Last Supper of the Lord

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Chiamati a nutrirci del cibo “incorruttibile”

Commento al Vangelo della 18.ma Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) —  2 agosto 2015

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E’ Domenica, siamo nel pieno dell’estate, fa caldo ed è facile che ci accada come alla “folla” che aveva appena goduto della moltiplicazione dei pani e di Gesù: “abbiamo mangiato, ci siamo saziati”. Ma ora sentiamo che non ci basta, tremiamo al pensiero della settimana che ci attende, con le relazioni, gli impegni, la famiglia, il lavoro, la salute.

Siamo avidi e avari insaziabili, che, per San Paolo, è sinonimo di idolatria. Abbiamo fatto immediatamente un idolo di “quei pani” e di Colui che ce li aveva dati. E’ successo che “non abbiamo seguito il Signore perché abbiamo visto i segni”, ma per riempire la pancia, e siamo rimasti schiacciati nella folla anonima, confusi nei pensieri e nei desideri mondani, perdendo la nostra identità. 

Sì, anche i doni di Dio possono corrompersi e corromperci. I segni non sono il senso della nostra vita, indicano il cammino per scoprirlo e accoglierlo. Fare del matrimonio, dei figli, dell’essere prete, della missione, degli amici, del fidanzato, dello studio, del lavoro, il fine e il centro della nostra vita, significa strumentalizzare e pervertire le opere di Dio. Significa idolatrare un segno a scapito del significato. 

Esattamente come fecero gli interlocutori di Gesù, che avevano maturato un’esperienza inossidabile ancorata nella Pasqua. Sappiamo che quando dicono “i nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo” è come se affermassero che, nel memoriale celebrato, lo hanno ricevuto anche loro, perché per Israele esso è un’attualizzazione della stessa esperienza dei padri.

Più o meno, le parole che rivolgono a Gesù potrebbero essere lette così: “anche noi eravamo nel deserto con i nostri padri, e sappiamo che Mosè ha compiuto il segno della manna dal Cielo. Per questo ci aspettiamo che il Messia faccia di nuovo quel “segno” per certificare che, come è stato con Mosè, così Dio è anche con lui, che cioè è proprio l’inviato di Dio. Non può essere diversamente, la nostra esperienza, la tradizione e la liturgia ci hanno insegnato questo”.

Secondo la tradizione rabbinica, infatti, il dono della manna era atteso dal Messia: “Come il primo redentore (Mosè) fece scendere la manna… così anche l’ultimo redentore far ascendere la manna” (Midrash su Qoelet, 1,9).  Ma, paradossalmente, per credergli chiedono un segno proprio dopo che ne aveva fatto uno che richiamava inequivocabilmente quello fatto da Mosè.

Perché non gli bastava? Perché avevano dimenticato che già Mosè aveva detto loro: “E’ il pane che il Signore vi ha dato in cibo”. Impigliati nella carne, pensavano che fosse stato Mosè a “dar loro un pane dal cielo”. Gesù invece aveva moltiplicato qualcosa che già era sulla terra… Per questo, forse illudendosi di smascherare quello che pensavano fosse un volgare trucco, gli chiedono di far vedere loro se era davvero capace di far scendere un pane dal cielo…

Anche noi, per “poter credere in Gesù”, esigiamo un “segno” che risponda a quello che ci aspettiamo dal Messia. Va bene essere stati saziati ed esauditi tante volte, ma nel fondo esigiamo da Gesù sempre di più; che cioè, non solo trasformi la realtà nella quale viviamo, ma che ne faccia una nuova secondo i desideri della nostra carne, in un parossismo di concupiscenze “come i pagani nella vanità della loro mente” e come il Popolo nel deserto.

Accettiamolo fratelli, non abbiamo ancora gustato il “cibo incorruttibile” che Gesù vuole donarci. Ingordi e duri di cuore, vorremmo fermarci agli aperitivi e agli antipasti, ci abbuffiamo di tartine e non abbiamo più spazio per i primi, i secondi, i dessert. Ci fermiamo sulla soglia del Cielo confondendolo con qualche millimetro di terra. 

Per questo oggi Gesù dice anche a noi: “Attenzione! Con autorità vi annuncio la Verità che già Mosè vi aveva detto e che avete dimenticato: non lui vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero! Anche la manna era un segno che si corrompeva, lo avete dimenticato? Eppure, per credere in me vi accontentereste di un cibo che perisce, capace di saziarvi un giorno solo. Ma scusate, quel segno vi ha salvato?”. No, perché come dirà poi Gesù, quelli che l’hanno mangiato sono comunque morti, come noi, che, incapaci di amare, continuiamo a peccare.  

Così Gesù ci ammonisce a non confondere i miracoli con il pane “vero”, “rivelato”, “non più celato” come suggerisce l’originale greco. Siamo chiamati nella Chiesa per imparare a nutrirci del cibo “incorruttibile”, perché solo su di esso Dio ha messo la sua “sphragis”, il suo sigillo.

Anticamente con questo termine “si indicava sia lo strumento con cui si imprimeva un segno, sia l’impronta stessa impressa con questo. Il termine designava i sigilli che servivano ad imprimere un marchio nella cera. Ma più in particolare era il marchio con cui un proprietario segnava gli oggetti di sua appartenenza… La “sphragis” era anche segno di protezione” (J. Danielou).

Ciò significa che è preparato per noi un pane “speciale” sul quale è impressa l’immagine stessa del Padre che è nei Cieli. E qual è questo Pane? E’ il “Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (cfr Eb 1,3). Il Pane “vero”, ormai svelato, è Gesù, “colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”.

