di Antonio Gaspari
ROMA, mercoledì, 9 marzo 2011 (ZENIT.org).- “Molti di noi faticano ad immaginare Dio come un creatore che lavora in maniera indefessa 24 ore al giorno. I più lo immaginano come un attore ritiratosi dalle scene e relegato ad uno spettacolo domenicale con pubblico in calo”.
“Per questo parlare di fede attiva nel luogo di lavoro può sembrare eccentrico. Ma se ci renderemo conto che il nostro lavoro è prezioso per Dio non faremo altro che portare la fede nel lavoro”.
A dire queste parole non è un sacerdote, un Vescovo, un religioso, ma un dirigente bancario di nome Ken Costa, il quale di recente ha scritto un libro dal titolo “Al lavoro con Dio” (edizioni Messaggero Padova) che sta suscitando un notevole scalpore.
Ken Costa è uno dei più importanti dirigenti bancari della nostra generazione, conosciuto per la passione, la creatività, la leadership e il pensiero strategico che porta nella sua vita professionale; egli è anche una persona di profonda fede cristiana.
Dopo aver studiato filosofia e diritto presso l’Università di Witwatersrand a Johannesburg (Sud Africa) e in seguito diritto e teologia presso l’Università di Cambridge, Ken Costa per almeno trent’anni ha svolto il ruolo di dirigente bancario nella City di Londra.
E’stato vicepresidente dell’istituto finanziario UBS Investment Bank come consulente dei clienti internazionali. Dal 2007 è presidente della banca d’affari Lazard International. È inoltre presidente di Alpha International che promuove gli “Alpha courses”, corsi di base per una iniziazione alla fede cristiana.
Nel suo saggio, l’autore prova a rispondere a domande quali: “Può un cristiano realizzarsi prestando il suo servizio nel mondo del lavoro? Come possono stare fianco a fianco ideali quali denaro, successo, ambizione e potere con le virtù cristiane di amore, di giustizia, compassione e servizio?”.
Costa racconta di leggere la Bibbia e il “Financial Times” quasi ogni giorno, e di dover sempre rispondere alla gente su come faccia a fare il banchiere ed essere cristiano.
E’ infatti opinione diffusa che Dio e gli affari non vadano d’accordo. Ma l’autore del libro spiega che “il Dio che ha creato e sostiene il mondo è anche il Dio del luogo di lavoro” e “se la fede cristiana non è rilevante nel luogo di lavoro, non è rilevante affatto”.
Nato in Sudafrica Ken Costa racconta che da giovane si sentì così offeso dal sistema dell’apartheid da diventare insensibile alla proposte cristiane e di aver abbracciato il pensiero comunista di Marx, come quello che avrebbe potuto liberare la gente dalla disumanità del regime razzista.
Poi, però, continuando gli studi nell’università di Cambridge, in Inghilterra, Ken Costa realizzò che “al centro della fede cristiana c’era non tanto un sistema di pensiero, quanto piuttosto una persona, Gesù Cristo, la cui vita, crocifissione e risurrezione ha causato la sola vera libertà che si possa mai trovare”.
Racconta Ken Costa che, una sera mentre leggeva il Vangelo di Marco, vide in Gesù “la persona più libera che sia mai vissuta”.
Partendo dalla lettura del Vangelo, Costa si convinse che “il capitalismo democratico, a dispetto di tutti i suoi difetti, fosse il sistema economico che meglio serviva il bene comune e che meglio rifletteva i principi neotestamentari di giustizia, di libertà individuale e di responsabile assunzione dei rischi”.
“L’economia di mercato – osserva – rimane un buon servo, ma un cattivo padrone: occorre operare all’interno di un più ampio contesto morale che consideri preziosi tutti gli esseri umani e preziose tutte le risorse del mondo, precisamente perché hanno valore per Dio”.
“Senza un architettura fondata sui valori – afferma Costa –, l’economia di mercato è debole nelle sue stesse fondamenta”.
Circa la presenza e lo spazio di Dio nel lavoro quotidiano, Costa spiega “la vita del cristiano sul lavoro è una tensione verso il bene. Giorno dopo giorno possiamo percepire la presenza di Dio mentre evitiamo le tenebre. Noi cerchiamo di camminare lungo questo stretto spartiacque cercando di raggiungere la luce”.
“Il luogo di lavoro – aggiunge poi – è l’avamposto in cui la fede viene messa alla prova e affinata dal venire quotidianamente a contatto con le ambiguità e con le tensioni dell’economia moderna”.
E ancora: “alcuni pensano che la fede ci renda immuni dal fare scelte sbagliate. magari fosse così. Dio ci dà le risorse spirituali per crescere attraverso la debolezza e per riprenderci quando soccombiamo alle tentazioni onnipresenti”.
Alla domanda sul “perché lavoriamo?”, Costa risponde con molte ragioni che sono contenute nella Bibbia, e cioè: creare ricchezza, sostenere se stessi e la propria famiglia, sentirsi realizzati e avere un scopo, evitare di essere un peso per gli altri, essere altre persone attraverso uno sforzo di collaborazione.
L’autore afferma di essere convinto che “Dio ha a cuore il bene di tutta la società” per questo quando gli viene chiesta ragione della sua religione risponde: “il mio luogo di lavoro è il mio luogo di preghiera”.
“La mia scrivania – ha scritto Costa – è il mio luogo di culto. (…) Dio è il nostro vero datore di lavoro” e conclude con una frase della lettera di san Paolo ai Colossesi: “Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini”.