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Vatileaks 2. Interrogati Fittipaldi e Vallejo che dice: "Mi sentivo minacciato". E Chaouqui ha un malore in aula

Prosegue il processo per fuga di documenti riservati. L’autore di ‘Avarizia’ si appella al segreto professionale e afferma: “Ho pubblicato e lo farei ancora”; intanto il monsignore racconta le pressioni subite da Nuzzi e Chaoqui

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Ieri era arrivata con i due trolley neri pieni di certificati medici sulla sua gravidanza a rischio. Oggi con la tesi di laurea alla Università La Sapienza, anno 2005-2006, dedicata ai giudici Falcone e Borsellino, mostrata davanti a tutte le telecamere esclamando: “Accusare di mafia me che vengo dalla Calabria è la peggiore accusa che quel verme potesse farmi”.

Non l’ha digerita Francesca Immacolata Chaoqui la frase rivelata da mons. Lucio Vallejo Balda durante il suo interrogatorio-fiume di ieri al processo cosiddetto Vatileaks 2. Per questo stamattina è arrivata già tesissima, 15 minuti in ritardo, nel Tribunale vaticano dove è proseguito il colloquio con il monsignore spagnolo.

Tanto da avere un malore oggi pomeriggio, mentre veniva interrogato l’altro co-imputato Emiliano Fittipaldi, giornalista de L’Espresso e autore di Avarizia, che l’ha costretta a uscire fuori dall’aula e chiamare le ambulanze. La donna è incinta al sesto mese e rischia un parto prematuro; dal 17 al 22 marzo dovrà infatti essere sottoposta a un intervento di “cerchiaggio uterino” che le impedirà di essere presente al processo, come ha spiegato il suo avvocato Laura Sgrò. Tuttavia, è voluta rientrare in aula e, dopo essersi consultata con la legale, ha dichiarato ai giornalisti: “Volevano portarmi in ospedale, mi volevano ricoverare, ma io non ho voluto… Voglio restare ad ascoltare e difendermi”.

Effettivamente sono tante le accuse che Vallejo muove alla lobbista calabro-marocchina: minacce dal vivo o tramite whatsapp, pressioni, costrizioni su scelte di vita o lavorative, paranoie procurate da finti coinvolgimenti dei Servizi segreti italiani o altri personaggi di potere che avevano fatto credere al monsignore di rischiare addirittura per la sua stessa vita.

Durante l’udienza Vallejo – che ha scagionato il suo collaboratore Nicola Maio, dimesso dalla Cosea nel dicembre 2014 – cita pure un messaggio, già a disposizione del Tribunale, in cui Chaoqui scriveva: “Ti distruggerò davanti a tutti i giornali e sai che posso farlo!”. “Se questa non è una minaccia concreta…”, commenta l’ex segretario della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. E ricorda pure un altro whatsapp di Nuzzi, dopo un litigio con la Chaouqui, che diceva: “Dovete fare pace perché Francesca può farti molto male”. 

Agli avvocati, della difesa e dell’accusa, ha continuato poi a ribadire lo stato di perenne soggezione e di “ansia” che provava nei confronti della donna che lo aveva coinvolto anche in pranzi con Luigi Bisignani (“mirato a farmi credere che lei appartenesse ai Servizi Segreti”) e Paolo Berlusconi (“per mostrarmi il suo legame con la famiglia Berlusconi”).

Tutte messe in scena, secondo Balda, che racconta come, anzi, il suo timore aumentò quando, incontrando a fine aprile 2015 l’ambasciatore Marsolo, responsabile dei Servizi Segreti, ebbe la certezza che la pr non ne faceva assolutamente parte. “Mi sarei sentito più tranquillo nel sapere che lei era dei Servizi”, perché questo avrebbe giustificato l’ansia della donna di non perdere il lavoro in Vaticano, perfetta copertura al suo ‘vero’ lavoro.

Ansia dimostrata dai messaggi inviati nel maggio 2014, allo scioglimento della Cosea, in cui Chaoqui “iniziava a lamentarsi… diceva che la situazione era sfuggita di mano”. Sempre nello stesso periodo le accadde un “episodio doloroso”: “Le hanno ritirato la carta di identificazione dal Vaticano. Io non lo avrei fatto, questo l’ha fatta arrabbiare molto…”.

Dunque un personaggio ambiguo la giovane lobbista, secondo il monsignore, con “un mondo pericoloso” alle spalle di cui – gli avrebbe confermato più tardi Fittipaldi – faceva parte anche l’altro giornalista co-imputato nel processo, Gianluigi Nuzzi (assente e contumace). 

Di lui, autore dell’altro libro-scandalo Via Crucis, si è parlato ampiamente durante il processo di oggi. L’avvocato Sgrò, in particolare, ha domandato a Balda se avesse mai ricevuto da Nuzzi e Fittipaldi minacce concrete. “No”, risponde, “non posso dire di essere stato minacciato, ma mi sono sentito minacciato”. “Il suo stato psicologico le ha fatto percepire le domande come forma di pressione”, ha chiosato il presidente Giuseppe Dalla Torre.

“Io – ha replicato il sacerdote – non sono un uomo violento però, sì, sensibile quando soffro pressioni esterne. Ho sentito che queste due persone sapevano cose di me e non lo volevano dire e allora mi sono sentito pressato a ‘comportarmi bene’…” “Con Fittipaldi non molto perché ritengo che non fosse così dentro alla struttura – ha soggiunto – mentre senza dubbio tramite conversazioni con Nuzzi ho capito che manteneva rapporti molto stretti con Francesca…”

E allora perché ha intensificato il rapporto con lui, fino ad incontrarlo privatamente più e più volte, scambiandosi messaggi, lettere, documenti, email? “Per questa situazione di ansia io sapevo che lui (Nuzzi) poteva farmi del male e cercavo di controllare questa situazione”. Quindi consegnare alla stampa quei documenti riservati “era un modo di pagare la mia libertà”, ha detto Vallejo. Gesto di cui “nessuno sapeva dell’intenzione”, neanche Francesca Chaouqui “di cui non mi fidavo”. 

