Lettura
Paolo continua a richiamare i cristiani della comunità di Corinto. Questa volta li rimprovera per ciò che avviene quando si riuniscono in assemblea. Il suo richiamo si fonda su quello che egli ha ricevuto dalla tradizione riguardo quanto accaduto durante l’Ultima Cena. Gesù, invece, loda la fede di un centurione pagano.
Meditazione
L’evangelista afferma che il centurione invia alcuni anziani dei Giudei da Gesù per pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Subito tutti noi immaginiamo che la meta del venire di Gesù sarà la casa dell’uomo in cui si trova il malato. Invece, ciò che interessa è semplicemente che Gesù venga, cioè si incammini verso quella casa, dimostrando di voler prendersi cura di quel servo. Infatti, quando ormai Gesù è vicino alla casa, il centurione invia alcuni amici a dirgli di non essere degno che lui entri nella sua casa. Parole forti, in netto contrasto con quelle degli anziani dei Giudei che, parlando di lui a Gesù, lo hanno definito una persona degna, che merita che Gesù gli conceda ciò che gli ha chiesto, perché ama il popolo ebraico e ha costruito la sinagoga. Per questo, guardando Gesù che si incammina, rimane il dubbio che lo faccia spinto da ciò che quest’uomo ha fatto, dal suo essere degno. Le parole del centurione, invece, mettono in chiaro le cose: egli si sente indegno di poter accogliere Gesù nella sua casa, addirittura di stare davanti a lui, ma questa percezione di sé non gli impedisce di dare voce alla sua fede nell’efficacia della parola di Gesù. E Gesù prova meraviglia davanti a quelle parole, una meraviglia che nasce davanti a qualcosa che non ci si aspetta, che lascia spiazzati. Nelle sue parole, poi, troviamo cosa ha suscitato questo sentimento: proprio la fede di quest’uomo. Questo racconto ci invita a fare verità sulla nostra relazione con Dio. Pensiamo che Dio debba intervenire nella nostra vita perché “ce lo siamo meritato” con il nostro impegno, con ciò che facciamo per lui; oppure, davanti a Lui percepiamo la nostra radicale indegnità, che però non ci chiude in noi stessi, ma ci spinge ad affidarci completamente al Padre, sapendo che lui vuole il nostro bene?
Preghiera
«Ora, che potrei attendere, Signore? È in te la mia speranza» (Sal 39,8): con le parole del Salmo, rinnovo la mia fede nel Signore.
Azione
Provo a scoprire se la percezione della mia indegnità mi spinge ad affidarmi alle mani misericordiose del Signore, o se mi chiude in me stesso, nei miei sensi di colpa.
Meditazione a cura di Marzia Blarasin, tratta dal mensile Messa Meditazione, per gentile concessione di EdizioniART. Per abbonamenti: info@edizioniart.it.
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Io non sono degno
Meditazione della Parola di Dio di lunedì 12 settembre 2016 – XXIV settimana del Tempo Ordinario