E’ Domenica, e ci ritroviamo di nuovo nella nostra comunità cristiana per nutrirci del “Pane del Cielo”, ma… Ma probabilmente nel cuore nascondiamo qualche mormorazione”. La Parola che la Chiesa ci proclama oggi, infatti, non può sbagliare, ed è diretta a noi, nessuno escluso.
E perché “mormoriamo”, ci agitiamo nel cuore? Perché i nostri occhi sono incapaci di vedere oltre le sembianze della carne. Anzi, di più, siamo così ciechi da non poter contemplare nella carne di Cristo il Pane che il Padre ha preparato per noi, l’alimento celeste capace di saziarci davvero.
E che significa questo? Significa che abbiamo “rattristato lo Spirito Santo con il quale fummo segnati per il giorno della redenzione” il giorno del nostro battesimo. L’ospite dolce dell’anima si è sentito di troppo tra le “asprezze”, gli “sdegni” e l’ “ira”, il “clamore” e la “maldicenza” che sorgevano in noi.
Accidenti… Ma come, la “società civile” si “sdegna” e con “clamore” denuncia i disonesti, e io? Sono per caso “incivile”? Ma come, anche nella Chiesa tanti preti e cristiani in vista si scagliano “aspramente” e con “ira” contro le ingiustizie “adirandosi” contro gli ingiusti, e io? Che razza di cristiano dovrei essere?
Semplice, un cristiano è solo colui che, “segnato dallo Spirito Santo”, si lascia guidare da Lui. Scrive infatti San Paolo che “chi non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene”. Per questo non sa riconoscerlo nella carne che ha assunto il Figlio di Dio, ovvero la tua e la mia, e quella di tua moglie e di tuo marito, dei figli.
Chi, ingannato dalla menzogna del demonio, ha “rattristato lo Spirito Santo”, non sa discernere la presenza di Cristo nella propria storia, per questo affronta tutto e tutti con “ogni sorta di malignità”. Vede sempre nero, ovunque ingiustizie, è inquieto e mai sazio.
Sì fratelli, abbiamo prestato ascolto alla “voce” del padre della menzogna, e per questo abbiamo passato una settimana mormorando. Non ci credi? Vediamo: ieri ad esempio, hai davvero “udito” la voce del Padre che è nei Cieli? Hai percepito, nel fondo del tuo intimo, quel moto dello Spirito che conduce a Cristo? Forse no; o forse lo hai messo a tacere alzando il volume della televisione…
Ma non ti scandalizzare della tua debolezza. Forse anche tu, come Elia, sei oggi “desideroso di morire”. Non fisicamente, ma di sparire da quella realtà che ti opprime. E magari, sapendo di “non essere migliore dei tuoi padri”, dei tanti cioè che “hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti”, ti sei “addormentato sotto il tuo ginepro”. Sotto un albero cioè, dove speri un po’ di refrigerio, una piccola consolazione, una carezza, una parola di stima…
Hai visto infatti, tanti, troppi fratelli e amici spegnersi nei fallimenti, alzare bandiera bianca e arrendersi. Hai visto il limite invalicabile del peccato e della morte che ne consegue, e hai smesso di combattere. Tuo figlio non cambierà, tua moglie neanche parlarne, tuo marito poi. La malattia non ti abbandonerà, e il lavoro non lo troverai…
E’ così oggi? Per questo stai mormorando? Coraggio, perché “un angelo”, cioè un messaggero di Dio, un apostolo viene oggi a “toccarti” attraverso la liturgia di questa domenica per dirti: “alzati e mangia!”. “Risuscita” nel perdono di Dio e “mangia” il “Pane del Cielo”! Ascolta la predicazione che fa scendere dal cuore di Dio il suo amore, e accogli Cristo che si fa tuo cibo! Oggi, ora, nella situazione nella quale ti trovi, nel deserto simile a quello nel quale stava camminando Elia.
“Su, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino” ci dice la Chiesa. La nostra vita, infatti, è diretta verso l’Oreb, il monte di Dio, dove ascolteremo la sua “voce” e “impareremo da Lui”.
Ascolto, cibo e cammino sono dunque strettamente legati. Così è stato per il Popolo di Israele, così per Elia, così per la Chiesa, per te e per me. Non a caso Gesù usa il verbo “imparare”. Nel cristianesimo non vi è nulla di magico.
Bisogna camminare molto, ogni giorno, perché solo “chi ha udito il Padre e ha imparato da Lui viene a me”, dice il Signore. Solo, cioè, chi è rinato nel seno della Chiesa dove ha “udito la voce del Padre” e ha “imparato da Lui” attraverso la predicazione degli apostoli, crede in Gesù Cristo e ha a vita eterna.
Chi è rinato nel battesimo, infatti, “viene da Dio”, è suo figlio, e ciò significa che “ha visto suo Padre”. Lo ha visto operare nella sua vita, ne ha sperimentato la provvidenza e le viscere di misericordia nelle quali è stato rigenerato.
E’ l’esperienza dei catecumeni che, ricevendo la preghiera del Padre Nostro verso la fine del percorso di iniziazione cristiana, potevano ormai immergersi nel fonte battesimale. Credevano, e per questo avevano vita eterna dentro, al punto di offrire se stessi al martirio…
Allo stesso modo anche noi siamo chiamati a ritornare al nostro battesimo, per immergerci ancora nella misericordia che ci fa figli che “vengono”, con Cristo, da Dio; ad “ascoltare” e a “vedere” il Padre in ogni evento della vita. E a “camminare” nella conversione per “imparare” la fede adulta. Dice infatti Gesù che “chi crede ha la vita eterna”. Non solo che l’avrà dopo la morte, ma che “ha” oggi la vita eterna.