Per questo Gesù dice che anche la manna, come ogni altro segno, non era stata data da un uomo, ma da Dio: nessuno avrebbe potuto dare la vita per “non avere più fame”. Quei giudei erano ciechi perché vedendo il segno non potevano riconoscerne l’Autore. Come noi, erano schiacciati dalla carne e pensavano secondo categorie mondane.

Per salvare l’uomo soggetto alla paura della morte perché con il cuore avvelenato dal peccato, quello “incapace di camminare secondo la legge di Dio” che la precarietà del deserto aveva rivelato, Dio doveva farsi peccato. E il segno della manna indicava proprio che dal Cielo sarebbe discesa come alimento incorruttibile una carne capace di vincere la corruzione che semina il demonio nei cuori.

Per questo la manna stessa era soggetta alla corruzione! Partecipava della debolezza di chi la mangiava, ma era capace di saziare laddove non vi era cibo. Era il segno del Messia, il Servo che avrebbe caricato su di sé ogni peccato per vincere, nella tomba, la corruzione che condanna ogni uomo.

Con ciò Dio superava ogni aspettativa del popolo ebreo, perché, guarito con il perdono il cuore dell’uomo, lo avrebbe finalmente saziato con il “cibo che non perisce”. Non a caso quel cibo era a loro sconosciuto: “Man hu: che cosa è questo?”. Ma, come noi, non avevano capito che era segno e profezia del Messia che avrebbero dovuto “imparare a conoscere”…

Ma coraggio, il Signore ci invita in questa Domenica ad “andare e credere in Lui” nella Chiesa. Lasciamoci stupire da Dio! La nostra vita è disseminata dei “segni” del suo amore, “diamo ascolto a Cristo” che ci parla nella predicazione e facciamoci “istruire in Lui” nella comunità cristiana.

Non abbiamo bisogno di altri “segni”, ma di “procurarci il cibo che non si corrompe”, ovvero di accostarci umilmente ai sacramenti per ricevere ciò che essi significano. La fede nasce dall’ascolto che ci muove verso Cristo per entrare con Lui nella Pasqua, nel passaggio dal peccato alla vita nuova nell’amore.

Perché può credere solo chi ha sperimentato il perdono dei propri peccati. “Impara a conoscere Cristo” solo chi, nella Chiesa, “ha deposto l’uomo vecchio con la condotta di prima che si “corrompe” dietro le passioni ingannatrici”.

Chi cammina con il suo Corpo che è la comunità cristiana, “si rinnova nello spirito della propria mente” può amare senza esigere che Dio si manifesti secondo le proprie aspettative; “rivestito dell’uomo nuovo creato seco
ndo Dio nella giustizia e nella santità vera” si lascia sorprendere dal “pane” sconosciuto preparato ogni giorno dal Padre, senza pretendere di capire e gestire le persone e le situazioni obbligandole a essere quello che la propria carne vorrebbe.

Chi si nutre di Cristo infatti, sa “vedere” oltre le apparenze dei “segni”. Non si muove mai in automatico, ma si chiede sempre: “cos’è quello?”. In ogni circostanza chiede a Dio: “perché mi parlano così? Perché si comportano in questo modo?” perché Egli sveli al suo cuore “il pane della vita” nascosto nella storia, il suo “sigillo” in ogni istante e in ogni fratello.

Come la manna infatti, i rimproveri che oggi tua moglie ti farà, l’atteggiamento urticante di tuo figlio, i gesti e le parole che ti attendono sono “uno strato di rugiada” che ogni giorno Dio depone dinanzi a te. Quando essa evapora appare qualcosa che in essa era celato, “come la brina sulla terra”, e non sai che cosa sia. 

Fratelli, è la fragranza di vita di Cristo risorto, che fa di ogni evento e di ogni relazione un’alba di resurrezione. E’ nella nostra storia che “l’amore Cristo ci spinge” a donarci per sperimentare e testimoniare che la morte è vinta, che proprio dove il mondo non riesce a saziarsi noi troviamo il “pane di vita”!

Il “cibo che non perisce” dunque, è Cristo che si incarna nella nostra vita di ogni giorno, sigillando su di essa la denominazione di origine controllata e garantita di un’opera destinata all’eternità. Sulla volontà di Dio, infatti, non c’è data di scadenza, punta diritta alla vita eterna. Per questo, ogni pensiero, parola, gesto e sofferenza offerti per amore sono immediatamente “trascritti” in Cielo.

Allora stirare quella camicia è un cibo incorruttibile! In Cielo vedrai segnato con caratteri indelebili quell’istante agli occhi della carne così banale: quando cioè prenderai il ferro e metterai la camicia sul tavolo da stiro. Ecco “quando” Cristo è passato a Cafarnao! Nell’istante in cui si è offerto per ogni uomo.

Ecco questa settimana che ci attende, e quelle che verranno; ecco i milioni di “quando” che ci aspettano per andare, in segreto, “di là dal mare”, attirando dietro a noi quanti non sanno sperare il Cielo.

Stira le camice allora, studia quella materia insopportabile, sbriga quella pratica frustrante, accetta la solitudine e i limiti della vecchiaia, abbraccia i dolori della malattia, sono il “cibo che non perisce” perché proprio su questa settimana che ti aspetta sicuramente segnata dalla Croce, il Padre ha messo il “sigillo” del suo Spirito, il soffio del suo respiro eterno.

Non si tratta di “dover fare” qualcosa di straordinario “per compiere” chissà quali “opere”, perché l’unica “opera di Dio” è la fede che diviene adulta nella Chiesa, per accogliere in noi “l’opera” divina che ci strappa alla corruzione.

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Antonello Iapicca

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