[Leggi prima parte]
Perché padre Agostino Gemelli accusò padre Pio di essere un soggetto isterico e inconsciamente psicopatico? In che modo arrivò ad esprimere un giudizio così duro?
In tutti le biografie di Padre Pio, Gemelli viene indicano come il nemico numero uno del religioso. Ma all’esame dei documenti, le cose sono diverse.
Padre Gemelli è degno di grande ammirazione. È uno dei più eminenti personaggi della storia del Novecento, sia in campo religioso che in quello scientifico. Però, è storicamente dimostrato che commise un grave errore nei confronti di padre Pio. Lo commise nel 1920, e poi non ebbe mai il coraggio di riconoscerlo e riparare.
Nell’aprile 1920, Padre Gemelli era già un ecclesiastico di grande prestigio. Medico, psichiatra, fondatore della psicologia sperimentale, era anche teologo ed esperto proprio di teologia mistica. Proveniva da una famiglia borghese massonica. Da giovane era stato ateo e ribelle. All’università fu allievo del professor Camillo Golgi, Premio Nobel per la medicina 1906, che lo riteneva suo erede. Dopo la conversione, avvenuta, nel 1903, il giovane medico si fece religioso francescano e fu ordinato sacerdote. In un paio d’anni, divenne il più qualificato rappresentante della cultura cattolica. L’unico che, nelle discussioni scientifiche, potesse tener testa ai più grandi scienziati.
Non si è mai saputo perché, nell’aprile 1920, Gemelli volle andare da Padre Pio. Nelle sue relazioni, ha riferito sempre versioni contradditorie. Nella prima relazione, dell’aprile 1920, affermò di essere andato per devozione e per chiedere a Padre Pio consigli e preghiere per l’Università Cattolica che stava fondando. In una relazione scritta nel 1926, raccontò di essere andato su richiesta del vescovo di Foggia. In seguito, sostenne che l’incarico di quella visita gli era stato dato dal Sant’Uffizio.
In tutte le sue relazioni, dichiara di aver visitato le stimate di Padre Pio. Affermazione totalmente falsa. Padre Gemelli non vide mai le stimmate di Padre Pio e non fece alcuna vista medica al religioso.
Arrivò a San Giovanni la sera del 17 aprile 1920, accompagnato da sei persone, monsignori e religiosi, suoi amici e ammiratori, che furono poi testimoni qualificati di quanto accadde. Padre Pio dimostrò subito una istintiva avversione per Gemelli e non si recò a salutarlo, come invece faceva con i visitatori importanti. Il giorno successivo, il 18 aprile, Gemelli non riuscì a farsi ricevere da Padre Pio. In serata, il superiore del convento, che faceva da tramite tra i due, disse che poteva incontrarlo al mattino, quando il Padre sarebbe sceso in sacrestia per dire la Messa. Gemelli era indignato per quel trattamento, ma si adattò. Al mattino del 19, avvicinò Padre Pio in sacrestia, chiedendogli un appuntamento per visitare le stimmate. Padre Pio gli domandò se avesse l’autorizzazione del Sant’Uffizio. Gemelli rispose di no, e Padre Pio se ne andò immediatamente.
L’incontro, secondo la testimonianza giurata dei testimoni, durò non più di un minuto. Gemelli era furibondo. Decise di ripartire immediatamente. E quel pomeriggio stesso inviò la sua prima relazione al Sant’Ufficio dando terribili giudizi su padre Pio e sulle sue stimmate.
La sua tesi, espressa e sostenuta poi nelle altre relazioni successive, era sempre la stessa: Padre Pio era un povero isterico che si procurava le stimmate da solo, con acido fenico o altre sostanze. I suoi giudizi scritti in quelle relazioni erano totalmente negativi: “Ritengo che Padre Pio sia uno psicopatico…”.
“È un soggetto a intelligenza ben limitata, che presenta le note caratteristiche di una deficienza mentale di grado notevole con conseguente restringimento del campo della coscienza”.
“Né i suoi scritti, né ciò che si racconta, né ciò che egli dice rivelano un animo innamorato di Dio. È un buon religioso tranquillo, quieto, mansueto, più per opera della deficienza mentale che per opera di virtù”. E per quanto riguarda le stimmate, scrisse: “Dall’esame da me compiuto sorge il legittimo sospetto che si tratti di caratteristiche e note autolesioni”. “Un caso di suggestione in un soggetto malato come è padre Pio, e che ha condotto a quelle caratteristiche manifestazioni di psittacismo che sono proprie della struttura isterica”.
Dal momento che Gemelli era l’autorità massima nel settore, sia per la sua preparazione scientifica, come per quella teologica, i suoi giudizi vennero recepiti dal Sant’ufficio come “verità scientifiche assolute e inconfutabili”.
Padre Gemelli scrisse la sua prima relazione sotto l’impulso dell’ira provocata dal rifiuto di Padre Pio di parlare con lui. In seguito, tornò sull’argomento solo due volte, quando venne accusato di essersi inventato tutto. In una di quelle relazione scrisse: “Non ho mai parlato con nessuno di Padre Pio; non ho mai ad alcun uomo manifestato la mia opinione su di lui. Io ne ho parlato solo con gli Ufficiali del Sant’Ufficio e con il Cardinale segretario”.
