Il sistema economico dominante nel pianeta si basa sull’utilitarismo. Questo significa che tutto ciò che fa accrescere il valore del denaro e il guadagno, vale più di qualsiasi altra cosa o essere umano. Il sistema si è così radicalizzato intorno a questo concetto che non si distingue più la differenza tra speculazione e produzione, tra denaro e persona.
Spesso Papa Francesco ha fatto notare come i media riportino ogni giorno delle variazione dei valori di borsa, mentre viene considerata una notizia irrilevante la morte di un indigente. Di fronte a Lampedusa sono morte molte più persone dell’attacco delle Torri Gemelle, eppure non è stata imbastita una strategia mondiale per fermare le guerre e rimuovere la cause che impediscono lo sviluppo dei paesi poveri.
L’utilitarismo fa sì che si è spinti a compiere azioni ingiuste e crudeli. La povertà è trattata come una malattia e chi ne è affetto viene spesso mal accettato, o peggio respinto e allontanato. A fronte dell’utilitarismo che segna una crisi antropologica epocale, Papa Francesco ha sottolineato che il denaro deve servire e non governare, nello stesso tempo ha proposto una rivoluzione economica che si basa sulla cultura del dono.
Con coraggio e molta fede il Pontefice sta proponendo una rivoluzione francescana nell’economia e nei rapporti tra umani e creato. Ma cosa si intende per “economia francescana”? Come ha fatto San Francesco a vivere in povertà e carità e nello stesso tempo favorire il micro credito e cambiare il modo di utilizzare il denaro? Come hanno fatto i francescani a costruire tanti conventi, chiese, scuole, ospedali in tempi in cui il prodotto interno lordo era così limitato? Come ha funzionato la riforma del credito operata dai banchi di pegno? La cultura del dono è praticabile in un sistema economico come quello moderno? Le proposte del Papa sono solo utopie di carattere evangelico oppure possono funzionare nella realtà?
Queste ed altre domande ZENIT le ha rivolte al professor Oreste Bazzichi, docente di filosofia sociale ed etica economica alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum. Bazzichi è anche autore di molti libri su questi temi, gli ultimi pubblicati sono: “Dall’economia civile francescana all’economia moderna, Una via all’umano e al civile dell’economia” (Edizioni Armando Editore 2015) e “Economia e scuola francescana” (Edizioni Libreria Universitaria.it 2013)
Alla domanda su cosa consistesse il modello economico francescano, il professore spiega che la nascita dell’Ordine francescano agli inizi del XIII secolo si inserisce in uno dei periodi più travagliati e decisivi della storia dell’Europa e della Chiesa. Il vecchio sistema dell’Alto Medioevo, fondato sulla campagna con i fenomeni strutturali sociali, economici, culturali e religiosi, che da questo tipo organizzativo conseguono, lascia il campo alla grande novità dell’urbanizzazione: non più monasteri, abbazie e monaci, ma conventi dentro o vicini alle città e frati. Parallelamente a questa rivoluzione socio-economica e culturale anche la Chiesa attraversa una crisi di crescita e di ridefinizione dei suoi ruoli e delle sue caratteristiche. In essa si scontravano due tendenze: quella della conservazione del vecchio ordine feudale e quella nuova legata alla società urbana; quella di una cultura teologica tradizionale e quella invece che si apre alle tematiche sociali, del lavoro, della povertà, della ricchezza e del “bene-vivere” nella città.
Occorre dire che l’Italia era allora il Paese più ricco e più colto di tutta l’Europa, anche se era certamente il più politicamente e militarmente disorganizzato. Firenze, poi, era la città più colta d’Italia e divideva con Venezia e con Genova il primato della ricchezza. La Toscana, massimo centro capitalistico dell’Italia, diresse la vita economica europea nel periodo intercorso fra la metà del Duecento e la metà del Trecento. Ma la crescente domanda di cibo, determinata dal fenomeno dell’urbanizzazione, cercò nell’industrializzazione la soluzione (imprese artigianali e industriali tessili, del vestiario, dell’agricoltura, delle candele, delle officine meccaniche, ecc.), che, allargando l’orizzonte degli scambi commerciali locali, non solo aumentò la produttività industriale, ma anche quella agricola, zootecnica e avicola. Alla fine del Duecento, mercanti, imprenditori e cambiavalute, motivati dallo spirito del guadagno e dal desiderio dell’accumulazione del denaro, come mezzo di ascesa socio-politica ed economica, superano i circuiti domestici commerciali per svilupparsi in ambito nazionale e internazionale. Le città mercantili come Venezia, Genova e Pisa e città a forte connotazione manifatturiera e finanziaria, come Firenze, Lucca, Siena e Milano, sono lì storicamente a ricordarlo.
Sulla scia della rivoluzione commerciale che accompagnò i secoli XIII e XIV, i frati francescani, seguendo la visione del loro Fondatore, non impararono soltanto a stare nel mondo e fra la gente, contemplando la bellezza del creato per ascendere a Dio, ma, a contatto con i disagi, le sofferenze e le carenze dei mezzi necessari per vivere dignitosamente del popolo, si sentirono in obbligo di studiare e progettare il migliore sistema di sviluppo socio-economico possibile, fondato sul principio della reciprocità, della fraternità e della gratuità. I due mestieri dominanti allora dei banchieri e dei mercanti non apportavano nulla al bene comune cittadino, ma solo al privato. Lo sforzo di ricerca e di studio della Scuola francescana si concentrò, quindi, su queste due categorie sociali per trovare la strada di condurle a partecipare alla costruzione della società civile, dove la reciprocità fosse messa al centro.
Tutto il mondo – afferma il Cantico delle creature – è bene comune. La natura non è solo bellezza estetica, ma una fonte inesauribile di risorse da gestire per il bene di tutti. Laudato si mi Signore per frate vento e per aere e nubilo e sereno e onne tempo per lo quale a le tue creature dai sostentamento…per sora aqua la quale è molto utile…e preziosa…per sora nostra madre terra, la quale ne sostenta e governa e produce diversi frutti. Senza l’uomo e la sua capacità di capire e di sviluppare i prodotti della natura – senza questo discernimento – non si capirebbe la correlazione fra “bisogni”, “risorse scarse”, “produzione”, “consumo” e “scambio” (cioè le origini e le ragioni dell’economia).
Nel momento in cui si afferma la società urbana, con le botteghe artigiane, con gli operai, i mercanti, i traffici, le scuole di chierici e laici, le università, Francesco propone il rapporto diretto con la bontà del mondo, la natura ed i suoi elementi: terra, cielo, acqua, fuoco, piante, animali, fiori, erba. Egli conosceva molto bene le logiche, le forme e i valori della insorgente civitas mercantile che stava contribuendo in modo determinante a spostare l’asse della ricchezza dalla proprietà immobiliare – tipica dell’Alto Medioevo – alla ricchezza mobiliare, alla ricerca e al possesso del denaro. L’ostacolo allo sviluppo era il credito usuraio e le rendite finanziarie. La Scuola francescana supera il concetto di usura, sul piano teorico, dimostrando la liceità del contratto di mutuo, attraverso i due principi del “danno emergente” e del “lucro cessante”, e, sul piano pratico, sconfiggendo la pratica dilagante dell’usura con l’invenzione dei Monti di Pietà.
Economia francescana tra utilitarismo e cultura del dono
Il professor Oreste Bazzichi spiega l’attualità del modello socio-economico francescano