Cardinale Scola: la libertà religiosa, “criterio guida” per l’ingresso della Turchia in Europa

Intervenendo ad un Convegno internazionale dal titolo “Quale Europa? Il caso Turchia”

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VENEZIA, mercoledì, 15 novembre 2006 (ZENIT.org).- Intervenendo al Congresso internazionale tenutosi presso il Centro Culturale Don Orione Artigianelli a Venezia (10-11 novembre 200), il Cardinale Angelo Scola ha affermato che la libertà religiosa dovrebbe essere il “criterio guida” per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea.

E’ questo quanto ha sostenuto il Patriarca di Venezia in occasione dell’incontro promosso da Pax Romana e dal Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale al fine di affrontare la questione della candidatura della Turchia all’Unione europea.

Nel suo intervento, pronunciato il 10 novembre su “La funzione pubblica delle religioni in Europa”, il Cardinale Scola ha constatato che “il fenomeno che domina la scena mondiale, in questo inizio di terzo millennio, è un processo di inedita mescolanza di popoli, culture e civiltà che sono uso chiamare, dilatando un tema caro all’antropologia culturale, meticciato di culture e di civiltà ”.

“Con questo termine – ha poi spiegato – mi riferisco a un processo in atto e non ad una astratta teoria da applicare poi alla realtà. Guardo alla storia come a un intreccio di libertà: la libertà di Dio, la libertà dell’uomo e anche la libertà del maligno”.

“Ma se Dio guida la storia, vuol dire che Dio che ci sta chiamando a questo mescolamento: non dobbiamo averne paura, ma chiederci come starci dentro, come assecondarlo criticamente e come orientarlo”, ha quindi affermato.

In questo contesto, il Patriarca ha quindi posto l’accento sulla necessità di ripensare “i criteri per il rispetto della pluriformità nell’unità che non confondano le differenze né irrigidiscano le identità”.

Ed è in questa prospettiva, ha poi sottolineato il porporato, che va presa in considerazione la questione della candidatura della Turchia all’Unione Europea.

“L’Europa non può non porsi con forza il problema del confronto con la Turchia e con ciò che essa rappresenta: questo confronto dovrà portare all’integrazione della Turchia nell’Unione?”, si è domandato il Cardinale Scola.

“In primo luogo – ha affermato il Patriarca – considero che il dato dei cristiani che vivono in Turchia, ed in particolare la presenza del Patriarcato ecumenico a Costantinopoli, costituiscono un fattore decisivo”.

“Senza dubbio l’Europa è chiamata a farsene carico, e noi cristiani dobbiamo tenere in particolare conto la posizione dei soggetti ecclesiali che vivono in Turchia”, ha sottolineato.

“Per i cattolici l’urgenza ecumenica è decisiva e l’impegno a intensificare i rapporti con i nostri fratelli e ad un sempre più intenso legame con il Patriarcato di Costantinopoli dev’essere totale”, ha quindi continuato.

Ricordando quindi “il sacrificio” di don Andrea Santoro, il sacerdote ucciso il 5 febbraio scorso mentre pregava nella sua chiesa a Trebisonda (Turchia), il Patriarca di Venezia ha sottolineato che è nostro obbligo “prestare ascolto alla loro [fratelli cristiani, ndr] posizione anche circa la candidatura della Turchia all’Unione”.

“È un fattore che può far pendere la bilancia in un senso piuttosto che in un altro. Evidentemente la questione va verificata con molta acribia, nel dialogo costante, tesi a scoprire le ‘ragioni’ addotte da questi nostri fratelli”, ha proseguito.
<br> Secondo il Cardinale, il secondo criterio orientativo per valutare il caso Turchia è relativo”alla concezione e alla pratica dei diritti umani”.

“Il rapporto religioni e politica ha bisogno del rispetto della natura di universale concreto propria delle religioni che non è meno decisiva dell’universalità propria dei diritti fondamentali, troppo spesso considerati come mera rubrica di regole poco contestualizzate storicamente”, ha osservato il porporato.

“Non bisogna pensare i diritti umani in astratto, come un puro elenco di principi”, ha affermato il Cardinale Scola.

E a tal proposito, ha suggerito che sarebbe auspicabile il “riconoscimento di una sfera pubblica plurale e religiosamente qualificata , in cui le religioni svolgano un ruolo di soggetto pubblico, ben separato dall’istituzione statuale e distinto dalla stessa società civile benché all’interno di essa”.

Per giungere a ciò, da parte del potere politico si tratterebbe “di superare il rapporto di tolleranza passiva nei confronti delle religioni a vantaggio di un atteggiamento di ‘attiva apertura’, che non riduca la rilevanza pubblica della religione agli spazi concordatari con lo stato”.

Mentre, da parte delle religioni sarebbe necessario “l’abbandono di autointerpretazioni di tipo privatistico o fondamentalista per creare il terreno di un interscambio diretto con le altre religioni e le altre culture; uno spazio di dialogo in cui le religioni possono giocare il loro ruolo di discorso pubblico sui valori di civiltà ed esprimere il loro giudizio storico”.

“L’universalità dei diritti umani – ha sottolineato il Cardinale – potrebbe trovare maggior efficacia se alimentata dall’universalità delle religioni. Le fedi religiose hanno portata universale. La loro universalità è però radicata nella concreta vita quotidiana delle persone e dei popoli”.

“Se si imposta un corretto rapporto tra ragione, fede e religione l’esperienza religiosa può alimentare la promozione e la difesa dei diritti umani”, ha continuato.

L’esperienza religiosa, ha spiegato, aiuta infatti “a non concepirli soltanto come diritti di individui separati ma piuttosto come diritti inalienabili delle persone che si nutrono di positive appartenenze comunitarie e sono capaci di un’azione ad un tempo capillare ed universale”.

“In questo quadro la libertà religiosa non può non fungere da criterio guida anche per il caso Turchia”, ha infine concluso.

Nel 1993, in occasione del Consiglio europeo di Copenaghen, l’Unione europea ha condizionato l’adesione dei Paesi candidati al soddisfacimento di tre gruppi di criteri: il “criterio politico”, riguarda la stabilità istituzionale, l’ordine democratico e il principio dello stato di diritto, la difesa dei diritti umani, nonché il rispetto e la protezione delle minoranze.

In particolare, nel “Partenariato per l’adesione della Turchia all’Unione europea” sottoscritto nel 2001 si fissava come priorità a medio termine la libertà di credenza e di religione.

Il Partenariato di adesione del 2001 poneva alla Turchia come condizione “una totale garanzia di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti senza discriminazione né distinzione di lingua, razza, colore della pelle, sesso, opinione politica, concezione o religione; e lo sviluppo delle condizioni di difesa del diritto alla libertà d’opinione, coscienza e religione”.

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ZENIT Staff

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