Probabilmente, Gemelli era convinto di ciò che scrisse su Padre Pio. Lo aveva giudicato secondo i criteri della “Psicologia sperimentale” in cui si riteneva il massimo esperto. Era un convertito. Da anni si batteva contro la massoneria e l’ateismo. Osteggiava tutta la forme religiose di dubbia chiarezza. Aveva sempre stroncato tutti i fenomeni di stimmatizzazione, tranne quello riguardante San Francesco d’Assisi. Nel caso di padre Pio, era rimasto vittima del suo furore e del suo zelo. Padre Pio, che era una grande santo, se ne rese conto e non ebbe mai alcuna espressione ostile contro Gemelli. Luigi Villa, che fu molto amico di Padre Gemelli e per 15 anni fu assistente spirituale all’Università Cattolica, rivelò in una intervista che Gemelli, prima di morire scrisse una lettera a Padre Pio chiedendogli perdono. E si dice che Padre Pio sia andato a trovarlo in bilocazione. Resta però il fatto che, ancora oggi, a distanza di tanto tempo, molti, soprattutto intellettuali, parlando di padre Pio affermano: “Padre Gemelli lo riteneva uno psicopatico”.
Quale fu il rapporto dei Pontefici con padre Pio?
Fu un rapporto sostanzialmente positivo. Anche nel periodo della grande persecuzioni di Padre Pio da parte del Sant’Ufficio, i Papi non ne furono coinvolti.
Avevano intuito che qualche cosa di grande avveniva in quel religioso. Papa Benedetto XV era convinto che fosse un santo. Pio XI, essendo molto amico di Padre Gemelli, all’inizio del suo pontificato appoggiò le idee di Gemelli, ma in seguitò si dissociò varie volte della decisioni dei Cardinali del Sant’Uffizio. Pio XII, appena eletto Papa disse: “Lasciate in pace Padre Pio”. Giovanni XXIII era un sostenitore di Padre Pio, ma nel 1960, di fronte a una mole di documenti che gli furono portati dal generale di Cappuccini, documenti risultati poi falsi, ma che accusavano il Padre di delitti contro i voti di povertà, di castità e di obbedienza, si spaventò e ordinò una ennesima visita apostolica che, data l’età del religioso, fu tra le più severe e dolorose. In seguito, Papa Giovanni capì di essere stato imbrogliato e ritrattò i suoi giudizi. Paolo VI fu sempre un difensore di Padre Pio. Papa Wojtyla, testimone diretto di strepitosi miracoli, fu il promotore e sostenitore del processo di beatificazione.
Perché il Sant’Ufficio mantenne un atteggiamento di condanna così a lungo?
Il Sant’Uffizio è il dicastero più importante della Chiesa. Il suo compito, fin dalla sua fondazione 1542, è la difesa dell’ortodossia. Non esiste, nel corso dei secoli, una sola disposizione del Sant’Ufficio che sia stata ritrattata. Quindi, anche per quanto riguarda Padre Pio, una volta emanati dei Decreti di condanna
, non sono più stati cambiati.
Oggi padre Pio è stato riconosciuto nella sua santità ed è un testimone del Giubileo della Misericordia. Chi, come, quando e perché è stato possibile riconoscere la verità sulla vita di Padre Pio?
Furono i miracoli, continui, incessanti, portentosi che Dio operò attraverso Padre Pio a ribaltare le convinzioni negative che il Santo Ufficio aveva espresso per decenni nei confronti di questo religioso. I confratelli di Padre Pio cominciarono a raccogliere i documenti sulla santità del loro confratello subito dopo la morte. Ma la Chiesa, in modo ufficiale, non poteva fare niente perché bloccata dalle sentenze del Sant’Uffizio. Fu l’elezione a Papa di Karol Wojtyla a cambiare di colpo la situazione. Wojtyla aveva conosciuto Padre Pio nel 1948, ne era stato conquistato, aveva sempre continuato a seguirlo e nel 1962 era stato testimone diretto di un clamoroso miracolo avvento per sua diretta richiesta. Appena eletto Papa, volle il processo di beatificazione di Padre Pio, lo sostenne contro tutti e fu lui a proclamare questo religioso beato nel 1999 e poi santo nel 2002.
Qual è il suo parere sull’intera vicenda?
Scrissi il mio primo articolo su Padre Pio nel settembre 1967. In quell’occasione potei incontrare il Padre e parlare con lui. Lo rividi nell’aprile 1968. Alcuni mesi dopo la sua morte, venni incaricato dal giornale dove allora lavoravo di fare una inchiesta dal titolo In difesa di Padre Pio. In seguito scrissi centinaia di articoli e dieci libri, venendo in possesso di migliaia di documenti che riguardano la persecuzione cui Padre Pio venne sottoposto nel corso della sua vita. L’opinione che mi sono fatto su questa incredibile vicenda è racchiusa nelle parole che mi disse in un’intervista il cardinale Giuseppe Siri nel 1984: “La lotta spietata che è stata fatta a Padre Pio anche da parte della Chiesa, è la più grande trappola diabolica messa in atto da Satana ai danni della Chiesa stessa”. Con un lungo e dettagliato discorso, il cardinale mi spiegò che Satana, essendo un puro spirito, è in grado anche di prevedere il futuro. Conoscendo quindi la grandezza e l’importanza immensa della missione che Dio aveva assegnato a quel suo figlio, fece di tutto per distruggerla. E per raggiungere meglio il suo scopo, cercò di coinvolgere nelle sue trame anche i vertici stessi della Chiesa. “La vita e la vicenda umana di Padre Pio – disse il cardinale Siri – sono lo specchio della lotta continua, spietata, senza esclusione di colpi, in atto in modo continuo e costante tra la Forze del Bene e del Male”.