È uscito il 5 agosto scorso “66 Days”, il docufilm di Brendan J. Byrne che ripercorre la drammatica vicenda dello sciopero della fame di Bobby Sands, membro dell’Irish Republican Army (IRA) prigioniero nei famigerati blocchi H del carcere di Long Kesh, a Belfast. Egli morì il 5 maggio del 1981 in seguito alla protesta durata più di due mesi, stringendo tra le braccia una croce d’oro donatagli da Giovanni Paolo II, quel Papa che nel 1979, in visita in Irlanda, sottolineò che “la pace non può essere stabilita mediante la violenza”.
Obiettivo dello sciopero era l’accettazione da parte del governo britannico di alcune richieste dei prigionieri repubblicani, divenute celebri come “The Five Demands”, che ruotavano intorno al riconoscimento dello status di prigioniero politico per coloro che avevano partecipato alle attività di organizzazioni come l’Irish Republican Army e l’Irish National Liberation Army. Tale status era stato revocato da Londra nel 1976, con l’intento di equiparare i ribelli irlandesi ai criminali comuni.
Una protesta analoga a quella che avrebbe iniziato Bobby Sands avvenne pochi mesi prima, quando sette detenuti, sempre a Long Kesh, avevano dato inizio il 27 ottobre 1980 ad un primo sciopero della fame, seguiti nel dicembre successivo da altri 30 repubblicani dei Blocchi H e da 3 prigioniere del carcere femminile di Armagh.
Dopo 53 giorni di sciopero della fame, quando uno dei volontari, Sean McKenna, si trovava ormai in fin di vita, l’arrivo di un ambiguo documento britannico (che faceva intravedere la possibilità di accettare le richieste dei prigionieri, salvo poi disattendere tali concessioni) convinse i detenuti ad interrompere la protesta. L’amarezza per l’esito del primo sciopero della fame convinse i repubblicani a cominciarne un secondo, appunto nel marzo 1981. Il primo ad iniziarlo fu il nuovo comandante dei prigionieri dell’IRA, Bobby Sands.
Ed Moloney, giornalista irlandese autore de “La storia segreta dell’IRA” (Baldini Castoldi Dalai, 2007), uno dei testi più importanti per ricostruire il conflitto irlandese, ha spiegato come la pianificazione della nuova protesta fu scientifica e radicale allo stesso tempo. Bobby Sands infatti “congegnò la seconda protesta in modo tale che la morte, e in particolare la propria, fosse quasi sicura. La protesta sarebbe stata scaglionata. Sands iniziò per primo, uno scioperante solitario che teneva nelle sue mani il proprio destino, la decisione di vivere o morire.
Iniziò a rifiutare il cibo il I marzo del 1981, due mesi e mezzo dopo la fine del primo sciopero della fame. Dopo di lui, altri prigionieri, normalmente in gruppi di due, iniziarono a digiunare con intervalli di due o tre settimane. Alla morte di qualcuno, la pressione morale su coloro che volevano continuare era enorme […] Dieci di coloro che avevano iniziato lo sciopero della fame morirono orribilmente in prigione e 68 persone vennero uccise nelle strade del Nord prima che tutto finisse otto mesi dopo. La morte di Sands fu probabilmente la più traumatica”.
Tali eventi segnarono indelebilmente il corso della storia irlandese, facendo diventare la figura di Bobby Sands e degli altri “Hunger Strikers” il simbolo della lotta contro l’oppressione britannica. È questo calvario che il regista Brendan J. Byrne vuole mostrare, alternando la parte cinematografica (con Sands interpretato dall’attore di Belfast Martin McCann) ad interviste ai protagonisti di quegli anni, includendo anche storici e giornalisti, così da analizzare a 360° il contesto in cui avvenne la drammatica vicenda.
“66 days” è proiettato nelle sale di Irlanda, Regno Unito ed ha già varcato l’Atlantico, viene infatti trasmesso a Toronto, in Canada. Otto anni dopo l’uscita del film “Hunger” di Steve McQueen, il docufilm “66 days” riapre una delle pagine più buie della storia britannica.
Bobby Sands mural in Belfast - Wikipedia Commons
“66 days”, il docufilm che ripercorre lo sciopero della fame di Bobby Sands
Nel 35esimo anniversario dell’Hunger Strike, il regista Brendan J. Byrne mostra il calvario dell’attivista cattolico irlandese