E ora spuntano anche due pesci rossi. Nel torbido scenario che le due dipendenti della Prefettura degli Affari Economici hanno descritto oggi nell’interrogatorio come testimoni dell’undicesima udienza del processo Vatileaks 2, c’è anche il curioso aneddoto di una boccia con due pesciolini donati da Francesca Immacolata Chaouqui a monsignor Vallejo Balda, dopo la fine dei lavori della Cosea.
A detta delle due donne – la signorina Paola Pellegrino, archivista della Prefettura, e Paola Monaco, segretaria dell’allora presidente card. Versaldi, attualmente impiegata nel Consiglio per l’Economia – si trattava di un “avvertimento intimidatorio” della pr calabrese al monsignore a stare muto. Come un pesce, appunto.
Le due teste hanno poi confermato quanto già detto nella scorsa udienza dall’ex ragioniere generale Stefano Fralleoni, ovvero del clima pesante all’interno dell’ufficio vaticano dove tra i dipendenti non sono mancati spintoni, diverbi, strattonamenti. Dove, anche, si viveva in perenne tensione e nel sospetto di essere ripresi da microspie e telecamere poste in modo fraudolento nelle stanze; al punto che un giorno lo stesso Balda “salì su una scala per verificare se nelle scatole elettriche erano nascosti questi apparati”, ha raccontato Pellegrino.
Erano proprio questi turbamenti e cambi repentini d’umore del prelato, allora segretario della Prefettura degli Affari economici e membro Cosea, a generare il malessere. Spesso sfociavano in sfoghi di rabbia, manifestati anche davanti a estranei, durante cui il sacerdote apostrofava i suoi sottoposti con insulti come “fannulloni”, “ladri”, “gente da licenziare”. Loro come chiunque altro lavorasse in Vaticano, diceva.
“Era nervoso dopo le conversazioni con Chaouqui e poi se la prendeva con noi” ha dichiarato la Monaco. “Sentivo un tono di voce alto, scontri al cellulare… non so cosa si dicessero, né i contenuti della conversazione, ma mi accorgevo che c’erano rapporti tesi e concitati”. Tutto si ripercuoteva poi sui dipendenti. “Spesso le ragioni erano futili”, ha spiegato la donna, i rimproveri erano “dovuti più che altro alla volontà di affermare la sua supremazia e autorità. Per questo ho deciso di evitare i contatti”. Anche perché nessuno a lei, segretaria in passato di tre cardinali, stimata per la sua professionalità, l’aveva mai trattata a quel modo.
A rincarare la dose l’archivista Pellegrino che con Vallejo era arrivata in più occasioni a scontri verbali. Una volta “Vallejo Balda fece una sfuriata incredibile perché non trovava gli estratti conto dello Ior che erano conservati in un armadio di cui io avevo la chiave. Fui accusata di tenere l’archivio come una cosa privata”.
Da parte sua la donna accusava invece il sacerdote di ingenti prelievi di documenti nell’archivio della Prefettura, senza mai una registrazione o una giustificazione. Una “azione frenetica” di prelievo di documentazione dal marzo al luglio 2015 quasi da creare “un archivio parallelo”, probabilmente alimentato anche dai documenti sottratti di nascosto nelle diverse stanze durante l’assenza pomeridiana del personale. Tanto che di lì a poco tutti cominciarono a chiudere le loro porte a chiave.
Tutti i fogli e i faldoni – specie quelle riguardanti la Congregazione per le Cause dei Santi o conti Ior – venivano portati via e fotocopiati dal prelato e dai suoi collaboratori, a cominciare dal braccio destro mons. Abbondi e poi da Nicola Maio, coimputato nel processo. “Una volta vidi anche un usciere fare delle fotocopie”, ha detto Pellegrini. E ha aggiunto: “Non sapevo perché venivano fatte queste fotocopie; in base alla esperienza precedente del caso di Paolo Gabriele ho temuto per loro stessi. Ho fatto allora due note firmate dal ragioniere conservate nel mio archivio per future necessità, per esentarmi da qualsiasi responsabilità”.
La donna ha anche confermato ai giudici di aver riconosciuto in uno dei due libri-scandalo dei giornalisti imputati (Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, entrambi assenti all’udienza di oggi) alcuni di questi documenti prelevati indebitamente. Sicuramente si trattava di Via Crucis di Nuzzi che riporta alcune riproduzioni dei documenti.
Tra queste risultava anche una lettera dal Papa indirizzata ai Revisori con una timbratura ‘sub segreto pontificio’ che, però, nella copia originale della missiva non c’era. La Pellegrino ne è certa, e ha raccontato che un giorno Maio le chiese questo timbro che lei aveva nel suo ufficio e che poi fu ritrovato nel secondo sequestro della stanza di Vallejo.
Nei racconti delle due donne vi è stata inoltre la conferma dell’esistenza della cosiddetta ‘commissione-ombra’ che si incontrava negli uffici della Prefettura “a porte chiuse” per svolgere riunioni con “dinamiche poco chiare, non lineari”. Questa situazione creava malcontento tra gli i dipendenti che, oltre ad essere “mortificati” dal monsignore, si sentivano anche “emarginati”.
“Vivevamo le modalità di questo gruppo come irregolarità nella Prefettura”, ha affermato Paola Monaco, “c’era scetticismo per il loro lavoro”, un “disagio” per il modo d’agire rispetto al normale lavoro della Curia. Peraltro, ha aggiunto la segretaria, “di per sé quelle riunioni a porte chiuse potevano essere giustificate da motivi di riservatezza”, ma in quel contesto anomalo “davano un’impressione complottistica”.
“E di questo gruppetto chi sembrava essere il capo?” ha domandato il pm aggiunto Zannotti. Sicuramente la Chaouqui, secondo la Monaco, “l’unica persona che poteva generare sentimenti di forte nervosismo in Vallejo Balda. Un soggetto dominante…”. Secondo la Pellegrino, invece, era lo stesso monsignore divenuto nel giro di pochi mesi da “persona gioviale” a dittatore “scostante” e al tempo stesso fragile al punto da ordinare di bloccare qualsiasi telefonata o visita della Chaouqui in Prefettura.
La prossima udienza si terrà sabato 7 maggio. Oltre ai restanti dipendenti vaticani, verranno interrogati anche testimoni esterni come Paolo Mieli, richiesto da Nuzzi.