Stamattina si è celebrata una delle più belle e affollate feste dell’Anno Santo della Misericordia. In una piazza San Pietro già gremita di pellegrini in attesa della canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, prevista domani, papa Francesco ha ricevuto un’udienza i rappresentanti del volontariato e degli operatori di misericordia, in occasione del Giubileo loro dedicato.
Danze, canti e testimonianze hanno scandito l’attesa del Pontefice. Tra i presenti, i Vigili del Fuoco che hanno salvato alla piccola Giorgia, tra le macerie di Amatrice, i quali hanno raccontato la loro commozione fino alle lacrime a seguito dell’episodio, e la loro vocazione – umana, prima ancora che professionale – a salvare la vita degli altri: un impulso per il quale, hanno detto, si può arrivare a non sentire né la fatica, né la fame.
Dopo l’arrivo del Papa e il breve discorso introduttivo di monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, sono seguite altre due testimonianze: quella di un dirigente bancario toscano, finito in carcere con la falsa accusa di associazione mafiosa e scagionato solo dopo sei anni; quella di una missionaria della Carità, testimone della tragica strage ai danni delle sue consorelle ad Aden, nello Yemen. Storie di perdono e di misericordia, che difficilmente trovano spazio sui media o nei discorsi dell’opinione pubblica. Storie, però, che possono essere quella goccia nel grande oceano dell’amore che rigenera la vita.
L’amore di Dio è come “un fiume in piena che ci travolge senza però sopprimerci” e noi “ci lasciamo coinvolgere da questo amore e più la nostra vita si rigenera”, al punto che potremmo proclamare, come corollario, “sono amato, dunque esisto!”, ha proseguito il Papa.
L’amore di cui parla San Paolo – il cui Inno alla Carità è stato letto poco prima del discorso di Bergoglio – non è nulla di “astratto”, né di “vago”; al contrario è “un amore che si vede, si tocca e si sperimenta in prima persona” e che tocca il suo massimo punto di intensità nel sacrificio di Gesù sul Calvario, dove “scaturisce la sorgente dell’amore che cancella ogni peccato e che tutto ricrea in una vita nuova”. L’amore è, dunque, “l’espressione massima di tutta la vita e ci permette di esistere”.
Anche per questo, nessun cristiano può permettersi di “passare oltre” e “voltarsi dall’altra parte per non vedere le tante forme di povertà che chiedono misericordia”, come fecero il sacerdote e il levita, nella parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-36). Questo dell’indifferenza alla sofferenza altrui è un “peccato grave e moderno” e “noi cristiani non possiamo permettercelo. Non possiamo avere la coscienza a posto, solo perché abbiamo pregato o siamo andati a messa la domenica”, ha chiosato a braccio il Pontefice.
Al giorno d’oggi, lungi dall’essere soltanto “un bel dipinto nelle nostre chiese”, il Calvario è “sempre attuale” e “ci spinge a dare sempre nuovi segni di misericordia”, ha spiegato Francesco. E la misericordia di Dio, come l’amore, “non è una bella idea, ma un’azione concreta; e anche la misericordia umana non diventa tale fino a quando non ha raggiunto la sua concretezza nell’agire quotidiano”.
Rivolto ai volontari, papa Francesco li ha accolti come una delle “realtà più preziose della Chiesa”, che agisce “spesso nel silenzio e nel nascondimento”, diventando “la mano tesa di Cristo che raggiunge tutti”, che fa “sentire amata una persona che soffre”, esprimendo così un desiderio “tra i più del cuore dell’uomo”. “Voi toccate la carne di Cristo con le vostre mani”, ha detto ai volontari.
“La credibilità della Chiesa passa in maniera convincente anche attraverso il vostro servizio verso i bambini abbandonati, gli ammalati, i poveri senza cibo e lavoro, gli anziani, i senzatetto, i prigionieri, i profughi e gli immigrati, quanti sono colpiti dalle calamità naturali – ha detto Bergoglio, rivolto ai volontari -. Insomma, dovunque c’è una richiesta di aiuto, là giunge la vostra attiva e disinteressata testimonianza”.
In un mondo segnato dalla “tentazione dell’indifferenza”, c’è bisogno di “segni concreti di solidarietà”. In tal senso, il Papa ha esortato i volontari ad essere “pronti nella solidarietà, forti nella vicinanza, solerti nel suscitare la gioia e convincenti nella consolazione”, non facendo mai del proprio servizio “un motivo di presunzione che porta a sentirsi migliori degli altri”.
Francesco ha quindi indicato l’esempio della “innumerevole schiera di uomini e donne che hanno reso visibile con la loro santità l’amore di Cristo”, a partire da Madre Teresa di Calcutta, domani canonizzata.
In conclusione, il Pontefice ha esortato i volontari a “pregare in silenzio per tante persone che soffrono e vivono scartati dalla società”, così come per i “tanti volontari come voi che vanno incontro alla carne di Cristo”; ed infine anche per tutti quegli indifferenti che “davanti a tanta miseria vanno oltre e dicono: ‘a me non importa’”.