Non è vero che, siccome “i nostri padri sono morti”, dovremo morire anche noi. No! Loro, nonostante la manna, “sono morti” al di fuori della Terra Promessa perché non hanno creduto! Come potrebbe accadere a noi, certo. Ma se oggi ascoltiamo la voce del Padre, non induriamo il cuore come fecero i nostri padri…
Sono le prime parole con cui la Chiesa si desta alla preghiera ogni giorno. Perché ogni giorno abbiamo bisogno di convertirci e credere, appoggiarci cioè alla Parola di Dio lasciandoci “ammaestrare da lui” attraverso gli eventi che ci umiliano.
Per questo abbiamo bisogno di essere assidui alla “scuola del Padre” che è la comunità cristiana; in essa “impariamo” a credere sperimentando il potere che ha il “pane che discende dal Cielo”. Solo “mangiando” di esso, infatti, “non moriremo” nelle situazioni difficili.
Chi “mangia” il “pane celeste” che è la “carne” di Gesù Cristo “consegnata per la vita del mondo”, si unisce a Lui e ai fratelli, diventando con essi, diversi e spesso insopportabili, un unico corpo. Ah, allora è questo significa “non morire”, amare l’altro così com’è; “vivere in eterno” già da ora “imitando Dio quali figli carissimi” creati a sua immagine e somiglianza!
Una “imitazione” però che non è frutto dei nostri sforzi, ma l’opera della Grazia battesimale e dei sacramenti che da esso scaturiscono, i quali plasmano in noi l’uomo nuovo, il Figlio di Dio che si fa carne nell’essere “benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandoci a vicenda come Dio ha perdonato a noi in Cristo”.
Il “perdono” fratelli, è l’esperienza fondamentale di un cristiano! Perché quando uno è stato perdonato da Cristo, non solo è stato liberato dalla schiavitù del peccato, ma ha ricevuto lo Spirito Santo che lo fa “camminare in una vita nuova”.
E’ Lui, infatti, che apre i nostri occhi e ci dice e testimonia interiormente che proprio “il figlio di Giuseppe”, proprio colui di cui “conosciamo padre e madre”, proprio nella “carne” che ha assunto del tutto identica alla nostra eccetto il peccato si cela “il pane disceso dal Cielo”.
Che cioè la vita eterna, la vittoria sulla morte e il peccato, si possono sperimentare solo accogliendo e “mangiando” il “pane che discende dal Cielo” che si fa “carne” nella nostra storia concreta. Sì, Cristo si fa “carne” in quello che tu credi di conoscere, in quei fatti e in quelle persone per cui tu “mormori” perché pensi che s
ia impossibile che proprio nelle umiliazioni possa “discendere il pane dal Cielo”.
E invece sì, “discende” proprio nel rapporto difficile dal quale vorremmo scappare, quello, ad esempio, con il collega con il quale hai condiviso l’ufficio per vent’anni; nella malattia che non accettiamo, forse il diabete che ti limita così tanto, forse una ancora più grave; nell’ingiustizia alla quale ci ribelliamo, una multa appena trovata sul parabrezza, tuo padre che ha abbandonato la famiglia quando eri piccolo, tuo zio che, poco più che bambina, ti ha quasi violentata.
Allora coraggio, perché se hai ascoltato questa Parola, se ti stai accostando alla mensa eucaristica, significa che “il Padre ti sta attirando” come, misteriosamente, stava attirando il figlio prodigo. La sua attesa trepidante era un magnete potente, sino ad innescare nel figlio la nostalgia della casa paterna; proprio al fondo del suo peccato, al colmo della “fame”, sulla soglia della morte, è rientrato in sé, e ha rivisto il volto di suo Padre che lo stava attirando a sé.
Al colmo del dolore, nel fondo dei nostri fallimenti, infatti, si scopre senza più difese e dissimulazioni il “polo negativo” che il demonio ci ha piantato nel cuore. Ma proprio quel “polo negativo” è fatto per essere “attratto” dal “polo positivo” che è l’amore infinito del Padre.
E la “forza magnetica” che il Padre esercita per poterci “attrarre” e così riaccogliere, è lo Spirito Santo che testimonia al nostro spirito che, nonostante i nostri peccati, “siamo figli di Dio”. Figli nel Figlio suo Gesù Cristo, al quale possiamo “andare” e credere solo perché il Padre ci viene incontro perdonandoci e ridonandoci la dignità perduta.
Figli nel Figlio proprio perché Gesù è “risuscitato” e ha aperto per noi il cammino di ritorno, la possibilità di convertirci e “risuscitare” per vivere ogni istante nell’intimità sponsale con Lui. Non a caso, anticamente, sul talamo nuziale veniva posto lo stesso baldacchino che sormontava gli altari, immagine della Shekinà divina, la presenza di Dio che “discende dal Cielo” sulle specie eucaristiche come sugli sposi.
Ma vi è un baldacchino invisibile sopra ogni ufficio, su ogni aula scolastica, su ogni cinema e ristorante, su ogni campo sportivo e su ogni vagone della metropolitana, sulla tua stanza e sulla tua lavatrice. Ovunque e in ogni istante, possiamo “mangiare il pane vivo disceso dal Cielo”. E’ pane vivo tua moglie, tuo marito, tuo figlio, anche il nemico!
Questa carne che abbiamo obbligato a peccare può divenire lo scrigno da dove tirar fuori e donare i tesori del Cielo “al mondo”! Così come ha fatto Cristo sulla Croce, quando ha offerto “la sua carne come pane per la vita” di ciascuno di noi.