La preoccupazione di mons. Balda era data anche dal fatto di sentirsi costantemente controllato, già a partire dal suo arrivo a Roma nel 2011. Sospetto, questo, confermato da alcuni amici de La Rioja, il suo paese d’origine, in particolare da una cara amica che lavora all’ufficio anagrafe che gli avrebbe riferito che qualcuno, nella fattispecie un investigatore privato, stava realizzando indagini sulle sue origini.

Più volte nella deposizione del prelato viene citato il “Memorandum” scritto durante l’arresto. La Sgrò lo incalza su alcuni punti, in particolare su un passaggio in cui viene nominata un’amica di Firenze, Elena Metti, che avrebbe dichiarato in una conversazione telefonica con la Chaoqui, da lei registrata su due chiavette usb, la “falsità” del memoriale. “Impossibile”, ha detto il prelato, visto che la Metti “non ha avuto la disponibilità del documento”, esistendone una sola copia in italiano. Questa è stata redatta dall’avvocato Zaccaria insieme a un gendarme italo-spagnolo, tale Lasarcina (che ora lavora come traduttore simultaneo del processo), in lingua italiana. Per questo, ha spiegato Vallejo, “non conoscendo bene la lingua, mi sono sfuggiti alcuni passaggi”.

***

L’interrogatorio al prelato si è concluso alle 13.35. Dopo una breve pausa pranzo, a partire dalle 15.30, i giudici si sono concentrati su Emiliano Fittipaldi che prima di iniziare il suo interrogatorio ha voluto fare una premessa: “Come giornalista italiano sono vincolato dal segreto professionale”. Frase ripetuta più volte al Collegio giudicante specificando che avrebbe risposto solo alle domande che non avrebbero violato la segretezza delle fonti.

In virtù di questo, Fittipaldi non ha voluto rivelare nulla sui contenuti dei tre incontri a tu per tu con il prelato, anticipati da alcuni messaggi whatsapp del tipo: “Sei tornato? Ci vediamo per scambiarci i documenti?”. Incontri mai avvenuti; l’ultimo – ha scherzato – “perché l’avete arrestato…”.

Dalle ricostruzioni è emerso che tra il giornalista e il monsignore sarebbero stati scambiati 20 documenti. Di questi “fogli”, l’autore di Avarizia ne avrebbe usati solo due: un bilancio semi-pubblico dello Ior e una lettera firmata dal cardinale Pell; gli altri “erano di scarso interesse giornalistico”. I due documenti avrebbero poi composto circa “sette righe” del libro che “era già finito” nel maggio 2015, ovvero il periodo in cui Fittipaldi conobbe Vallejo Balda tramite Francesca Chaoqui.

Di lui, però, ha detto: “Non so nulla, non ho mai saputo nulla, né sapevo che lei (Chaoqui) conoscesse aspetti privati o imbarzzanti della sua vita”. Nulla sapeva neanche di Nuzzi e di Maio, conosciuti durante il processo. Per il cronista dell’Espresso l’ex segretario Cosea era solo una fonte da “proteggere”, trattare “con rispetto” e “assecondare”.
Come ha fatto, ad esempio, quando Balda gli ha inviato un link su whatsapp scrivendo: “Questo è il gruppo pericoloso per cui lavora la nostra amica”, e Fittipaldi ha risposto: “Lo so… anche Nuzzi”. Oppure quando, sempre la chat, aveva segnalato un post pubblicato su Facebook dalla Chaoqui e lui ha commentato: “Questa è totalmente pazza”.  “Una semplice battuta”, ha replicato oggi Fittipaldi, “non lo penso assolutamente”.
Era, appunto, un modo per ottenere la fiducia del monsignore e assicurarsi la sua confidenza, anche distinguendosi dal suo collega. Quello che cercava da lui – ha spiegato – erano solo dei dati aggiornati per completare la sua indagine su posizioni e bilanci di Ior, Apsa e Congregazione delle Cause dei Santi. Tematiche di cui si è sempre occupato sin dal suo arrivo a L’Espresso dal 2008/2009.
Secondo il Promotore di Giustizia, Giampiero Milano, c’era tra i due un rapporto di “cooperazione”. Lo dimostravano alcuni messaggi in cui il cronista chiedeva informazioni sul cardinale Pell per conto di giornalisti australiani che volevano realizzare un’intervista a sorpresa con delle telecamere. Messaggi tipo: “Dove abita Pell?”, “a che ora esce di casa?”, “come lo possono incrociare?”.
Non vedo alcun delitto in questo, ho fatto ciò che farebbe qualsiasi giornalista”, ha detto Fittipaldi ai giudici. I quali gli chiedevano se per lui cambiasse qualcosa sapere che i documenti ricevuti e poi pubblicati erano coperti dal segreto professionale. “No – ha affermato – il lavoro del giornalista è far conoscere i documenti che le istituzioni che li hanno prodotti vogliono coprire. È il mio mestiere, quindi ho pubblicato e lo rifarei ancora”.
Poi, fuori dall’aula, ha commentato: “Oggi ho avuto ancor di più la conferma che si tratti di un processo farsesco. Non mi viene nemmeno più contestato di aver fatto minacce ma di aver fatto domande”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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