Tra i film di maggior pregio passati nelle sale in questi mesi, spicca un’opera discreta, che colpisce per la sua straordinaria delicatezza, davvero insolita per il cinema d’oggi.
Ispirato al romanzo di Colm Tóibín e diretto da John Crowley, Brooklyn va a rovistare nel bauletto dei ricordi di una generazione ancora in vita, quella che fu testimone dell’ultima grande ondata migratoria dall’Europa agli Stati Uniti.
Nella New York dei primi anni ‘50 si intrecciano le vicende dell’irlandese Ellis (Saoirse Ronan) e dell’italiano Tony (Emory Cohen). Due ragazzi poveri ma dal cuore enorme, tra i quali scoppia un grande amore, quasi subito ostacolato dalle intemperie del destino.
Dovuta tornare in Irlanda per un improvviso lutto familiare, Ellis vivrà nuovi incontri e nuove esperienze che smuoveranno in lei il demone dell’indecisione e la porranno severamente di fronte alle prime vere scelte della sua vita.
In una metropoli difficile ma piena di fascino e di opportunità, si celebra il connubio tra due diverse – ma nel profondo assai simili – comunità di immigrati, in cui risaltano le personalità assai genuine della coppia protagonista. Due giovani della porta accanto, pressoché privi di malizia ma dotati di buona volontà e spirito di sacrificio.
Quasi una storia d’altri tempi, quando l’amore tra due post-adolescenti era ancora sinonimo di pudicizia, rossore e tremore, nonché condizionato dalle convenzioni sociali della sua epoca.
Brooklyn è un film che ad alcuni potrà sembrare anche troppo edulcorato ma sa far vibrare lo spettatore di emozioni autentiche.
Un po’ sbilanciato sul punto di vista della protagonista femminile e della comunità irlandese che le è intorno, la storia non sembra voler approfondire troppo la vicenda di Tony e della sua famiglia, dove comunque spicca la tenera e irresistibile spontaneità tutta italica del fratellino minore del protagonista, l’unico ad aver imparato l’inglese in modo abbastanza decente da potersi permettere di scrivere sotto dettatura le lettere di Tony alla sua amata…
Girato per metà nella Grande Mela, per metà in Irlanda, Brooklyn, a dispetto del titolo, è soprattutto un grande tributo del regista alla sua travagliata e viscerale patria, con i suoi panorami un po’ oleografici, dove trionfano le immancabili e sconfinate praterie. Dell’Irlanda c’è anche tutto il meglio e il peggio dei suoi abitanti: generosi, impulsivi, provinciali, pettegoli e fatalisti, proprio come li descriveva quel genio del loro compatriota James Joyce.
Da segnalare la spettacolarità dei due viaggi in transatlantico di Ellis verso l’America, con atmosfere e spunti che, a tratti, potranno ricordare Titanic e dove, tuttavia, in modo abbastanza originale, emergono due simmetrici e speculari episodi di complicità femminile. Sullo sfondo di una vicenda che, in altri tempi, sarebbe stata collocata nel filone della “educazione sentimentale” di flaubertiana memoria.
‘Poveri ma belli’ nella New York anni ‘50
“Brooklyn”: una storia d’altri tempi narrata con delicata intensità