Chiamati per nome quando è accesa la vita nel grembo

Domenica 18 gennaio 2009, II D. del Tempo Ordinario / B

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 16 gennaio 2009 (ZENIT.org).- “Il giovane Samuele serviva il Signore alla presenza di Eli…Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: “Samuele!…Samuele!…Samuele!”…Samuele crebbe e il Signore fu con lui..” (1Sam 3,1-19).

Samuele, vuol dire “il suo nome è Dio”, un nome chiamato tre volte, quasi a significare che con la nascita dell’uomo che avrebbe consacrato il re Davide, Dio preparava già l’incarnazione di Gesù, il “Figlio di Davide”, che  avrebbe rivelato al mondo il vero triplice nome di Dio:  Padre e Figlio e Spirito Santo.

Se una vicina di casa avesse chiesto ad Anna, la mamma di Samuele: “dov’è il tuo bambino?”, ella avrebbe probabilmente risposto così: vive nel tempio del Signore!

Infatti Anna, dopo la nascita e lo svezzamento, aveva portato il bambino nel tempio affidandolo al sacerdote Eli, secondo il voto fatto al Signore quando, affranta ed umiliata per la sua sterilità, aveva implorato il dono di un figlio maschio.

La vocazione notturna del fanciullo Samuele, così segreta e misteriosa, introduce la chiamata in pieno giorno dei primi discepoli di Gesù, descritta oggi nel Vangelo. Essi chiedono a Gesù: “Rabbì, dove dimori?”, e Gesù risponde: “Venite e vedrete” (Gv 1,38-39a).

Ed ecco il seguito della scena, a prima vista consequenziale: “Andarono dunque e videro dove Egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio” (1,39b). Non sono, tuttavia, parole da prendersi alla lettera, eccetto, probabilmente, la precisazione dell’ora.

Erano circa le quattro del pomeriggio”: Giovanni ha il tono di chi narra vicende che non si possono dimenticare. Come la mamma e il papà raccontano ai figli il giorno e l’ora “fatale” del loro primo incontro, così “il discepolo che Gesù amava” (Gv 21,7) racconta con intatto stupore ai destinatari del suo vangelo l’indicibile avvenimento-incontro di quel giorno e di quell’ora, alcune decine di anni dopo.

La domanda “dove dimori?” non è fatta per sapere un indirizzo, ma rivela il desiderio di conoscere la persona del Signore, come suggerito dall’indicazione del Battista: “Ecco l’agnello di Dio!” (Gv1,36b). I due discepoli infatti (uno è Andrea, l’altro per tradizione Giovanni stesso), conoscono quel passo della Scrittura in cui il profeta annunzia la venuta di un Servo misterioso, innocente, destinato a subire la persecuzione riparatrice dell’iniquità di tutti: “Come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori..” (Is 53,7).

Alla luce di questo profetico “Canto del Servo”, le parole “dove dimori?” non sembrano dettate da semplice curiosità, ma dalla volontà e felicità dei due discepoli di rimanere con Gesù, come a dire: “ora che ti abbiamo trovato, vogliamo seguirti ovunque tu vada, per conoscerti e condividere la tua vita”.  

Ecco il commento di una mistica svizzera: “I discepoli camminano dietro il Signore senza farsi notare. Non lo chiamano, né cercano di raggiungerlo. Conoscono l’umiltà della sequela pura e semplice, né si chiedono che cosa ora succederà. Ciò dipende unicamente dal Signore. E’ lui infatti a voltarsi e a rivolgere loro la parola. Egli permette loro di raggiungerlo e si dimostra disponibile nei loro riguardi. A chiunque lo segue dona subito tutto. Nessuno può dire d’aver seguito il Signore senza che questi si sia voltato e gli abbia prestato la sua attenzione. Né mai succede che il Signore lasci correre  un uomo senza che questi lo abbia affiancato e raggiunto. Al contrario, ogni  vita che lo segue viene da lui appagata e guidata. Non nel senso di una consolazione sensibile, perché il Signore può anche appagare nella notte e nella aridità. Il come ciò avviene è affare suo. L’appagamento è sicuro, ma il suo modo rimane imperscrutabile. Inoltre leggiamo che il Signore vede arrivare i  discepoli. Essi camminano verso di lui sotto i suoi occhi. Il Signore posa questo sguardo su ogni istante della nostra vita, in cui noi cerchiamo di seguirlo. Essi vanno con lui, vedono e rimangono. Tutto l’episodio sfocia nella luce pura, in una pienezza e apoteosi che non si traduce più in parole” (Adrienne von Speyr, in “Il Verbo si fa carne”, Esposizione contemplativa del Vangelo di Giovanni, p. 143-144).

Dove dimori?”: Giovanni, nel Prologo del suo Vangelo rivela il “luogo” della dimora del Signore: “..il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre..” (Gv 1,18); un seno che altro non è se non la profondissima, ineffabile comunione d’amore che unisce le tre divine Persone, in tutto ciò che sono, in tutto ciò che dicono e in tutto ciò che fanno. Sì, come un figlio dimora nel grembo materno, così il Verbo divino dimora nel Padre, e lo Spirito Santo è il loro “cordone ombelicale”, ed Egli è uscito dal Padre per venire nel mondo a rivelarlo e a farcene partecipi (Gv 16,28).

Prosegue Giovanni: “Andrea incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia…Fissando lo sguardo su di lui Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa – che significa Pietro” (Gv 1,41-42).

