di Marta Lago
CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 10 febbraio 2008 (ZENIT.org).- “L’Osservatore Romano” celebra i suoi primi cento giorni sotto la guida del suo undicesimo direttore in 146 anni, Giovanni Maria Vian, che ZENIT ha intervistato.
Ha compiuto cento giorni alla guida de “L’Osservatore Romano”. Qual è stata la più grande sfida che ha dovuto affrontare?
G.M.V.: La sfida più grande è stata, senza dubbio, il cambiamento generale che si è dovuto imprimere al quotidiano sin dal primo giorno della mia direzione, il 27 ottobre 2007. Per avere un quotidiano più semplice, di otto pagine: una prima che fa da copertina con le notizie più importanti, una seconda copertina, cioè l’ultima pagina, in genere riservata alle attività del Papa e della Santa Sede, la seconda e la terza dedicate alle notizie internazionali (incluse quelle italiane), la quarta e la quinta alla cultura, la sesta e la settima alla religione: cattolicesimo nel mondo, Chiese orientali, anche non cattoliche, altre confessioni cristiane e religioni. Abbiamo ridotto la dimensione di titoli e fotografie e così – rispetto al quotidiano che prima aveva dieci, dodici o perfino quattordici pagine – c’è una crescita di quasi il dieci per cento dei testi.
Il quotidiano è stato poi modificato graficamente, anche se all’inizio sulla base di indicazioni che ho dato io, che non sono un professionista della grafica. In questi cento giorni i nostri tecnici, davvero eccellenti, hanno preparato un progetto molto bello, e sono usciti i primi numeri del nuovo giornale: il colore è stabilmente introdotto nella prima e nell’ultima pagina, c’è più aria, maggiori spazi bianchi, non ci sono più i fili, i caratteri sono un po’ più grandi e di tipo diverso, più leggibile. Insomma, è un giornale elegante e semplice, che si legge bene. E ogni giorno più bello.
Qual è la maggiore sfida informativa di questo periodo?
G.M.V.: In questo senso la forzata rinuncia del Papa ad andare all’università di Roma La Sapienza; e prima la pubblicazione dell’enciclica Spe salvi e il tempo di Natale, con le celebrazioni e le omelie di Benedetto XVI. In ogni caso, è costante la sfida di presentare in modo adeguato l’attività papale.
Il momento più difficile?
G.M.V.: Senza dubbio, per me personalmente, la rinuncia di Benedetto XVI alla visita alla Sapienza: è la mia università, anche se come professore sono in aspettativa per avere assunto questo incarico.
E l’esperienza più gratificante?
G.M.V.: La lettera che mi ha scritto il Papa il primo giorno. E’ stata un’espressione di grande fiducia e ha usato parole molto generose. Meno di due settimane dopo, ha invitato il vicedirettore Carlo Di Cicco e me, ed è stato per noi un incontro davvero importante. Abbiamo visto che Benedetto XVI si interessa moltissimo ai problemi dell’informazione e ha anche per questi una sensibilità molto acuta. E le tre o quattro volte in cui l’ho visto nelle settimane seguenti, durante incontri pubblici, mi ha ripetuto: “Andiamo avanti, andiamo avanti”.
“L’Osservatore Romano” incarna una profonda tradizione come quotidiano del Papa e si configura come “giornale di idee”. Come si coniugano questi due aspetti?
G.M.V.: Armonicamente, perché la documentazione dell’attività papale e della Santa Sede non si oppone a una riflessione su questa attività e su aspetti dell’attualità internazionale, culturale e religiosa. Come quotidiano di idee, “L’Osservatore Romano” riflette molto; affronta temi culturali e li approfondisce, in materie spesso poco trattate dalla stampa internazionale. Sicuramente il nostro lavoro è anche quello di equilibrare questa caratteristica di alta qualità con una presentazione giornalistica, con una sfida che è quotidiana; non pubblichiamo certo trattati filosofici o teologici, ma siamo consapevoli del fatto che molti articoli usciti in questi cento giorni richiedono molta attenzione da parte del lettore.
Le piace riconoscere pubblicamente i meriti della squadra nel lavoro e nei cambiamenti del quotidiano…
G.M.V.: Certo! Il quotidiano è frutto di un lavoro di squadra. Sono importanti tutti, e tutti andrebbero nominati. L’ho appena fatto in un editoriale e mi dispiace di aver dimenticato i tipografi e i due archivi del giornale, storico e fotografico; contano molto anche i professionisti incaricati della traduzione, della segreteria, i commessi, i grafici e naturalmente i giornalisti. Svolgono tutti un lavoro importante, e ho detto in più di un’occasione che il direttore emerito, Mario Agnes, mi ha lasciato una redazione migliore di quella che ha trovato lui quando assunse l’incarico nel 1984; lo so perché conosco bene la storia del quotidiano. C’è un buon clima.
Il ritmo de “L’Osservatore Romano” sembra smentire il fatto che i cambiamenti nella Santa Sede siano lenti…
G.M.V.: In un quotidiano deve essere così: si devono prendere decisioni rapide, anche se non bisogna nemmeno precipitarsi. Ho riflettuto molto prima di prendere decisioni sul funzionamento del quotidiano e ho aspettato la scadenza dei cento giorni per fare alcune importanti nomine interne.
Ricevete critiche?
