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Padre Cantalamessa: “Per aprirsi alla misericordia di Dio bisogna volerla”

Nel terzo incontro a Roma per operatori della comunicazione nella Chiesa degli artisti, il predicatore della Casa Pontificia ricorda “la potenza miracolosa” del Sacramento della riconciliazione

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Il sacramento della riconciliazione, la misericordia e il perdono sono gli argomenti del terzo incontro per operatori della comunicazione, organizzato dall’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Roma presso la basilica di Santa Maria in Montesanto a Piazza del Popolo. Il tutto affidato alle sagge parole di padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia.
Il frate cappuccino ha esordito parlando dell’evento non come “una conferenza o una predica”, ma “un piccolo cammino da compiere insieme, diviso in quattro tappe tante quante quelle dell’Esodo biblico”. Una metafora del piccolo grande “cammino che tutti dobbiamo seguire per liberarci dal peccato”.
“La prima tappa – ha spiegato Cantalamessa – è riconoscere i propri peccati. Riconoscere il male fatto è una delle cose migliori che può fare un uomo. Purtroppo viviamo in un mondo che ha perso il senso del peccato. Pensiamo ai peccati capitali che addirittura diventano protagonisti degli spot pubblicitari o anche al nostro linguaggio: in Italiano usiamo spesso i diminutivi che smussano i significati così come possono smussare il senso del peccato. Per questo ci sembra meglio dire ‘vizietto’ e non ‘vizio’ o ‘peccatuccio’ al posto di ‘peccato’. Così sembra meno grave. È importante invece capire le zone oscure dove sta il peccato e dove possiamo fare luce”.
Il predicatore della Casa Pontificia ha poi preso in esame brevemente tutti i Dieci Comandamenti a partire da “non avrai alcun dio al di fuori di Me” che “rappresenta la condanna dell’idolatria oltre il mondo greco-romano”. “Quella che prima era Venere – ha precisato Cantalamessa – è diventata la lussuria così come Marte è diventato la violenza. Senza dimenticare il dio denaro che tanto prospera nella nostra società. E spesso abbiamo un dio nascosto dentro di noi, simile a Dio, ma senza la prima lettera: si tratta dell’io”.
“Non nominare il nome di Dio invano – secondo il frate cappuccino – non è solo la condanna della bestemmia, ma anche il non mettere in mezzo Dio quando non serve o fare cose sbagliate nel Suo nome”. “Ricordati di santificare le feste”, vuol dire non solo “andare a messa la domenica, ma anche prendere il giusto riposo in una vita in cui l’uomo tende spesso a strafare. “Onorare il padre e la madre – ha sottolineato padre Cantalamessa – è fondamentale se si pensa al rispetto dovuto ai genitori anziani che non vanno abbandonati”.
Per quanto riguarda il comandamento “non uccidere”, il predicatore della Casa Pontificia ha citato San Giovanni secondo cui “anche chi odia senza uccidere può essere considerato omicida”. “Non commettere atti impuri – ha continuato – è un principio spesso male interpretato, anche per colpa della Chiesa, fino a diventare il peccato più ammesso durante le confessioni [sorride ndr] ma, in realtà, indica il rispetto del disegno di Dio sulla sessualità”. “Non rubare – ha aggiunto – ci ricorda non solo dei grandi furti, ma anche di quelli piccoli” che possono essere altrettanto deleteri.
“Non dire falsa testimonianza” non significa solo “non mentire in tribunale, ma proprio non dire bugie e, con la diffusione attuale della comunicazione, rappresenta la responsabilità di non manipolare le notizie,  non sbattere il mostro in prima pagina, non condannare mediaticamente prima del tempo, essere onesti e rispettare le persone”. “Non desiderare la donna d’altri – ha evidenziato Cantalamessa – non prende di mira solo il tradimento carnale, ma anche il tradimento nel cuore”.“Non desiderare la roba d’altri – ha concluso – è un invito a non cadere in spirali pericolose”.
Il frate cappuccino è poi passato “alla seconda tappa”: pentirsi dei propri peccati, “assumersi concretamente la responsabilità di quello che non va”. “C’è qualcosa di miracoloso nel pentimento – ha ricordato il Predicatore della Casa Pontificia –  Dio ha creato l’uomo libero e quindi solo lui può pentirsi e salvarsi. Nell’anno della misericordia dobbiamo ricordarci della misericordia di Dio, che è incondizionata, ma bisogna volerla per aprirsi ad essa”.
La “terza tappa”è “rompere definitivamente con il peccato”. “Nessuno di noi – ha evidenziato Padre Cantalamessa – può pretendere di essere senza macchia, ma dobbiamo intervenire concretamente su qualche aspetto, anche piccolo, della nostra esistenza per rompere il legame con il peccato. Può essere un’abitudine sbagliata, o una grande dipendenza come quelle da droga, alcool o gioco d’azzardo, purtroppo spesso incoraggiata dallo Stato, o un’attrazione morbosa o un’omissione, qualcosa che dovremmo fare ma invece rimandiamo sempre. Spesso rimandiamo quel che conta davvero in nome di qualcosa di più urgente. L’urgente fa dimenticare l’importante”.
“La quarta e ultima tappa” è rappresentata dal sacramento della riconciliazione. “Attraverso la confessione – ha ricordato Cantalamessa – Dio interviene con la Sua potenza per distruggere il male che abbiamo commesso e rimettere i nostri peccati. Ha istituito la Chiesa come strumento della propria misericordia per continuare quanto fatto da Gesù. Certo, non per questo dobbiamo idealizzare la confessione perché, come tutte le cose umane, è stata spesso strumentalizzata e banalizzata, ma nel suo significato più profondo ha una potenza immensa”.
Il predicatore della Casa Pontificia ha concluso riflettendo su come il principio della confessione sia presente anche nella società secolarizzata attraverso la psicanalisi “che concretizza il bisogno di parlare dei propri tormenti interiori, perché il peccato ha bisogno di essere ammesso con le proprie parole”. “La psicanalisi – ha precisato Cantalamessa – dimostra che Dio ci vuole aiutare anche attraverso la scienza. Ma la differenza è che il sacerdote ti assolve, lo psicanalista non può farlo e anzi ti presenta il conto che spesso è abbastanza salato [ride ndr]”.

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Alessandro de Vecchi

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