“Dinanzi alla forza prepotente delle armi, la forza debole della preghiera. Di fronte alla pagina del terrore, la pagina della pace”. L’incontro che si terrà ad Assisi i prossimi 18-20 settembre, dal titolo “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo”, che vedrà la presenza di Papa Francesco, non vuole presentarsi come un evento politico tantomeno come un segno di protesta contro quel terrorismo estremista che lacera l’islam al suo interno e mina al dialogo con le altre fedi.
“È principalmente un appuntamento spirituale” chiarisce il presidente di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, illustrandone oggi il programma nella sede della Radio Vaticana, insieme a mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi, e padre Enzo Fortunato, direttore Sala Stampa del Sacro Convento. “Non sarà un momento celebrativo distaccato dalla realtà”, bensì “l’occasione per dar voce ai popoli sofferenti”.
Per questo, oltre ai leader ebraici, musulmani, anglicani, scintoisti, buddisti (470 in totale, insieme agli speaker) che affiancheranno Papa Bergoglio in una comune preghiera per le vittime di guerre e violenze, sarà forte la presenza di profughi e rifugiati. Giovani in particolare, riuniti nella piazza antistante la Basilica di San Francesco per lanciare un appello di pace.
Venticinque di loro, ha informato Impagliazzo, pranzeranno insieme al Papa nel Refettorio del Sacro Convento. Dieci sono ospiti della Comunità nella sede di Trastevere, a Roma, dove sono approdati grazie ai corridoi umanitari realizzati con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia; altri dieci provengono dal centro “Cara” della Capitale, dove il Pontefice si è recato per la lavanda dei piedi del Giovedì Santo. I restanti cinque sono assistiti invece dalla Caritas di Assisi. A nome di tutti loro, sul palco dove si terrà la cerimonia conclusiva il 20 settembre, prenderà la parola un’altra profuga: una donna armena di Aleppo rifugiata in Toscana.
La sua voce si inserirà nel coro polifonico di preghiere, canti, discorsi, che si avvicenderanno da domenica 18 settembre, quando, alle 16.30, si terrà la cerimonia di inaugurazione alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con gli interventi del fondatore della comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi e del patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo.
In serata è previsto un concerto del grande violinista Uto Ughi che si esibirà gratuitamente davanti ai 12mila pellegrini che si prevedono per quei giorni nella città serafica. Un numero impressionante al quale si aggiungono i 511 ospiti, tra rappresentanti di nove diverse religioni, autorità politiche, giornalisti, imprenditori, intellettuali del calibro di Zygmunt Bauman e Nobel per la pace come Hassine Abbasi e Amer Meherz del “Tunisian national dialogue quartet”.
Da segnalare anche altre presenze significative, come quella del presidente dell’assemblea nazionale della Repubblica del Sudafrica, Baleka Mbete, che vive una fase di transizione, o di Cesar Alierta dell’associazione spagnola ProFuturo che promuove progetti di educazione per i giovani in Africa attraverso la diffusione di computer.
Presenti per offrire la loro testimonianza anche mons. Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen, in Francia, dove il 26 luglio due terroristi hanno sgozzato il sacerdote Jacques Hamel, e mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, quale testimone del devastante terremoto nel centro Italia. Numerosi cardinali prenderanno parte ai diversi panel e non mancheranno esponenti religiosi come il rabbino israeliano Avraham Steinberg, il consigliere politico del Gran muftì del Libano Mohammad Sammak e il presidente del buddismo Risso Kosei-kai. Presenti per il Governo italiano i ministri Orlando, Giannini e Galletti e il viceministro Giro.
Tutti gli ospiti parteciperanno ad una processione di pace che sarà suggellata dalla cerimonia nella piazza della Basilica inferiore di San Francesco presieduta dal Papa, il quale pronuncerà un discorso. Seguono i saluti dei diversi leader religiosi, un momento di silenzio in memoria delle vittime del terrorismo, la firma di un appello di pace, l’accensione di due candelabri e lo scambio finale di un segno di pace.
Nonostante questo grande movimento, “Assisi non sarà blindata” ha chiarito padre Enzo Fortunato, “ci sarà una messa in sicurezza ma la città resterà aperta”. Apertura è d’altronde la parola chiave di questo incontro che commemora i 30 anni dello storico appuntamento interreligioso voluto da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986, passato alla storia come “Spirito d’Assisi”.
Un incontro che ha accompagnato le tappe più complesse della storia dell’umanità, sin dalla prima edizione dell’86, in piena Guerra Fredda tra Usa e Urss, poi tre anni dopo, a pochi mesi della caduta del Muro di Berlino alla quale ha dato “l’ultima spallata spirituale”. Via via così nel ’93 con la preghiera di pace per Bosnia ed Erzegovina; nel ’96, con la firma dei trattati di Dayton; nel 2002, un anno dopo l’attentato alle Torri Gemelle e infine nel 2011, con l’“inaspettata” presenza di Benedetto XVI che, non solo raccolse l’eredità del suo predecessore, ma invitò ad Assisi anche una rappresentanza di atei sotto la dicitura di “pellegrini della pace e della verità”.
Un’intuizione “geniale” che ha dimostrato “che il mondo stava perdendo i suoi valori, prima ancora della fede, e che era alla ricerca di senso” ha rilevato padre Fortunato, ricordando “le lacrime raccolte sulla Tomba di San Francesco della non credente per eccellenza, Julia Kristeva”.
Non si può parlare perciò dello “Spirito d’Assisi” come di un incontro “scenografico”, ha chiarito Impagliazzo. “È il racconto di una storia di fronte alla quale la domanda: ‘A cosa è servito questo Spirito?’, si scontra con tante realtà positive”. Una su tutte la firma del trattato di pace in Mozambico, nel ’92, su impulso di un vescovo che proprio ad Assisi chiese aiuto dopo aver assistito alla morte di un milione di persone nel suo paese.
“Sono tanti i musulmani che, dopo Assisi, hanno chiesto di impegnarci per la pace nei loro paesi” ha affermato il presidente di Sant’Egidio, “con lo ‘Spirito d’Assisi’ abbiamo scoperto di avere come comunità cristiana un’energia di pace. Dobbiamo metterla a frutto, anche perché lo ‘Spirito’ è un appiglio per tutti coloro che vogliono de-solidarizzare la violenza dalle religioni”.
In ogni caso, ha chiarito mons. Sorrentino, “non vogliamo fare un’insalata di esperienze religiose”, bisogna concentrarsi piuttosto sull’“aspetto unitivo e pedagogico di un cammino comune”, senza alcun “sincretismo o relativismo che nessuno vuole”.