di Carmen Elena Villa
ROMA, lunedì, 5 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Hanno un orario fisso, un giorno di riposo e un paio d’ore libere per pranzare. Il loro ufficio non ha una scrivania e un computer. E’ un confessionale.
Le Basiliche papali di Roma e alcune altre chiese come quella del Gesù, dove si trova la tomba di Sant’Ignazio di Loyola, offrono quotidianamente il servizio della confessione in varie lingue.
Una luce rossa indica la disponibilità ad amministrare questo sacramento a chi lo richiede. Ci sono anche avvisi che indicano gli orari in cui ci si può confessare e le lingue per farlo: inglese, francese, spagnolo, italiano, portoghese, polacco e tedesco sono le più comuni.
Alcuni fedeli si avvicinano un po’ dubbiosi o timorosi, e alla fine si lanciano. Altri vi si recano periodicamente, soprattutto se vivono a Roma.
Nelle quattro Basiliche papali questo servizio è sempre esistito, organizzato da Papa San Pio V (1566-1572). Dipende direttamente dalla Penitenzieria apostolica, organismo vaticano incaricato della concessione delle indulgenze, che assegna a vari ordini religiosi la confessione in diverse Basiliche.
Nella Basilica di San Pietro ci sono i francescani conventuali, a San Giovanni in Laterano i francescani minori; a Santa Maria Maggiore i domenicani, a San Paolo fuori le Mura i monaci benedettini.
ZENIT ha parlato con il sacerdote domenicano Pedro Fernández, confessore a Santa Maria Maggiore. Per lui, quest’opera significa “esercitare il sacerdozio che la Chiesa mi ha affidato in nome di Cristo. Mi permette di stare in contatto diretto con le persone e con le anime”.
La sua missione, segnala, va spesso al di là dell’assoluzione: “Vedo molta solitudine. Ci sono penitenti che vengono per sfogarsi, per essere ascoltati. Il confessore deve approfittare di questa occasione per aiutarli, in primo luogo a rendersi conto dei peccati per potersi pentire, perché nessuno si pente di ciò che non conosce”.
Il dialogo con il penitente può essere anche un’opportunità per evangelizzare: “c’è ignoranza religiosa. Bisogna che il confessore faccia in quel momento una catechesi adeguata”.
Padre Fernández ammette che per amministrare questo sacramento in modo corretto la Chiesa avrebbe bisogno di molte mani: “Se ci fossero più confessori, ci sarebbero più confessioni. Costa sempre andare a chiedere a un sacerdote di confessarsi, ma se lo si vede seduto lì è più facile”.
La confessione come dono
Il presbitero ha sottolineato l’importanza del fatto che i fedeli vedano il sacramento della confessione come un dono e non come un castigo: “Dobbiamo avvicinarci alla confessione per accogliere questo perdono. La bellezza della confessione è in questo. E’ il sacramento della pace con se stessi”.
Come in ogni lavoro, ci sono giorni in cui si è più indaffarati che in altri, in cui ci sono più fedeli che accorrono e le file diventano più lunghe: “In Avvento, in Quaresima, i primi venerdì del mese ci sono molte più persone. Vedere una persona pentita è un’esperienza splendida”.
Perché raccontare i peccati a un sacerdote? Perché non confessarsi a Dio direttamente? Sono domande che migliaia di cattolici si pongono.
Padre Fernández spiega a questo proposito: “Nessuno ha visto Dio. La relazione con Lui è mediata. Nella nostra fede, questa mediazione avviene attraverso i sacramenti, la fede e l’esperienza mistica”.
“Per confessarsi bisogna avere fede, credere in Dio, considerare i propri peccati e pentirsi. Non è una via imposta dalla Chiesa. E’ una via indicata dalla fede”.
Il vero senso della confessione, ha aggiunto, è che “non si tratta di una consultazione psicologica e di trovare una ragione umana ai propri problemi. Si tratta soprattutto di perdono”.
La confessione è un sacramento a cui Benedetto XVI ha dato molta importanza in questo Anno Sacerdotale: “Il fatto che il Papa raccomandi ai sacerdoti di sedesi a confessare vuol dire che dobbiamo essere consapevoli della nostra identità e santificazione”, ha spiegato padre Fernández.
Nessuno, ha concluso, dà ciò che non ha: “E’ confessandosi che si impara a confessare. Difficilmente si può essere un confessore se non ci si confessa bene”.