A scuola per imparare a vivere

Gli insegnanti che fanno la differenza sono quello che credono negli allievi e non si fanno intrappolare dalla burocrazia

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«Lo studio è la migliore previdenza per la vecchiaia». La saggezza di Aristotele è sempre lì, salda nei secoli, a ricordare l’importanza dell’istruzione. Ancor più in questi giorni in cui le scuole riaprono i battenti. Un nuovo anno scolastico comincia, col suo carico di entusiasmo e aspettative: si aprono orizzonti, lo spirito gode nella bellezza, il cuore freme nella ricerca, la mente si esalta nella scoperta della verità per acquisire quel tesoretto di competenze e conoscenze da utilizzare nel lavoro e, soprattutto, nella vita.
Qualcosa di simile era suggerito dal cardinale e teologo John Henry Newman, quando sollecitava ad abbandonare ogni concezione commerciale del sapere per farne pure «un fine al quale fermarsi e da perseguire per se stesso». Insomma, un salto verso un mondo di infinite conoscenze, colorate, gentili e gioiose: un sapere che passa – o per lo meno, dovrebbe passare – attraverso il gioco, l’interazione, la narrazione, la comunicazione, l’attitudine alla curiosità e all’immaginazione.
Sono questi i contorni di una scuola che ancora non c’è, o forse c’è solo in parte: moderna sì, ma saldamente ancorata alle tradizioni. Una scuola che sa coniugare lavagne e tablet, tabelline e web, cartelloni disegnati a mano e registri elettronici, filastrocche e coding, per offrire a bambini e giovani ciò che essi sperano di trovare varcando il portone: il futuro, la felicità. Parola complicata, ambita, visionaria e non misurabile, men che meno monetizzabile, ma essenziale per un ambiente educativo caldo stimolante ed efficiente, ricettivo ed accogliente.
Per riuscire in ciò, è indispensabile trovare in cattedra maestri di vita, insegnanti capaci di parlare questo linguaggio. Uomini e donne motivati e attrezzati per coinvolgere e trasmettere nozioni, valori, metodi di studio e il gusto per la cultura. Un requisito necessario: sono gli insegnanti quelli che fanno la differenza, quelli che i ragazzi seguono, quelli a cui si legano, si affezionano. Quelli di cui si fidano: persone, e sono tante, che considerano l’insegnamento come vocazione e non un ripiego. Che non si sono fatte intrappolare dalla burocrazia, dai disagi, dai tagli e dai frammenti di riforma. Che credono nella scuola perché credono negli studenti.
È in loro che ogni speranza è riposta: l’allievo presta più attenzione a quello che un insegnante fa, rispetto a ciò che dice. Ecco perché devono essere sempre ben presenti la consapevolezza, la testimonianza e la coscienza che l’insegnamento spesso abbonda in astrattezza, teoricità, indeterminatezza e che per questo occorre uscire dal guscio protettivo e confrontarsi col mondo, i suoi valori ed i suoi scandali.
In questo inizio di settembre in cui tra studenti, famiglie e professori ci si rimette in moto, ognuno con il proprio carico di ansie, timori e buoni auspici, non sarà tempo perso, allora, fermarsi un attimo a guardare negli zaini e tra i registri per cominciare con fiducia e piena consapevolezza il compito delicato ed essenziale che attende tutti. Il mondo, ci ricorda il Talmud, «può essere salvato solo dal soffio della scuola».
 
 
 

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Vincenzo Bertolone

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