G.M.V.: Non sono state molte; sono venute soprattutto da lettori abituati a un quotidiano che informava molto, forse un po’ troppo, sull’Italia e su Roma. Non abbiamo dimenticato questi ambiti, ma bisogna includerli in una prospettiva internazionale. Mi hanno anche criticato per la linea relativa all’aborto; alcuni volevano prese di posizione più radicali, ma la nostra linea è ovviamente quella della Santa Sede, e per l’Italia quella della conferenza episcopale, che non vuole scontri inutili, ma che si vinca una battaglia culturale grazie alla quale l’aborto non venga considerato una pratica normale. Sicuramente in questo caso si è trattato di una critica molto ingiusta perché non si può certo dubitare del fatto che “L’Osservatore Romano” si preoccupi di questo fenomeno; se ne preoccupa, e molto.
Qual è il complimento ricevuto da “L’Osservatore Romano” che desidera ricordare?
G.M.V.: I complimenti sono stati più numerosi delle critiche: c’è maggiore interesse per il quotidiano. Sulla stampa ho letto quasi solo apprezzamenti e si è notato da più parti che il quotidiano è più interessante.
All’interno della sua tradizione, sembra che “L’Osservatore Romano” si reinventi ogni giorno. Temete l’immobilismo?
G.M.V.: Ogni quotidiano teme l’immobilismo. Essere immobilisti sarebbe un suicidio.
Manterrà il profilo di quotidiano pomeridiano? Questo fatto condiziona molto la giornata della Redazione.
G.M.V.: Sì. Il giornale esce di pomeriggio perché informiamo immediatamente dell’attività, dei discorsi e delle nomine del Papa, e questo normalmente avviene di mattina; siamo i primi a pubblicarli. Ciò implica qualche sacrificio perché la nostra giornata inizia alle 7, con l’esame delle agenzie e dei quotidiani; alle 8.15 abbiamo la prima riunione e meno di un’ora dopo si comincia a costruire il quotidiano; a partire dalle 13.15 iniziamo a chiudere le pagine e alle 14.15 è fissata la riunione per il giorno dopo, anche se spesso questa slitta un po’.
Ricevete indicazioni editoriali specifiche?
G.M.V.: Non ne ho avute molte. L’indicazione – chiara per me, tanto che l’avevo scritto nella voce dedicata al giornale pubblicata nel “Dizionario storico del papato”, uscito in Italia nel 1996 – è che “L’Osservatore Romano” dovesse avere un maggior respiro internazionale; così abbiamo raddoppiato le informazioni internazionale, ma anche quelle culturali e religiose. Oltre il rafforzamento della dimensione internazionale, prestiamo maggiore attenzione alle Chiese orientali, anche non cattoliche, e diamo più spazio alle firme femminili. Sono indicazioni della Segreteria di Stato, ma credo che vengano direttamente dal Papa. E in generale c’è l’indicazione di fare – come ci ha chie
sto esplicitamente il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato – un “bel giornale”.
Pubblicate quotidianamente interviste di grande attualità che si rivelano anche una fonte informativa di anticipazioni di documenti ecclesiali, attività. Crede che il dinamismo della vita della Chiesa si percepisse poco?
G.M.V.: L’intervista è un genere che permette una maggiore immediatezza; si legge con più facilità rispetto a un articolo di presentazione di un’attività o a una riflessione. Abbiamo anche visto che queste interviste piacciono e vengono riprese. E mostrano con efficacia il dinamismo della Chiesa, che si muove più di quanto si pensi.
“L’Osservatore Romano” avvicina il mondo a Roma e Roma al mondo. Non esiste frontiera tra le due dimensioni, bisogna dimostrare che non esistono frontiere o contribuire perché scompaiano, se ce ne sono? In quale direzione?
G.M.V.: Per il Vescovo di Roma nessun Paese è straniero. Per questo l’informazione internazionale si occupa di tutto il mondo. Tutto il mondo ha voce. E visto che Roma guarda a tutto il mondo, da molte parti del mondo si contribuisce al giornale del Papa. Il movimento è in entrambe le direzioni. E si può aggiungere che “L’Osservatore Romano” cerca di smontare i pregiudizi che vi sono nei confronti del papato.
Dal suo profilo pastorale, il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali ha annunciato recentemente, tra i suoi obiettivi, quello di promuovere un più stretto rapporto tra i media vaticani e un maggiore coordinamento dell’informazione della Santa Sede. Come si inquadra “L’Osservatore Romano” in questa dinamica?
G.M.V.: Il giornale del Papa fa la sua parte: il 20 dicembre, insieme alla Radio Vaticana e al Centro Televisivo Vaticano, abbiamo intervistato – per la prima volta tutti insieme – un capo di Stato, e cioè il Presidente francese Sarkozy, e meno di due settimane dopo il quotidiano e la radio hanno intervistato padre Kolvenbach, poco prima delle sue dimissioni da superiore generale della Compagnia di Gesù. E pensiamo di sviluppare questa esperienza.
In una frase, qual è il suo bilancio di questi primi cento giorni a “L’Osservatore Romano”?
G.M.V.: Una buona base per continuare a lavorare.
Lei è storico del cristianesimo, insegna filologia patristica e ha trent’anni di esperienza giornalistica. Come sta vivendo personalmente questa esperienza a “L’Osservatore Romano”.
G.M.V.: Da un lato questo incarico mi richiede un grande sforzo e ogni giorno passo dodici o tredici ore in redazione. Dall’altro, vivo questo impegno con passione e gioia, perché è un compito formidabile che mi onora. Ed è un lavoro entusiasmante, un lavoro di squadra che vale la pena.