua Causa di beatificazione, cosa che, essendo il nostro un istituto non religioso ma di clero secolare fondato dalle diocesi lombarde, non aveva mai pensato di fare. In quei giorni del card. Roncalli a Milano c’è un episodio curioso. Era venuto a Milano il 2 marzo per mezzogiorno. Nel pomeriggio, visita al Pime e al seminario teologico, poi  chiama me e padre Mauro Mezzadonna nel suo ufficio (accanto alla camera da letto) e ci dice: “Voi siete preti giovani e giornalisti, vi leggo su “Le Missioni cattoliche” e “L’Italia”. Vi leggo il discorso che farò domani quando saranno presenti tutti i vescovi lombardi, ditemi cosa vi pare”. E ci legge il discorso, gli dico di scrivere frasi più brevi come si usa oggi”. Poi chiedeva notizie della rivista e sul Pime, la sua semplicità era commovente. Il giorno dopo, prima di ripartire per Venezia, mi consegna una lettera in busta chiusa, nella quale lodava la rivista del Pime “che leggevo da giovane e ancor oggi leggo con piacere”.

Il 18 marzo 1963, tre mesi prima di morire (3 giugno 1963), dona la sua casa natale di Sotto il Monte al Pime e benedice, in Vaticano, la prima pietra del seminario (l’avevo portata a Roma in una Topolino d’anteguerra, non c’era ancora l’Autostrada del Sole, l’auto andava al massimo a 70 km l’ora!), che è stato poi costruito accanto alla casa natale, oggi conservata come era in passato e meta di tanti pellegrinaggi. Una cerimonia intima fra il Papa e una ventina di missionari del Pime. Giovanni XXIII parlava in bergamasco e diceva: “Se fate in fretta a costruire, vengo io a inaugurare il seminario”. E poi aggiungeva che nel seminario di Bergamo si leggevano le riviste missionarie, diversi chierici erano entrati nel Pime e venivano a parlarci delle missioni. “Io stesso – aggiungeva – ero innamorato delle missioni e ho chiesto al mio vescovo di poter entrare nel vostro istituto. Lui mi rispose di continuare gli studi teologici in seminario per essere ordinato sacerdote diocesano, poi potevo andare con i missionari. Però, quando mi ordinò sacerdote, mi nominò suo segretario particolare e ho seguito la santa obbedienza della volontà di Dio”.

E poi, negli anni venti, come direttore delle Pontificie Opere missionarie, aveva avuto stretti rapporti col Beato Padre Paolo Manna, da lui definito “il Cristoforo Colombo dell’animazione missionaria”. Un segno di questa sua vicinanza alle missioni e al Pime è quando, nel settembre 1962, mi nominò uno dei “periti” del Concilio per il Decreto Ad Gentes e il direttore dell’Osservatore Romano, Raimondo Manzini, mi chiamò come redattore delle pagine dedicate al “Concilio”, col compito di seguire il tema missionario e intervistare i vescovi delle missioni.

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Nell’omelia della sua incoronazione a Pontefice romano ( 4 novembre 1958), Giovanni XXIII  affermava che la qualità più importante del Papa è lo zelo apostolico verso le pecorelle che non sono nell’ovile di Cristo. E aggiungeva: “Ecco il problema missionario in tutta la sua vastità e bellezza. Questa è la sollecitudine del Pontificato romano, la prima, anche se non la sola”. Molti i testi di questo genere all’inizio del suo pontificato. Infatti, una delle sue prime encicliche è la “Princeps Pastorum” (28 novembre 1959), pubblicata un anno dopo essere stato eletto Papa e nel 40° anniversario della “Maximum Illud” (1919).

Questo testo molto importante è il primo dedicato quasi esclusivamente al clero e ai laici locali delle missioni. Gli aiuti e i missionari occidentali erano ancora indispensabili, ma il Papa poneva l’accento sulla vitalità  la responsabilità delle giovani  Chiese, per dare nuovo vigore al primo annunzio di Cristo in popoli e culture vergini. Già Pio XII con la “Evangelii Nuntiandi” (1957)  aveva parlato del “laicato missionario”, ma si riferiva ai volontari laici venuti dall’Occidente per aiutare i missionari. 

Invece, solo due anni dopo, Giovanni XXIII tratta della formazione spirituale e missionaria, prima del clero e poi, soprattutto del laicato locale. Afferma che la formazione dei battezzati deve rispondere “alle esigenze dell’epoca e metterli in grado di accettare la responsabilità che dovranno affrontare per il bene e lo sviluppo della Chiesa locale”. In altre parole, Giovanni XXIII, dopo aver descritto lo sviluppo storico positivo della missione alle genti, afferma che le giovani Chiese locali sono ormai mature per assumere in pieno l’opera missionaria verso il loro stesso popolo: il primo annunzio di Cristo e le opere di carità, educazione, cultura e le varie attività di evangelizzazione e formazione cristiana.

Le precedenti encicliche missionarie erano appelli dei Papi al mondo cattolico a favore del mondo non cristiano. Papa Giovanni, pur non tacendo questo aspetto,  rivolge la sua attenzione ai giovani cristiani, rendendoli protagonisti della missione alle genti nei loro paesi. Passaggio fondamentale, perché ha dato importanza massima ai catechisti, all’Azione cattolica e altre associazioni di formazione laicale (come la ”Legione di Maria” allora molto attiva nelle missioni). 

[La seconda parte verrà pubblicata domani, lunedì 27 aprile 2014]


Per informazioni e approfondimenti consultare l’indirizzo del sito ufficiale di padre Gheddo, missionario e giornalista: http://www.gheddopiero.it/ 

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Piero Gheddo

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