Un Papa amico dei giovani, che ama le conversazioni schiette e informali e che, anche da Pontefice, non dimentica mai di essere un gesuita. Caratteristiche ben note di Jorge Mario Bergoglio, che emergono ancora una volta, in tutta la loro forza, nella nuova intervista pubblicata da La Civiltà Cattolica.
La conversazione si è svolta lo scorso 30 luglio, presso l’arcivescovado di Cracovia, durante l’incontro di papa Francesco con 28 gesuiti polacchi, avvenuto poco dopo il pranzo con alcuni giovani pellegrini della GMG e qualche ora prima della veglia al Campus Misericordiae.
Presenti tra gli altri, padre Andrzej Majewski, direttore dei programmi della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi, allora direttore della Sala Stampa Vaticana, e padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica e autore dell’intervista.
“Quando parlo, devo guardare la gente negli occhi. Non è possibile guardare gli occhi di tutti, ma io guardo gli occhi di questo, di questo, di questo… e tutti si sentono guardati. È qualcosa che mi viene spontaneo. Così faccio con i giovani”: sono queste le prime parole rivolte dal Papa a padre Spadaro, in merito allo spirito della Giornata Mondiale della Gioventù.
Di seguito, il Santo Padre ha raccontato della conversazione a pranzo con i ragazzi e delle domande, a volte scomode e sofferte, che gli sono state rivolte. C’è chi gli ha confidato il suo turbamento per gli scandali legati al clero nel suo paese e della difficoltà a confessarsi con i sacerdoti coinvolti in tali situazioni.
I giovani, ha spiegato il Pontefice alla Civiltà Cattolica, “ti dicono la verità, a volte ti rimproverano… I giovani parlano direttamente. Vogliono la verità, o almeno un chiaro «non so come risponderti». Non bisogna mai trovare sotterfugi con i giovani”.
Con i ragazzi “se tu rispondi con una teoria, rimangono delusi”. Si confermano sempre “generosi” ma “il lavoro con loro ha bisogno anche di pazienza, tanta pazienza”. Talora tendono a chiedere “ricette” e “risposte pronte” per la risoluzione dei problemi ma questo, ha ammonito il Papa, è un atteggiamento da “correggere”.
Quando si tratta di avvicinare un non credente a Cristo, “l’ultima cosa che devi fare è dire qualcosa”; è essenziale piuttosto “fare qualcosa”, dopodiché sarà lo scettico a chiedere “spiegazioni su come vivi e perché”, ha suggerito Francesco a un giovane pellegrino.
Di seguito Bergoglio si è soffermato sul ruolo dell’università dei gesuiti, ovvero quello di “puntare a una formazione globale e non solamente intellettuale, una formazione di tutto l’uomo”. Se, al contrario, l’università si riducesse a una “accademia di nozioni” o a una “fabbrica di professionisti”, favorendo una “mentalità centrata sugli affari”, allora sarebbe “davvero fuori strada”.
La sfida è “portare l’Università sulla strada degli Esercizi” ignaziani, ovvero “rischiare sulla verità”, lasciarsi “interpellare dalla realtà” e farsi coinvolgere “nella vita reale della Chiesa e della Nazione”, mostrando una particolare attenzione per gli “emarginati” e per “coloro che hanno più bisogno di essere protetti”.
Questa opzione preferenziale per i più deboli, ha ribadito il Santo Padre non è da “comunisti” ma significa “semplicemente essere davvero coinvolti con la realtà” ed esprimere “il pensiero sociale della Chiesa”, ben diverso dal “pensiero liberista” che “sposta l’uomo dal centro e ha messo al centro il denaro”.
Parlando della sua vocazione gesuita, Bergoglio ha ricordato che essa è maturata quando egli era già in seminario, dove il suo confessore era però un “anti-gesuita”. Al momento della scelta per la congregazione ignaziana, il rettore consigliò al futuro papa di recarsi dall’allora vescovo ausiliare di Buenos Aires, perché celebrasse la cerimonia della tonsura. Il presule era però ammalato e, in sua vece, Bergoglio trovò “un altro monsignore, che era proprio quel primo sacerdote che poi era diventato vescovo!”. Da lui ricevette la tonsura e con lui fece pace dopo tanti anni.
Prima del congedo e della benedizione finale ai suoi confratelli, il Papa ha consigliato ai gesuiti di “lavorare con i seminaristi” e di trasmettere loro quanto ricevuto negli esercizi ignaziani. “La Chiesa oggi ha bisogno di crescere nella capacità di discernimento spirituale – ha sottolineato -. Alcuni piani di formazione sacerdotale corrono il pericolo di educare alla luce di idee troppo chiare e distinte, e quindi di agire con limiti e criteri definiti rigidamente a priori, e che prescindono dalle situazioni concrete: «Si deve fare questo, non si deve fare questo…»”.
Con il risultato che “molta gente esce dal confessionale delusa. Non perché il sacerdote sia cattivo, ma perché il sacerdote non ha la capacità di discernere le situazioni, di accompagnare nel discernimento autentico”.
A questo proposito, il Pontefice ha menzionato padre Hugo Rahner, secondo il quale, “il gesuita dovrebbe essere un uomo dal fiuto del soprannaturale, cioè dovrebbe essere dotato di un senso del divino e del diabolico relativo agli avvenimenti della vita umana e della storia”; ovvero essere “capace di discernere sia nel campo di Dio sia nel campo del diavolo”.
I futuri sacerdoti, dunque, non possono essere formati secondo “idee generali e astratte” ma, piuttosto, aiutati “nella loro vita concreta”, poiché “nella vita non è tutto nero su bianco o bianco su nero”; al contrario “prevalgono le sfumature di grigio” ed occorre allora “insegnare a discernere in questo grigio”, ha poi concluso.
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Papa: “I giovani vogliono la verità, mai sotterfugi o teorie con loro…”
“La Civiltà Cattolica” riporta un colloquio con 28 gesuiti polacchi, in cui Francesco si sofferma sul carisma della Compagnia di Gesù: poca astrattezza e molta capacità di discernimento “nel campo di Dio e del diavolo”