Nel linguaggio della Bibbia il nome è la persona stessa con il suo destino, la sua missione davanti a Dio; è come il nome di un seme che indica una pianta specifica e fa subito immaginare il suo sviluppo, i suoi rami, le sue foglie, i suoi frutti. Nel primo istante di vita, al concepimento, Dio crea il “seme” uomo, ognuno come pianta unica e irripetibile, ognuno con un progetto specialissimo di felicità e una insostituibile missione nel mondo.   L’uomo non si rende conto del vero significato del suo nome, finché non giunga Dio stesso a rivelarglielo, come nel caso di Samuele, di Pietro-Cefa, di Saulo-Paolo.

Ogni uomo deve chiedere a se stesso e a Dio: “Signore, qual è il mio vero nome? Con quale nome mi hai creato?”. Pietro sta guardando Gesù che lo fissa amorosamente, mentre gli viene rivelato il mistero del suo nome nuovo: così,è solo nel tu-per-tu della preghiera che possiamo conoscere e realizzare la nostra vocazione nella Chiesa e nel mondo.

Paolo lo testimonia in Gal 1,15ss: “Quando colui che mi mise a parte fin dal seno di mia madre e mi chiamò per mezzo della sua grazia, si compiacque di rivelare suo Figlio in me affinché lo annunziassi in mezzo alle nazioni..”.  Ascoltiamo ancora Adrienne:

“Questo è il primo effetto della sequela di Cristo: il Signore stabilisce d’ora in poi il nome del discepolo che Egli accoglie. Il discepolo diventa un altro da quel che era. L’accoglienza viene fatta con uno slancio elementare; si evita ogni orpello, ogni cerimonia, tutto possiede una forza e un’efficacia completamente nuova, mai sperimentata. Nessun calcolo, nessun confronto, nessuna assicurazione.

Oggi invece sono necessarie tante parole, che tuttavia non posseggono più alcuna forza solo perché noi non vogliamo più esporci alla nuda efficacia del Signore. Non sopportiamo più il contatto diretto. Il nostro allontanamento dal Signore dipende unicamente da noi, perché la presenza del Signore e il suo influsso diretto non è oggi più debole di allora”.

Quest’ultima osservazione fa pensare.

Come una lente opaca non è più in grado di trasmettere e concentrare la luce diretta del sole, così la persona umana – dimora di Dio – è incapace di autentiche, luminose relazioni di amore con i fratelli a causa del peccato, in particolare dell’ impurità, che la fa diventare una persona-cataratta.

Lo afferma oggi Paolo: “Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori dal sua corpo, ma chi si da all’impurità pecca contro il proprio corpo..: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!”
(1Cor 6,15-20).

Qual è la differenza tra un peccato “fuori dal corpo” e un peccato “contro il proprio corpo”? Per rispondere occorre comprendere la verità del corpo e del suo significato.

Insegna Giovanni Paolo II: “Questo è il corpo: testimone della creazione come di un dono fondamentale, quindi testimone dell’Amore come sorgente, da cui è nato questo stesso donare. La mascolinità-femminilità – cioè il sesso – è il segno originario di una donazione creatrice di una presa di coscienza da parte dell’uomo, maschio-femmina, un dono vissuto per così dire in modo originario. Tale è il significato con cui il sesso entra nella teologia del corpo.

Quell’”inizio” beatificante dell’essere e dell’esistere dell’uomo, come maschio e femmina, è collegato con la rivelazione e con la scoperta del significato del corpo, che conviene chiamare “sponsale”.(…) Questo significato (in quanto rivelato ed anche cosciente, “vissuto” dall’uomo) conferma fino in fondo che il donare creativo, che scaturisce dall’Amore, ha raggiunto la coscienza originaria dell’uomo, diventando esperienza di reciproco dono. (…) Di ciò sembra anche testimoniare – forse perfino in modo specifico – quella nudità di entrambi i progenitori, libera dalla vergogna.” (Catechesi sul libro della Genesi, mercoledì 9/1/1980).

Dalla ricchezza di questo testo traggo solo questo: la verità che la coscienza dell’uomo, e quindi la sua sensibilità  morale, è in relazione originaria e vitale con il dono sincero di sé. Dove regna l’egoismo finisce per regnare anche la sensualità, la quale agisce poi di per sé come un anestetico dello spirito, che ottunde la coscienza morale, falsifica il discernimento e innesca il circolo vizioso di una vera e propria “tossicodipendenza” della volontà dalla droga del piacere. Allora, privata dell’acqua pura della grazia divina, l’anima, da castello di diamante purissimo quale Dio l’ha creata, diventa cassonetto spirituale.

E’ ancora Paolo ad avvertire che dalla perdita della fede nasce la perversione morale: “..perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento” (Rm 2, 21-27).

Se è vero che lo sfacelo della società ha inizio con lo sfacelo della famiglia, dobbiamo riconoscere che lo sfacelo della coscienza morale, conseguenza anche del bombardamento erotico culturale e mediatico sotto il quale vivono tranquillamente grandi e piccoli, sta alla base di entrambi: basti pensare che circa la metà dei ragazzi di 11 anni, oggi hanno libero accesso alla pornografia tramite internet.

L’uomo, sin dal primo istante della sua vita nel grembo, è un corpo chiamato per nome da Dio, “per essere santo e immacolato di fronte a lui nell’amore” (Ef 1,4), e solo rispettando la purezza del corpo come valore assoluto egli può riscoprire la dignità e la gioia del vero amore.

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* Padre Angelo, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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