Ieri a Pechino, ai campionati mondiali di atletica leggera, in lacrime per aver perso la medaglia d’oro solo per un errore di distrazione nella misura di 192 cm.
Stiamo parlando di Blanka Vlasic, campionessa mondiale di salto in alto, già campionessa mondiale ad Osaka nel 2007 e a Berlino nel 2009. A Pechino nel 2008 aveva vinto la medaglia d’Argento. Risultato che ha ripetuto ai campionati mondiali che si stanno svolgendo ancora a Pechino quest’anno.
Per le sue innumerevoli prestazioni sportive la Vlasic nel 2010 si è aggiudicata il titolo di donna sportiva dell’anno.
Ben nota la sua storia sportiva, meno conosciuta, anche se fortemente significativa, la sua esperienza di fede.
Nel libro “Campioni di vita” pubblicato in coedizione dalle edizione Ares e da ZENIT Books, Blanka ha raccontato la sua conversione.
Blanka saltava e vinceva ovunque: prima le Olimpiadi di Sidney, poi Atene 2004, Beijing 2008 con 34 vittorie consecutive alle spalle, l’oro ai Mondiali di Berlino 2009, Zagabria con il record personale di 2,08 m, l’oro agli Europei di Barcellona 2010, l’argento ai Mondiali di Deagu 2011.
Si stava preparando per le olimpiadi di Londra quando fu costretta a fermarsi all’improvviso a causa di un infortunio alla caviglia sinistra, una lesione al tendine d’Achille. A luglio 2012 la campionessa annunciò il mancato recupero dell’infortunio e le Olimpiadi sfumarono nel nulla.
Ha raccontato: “E’ stata l’esperienza più dura della mia vita: non sarei potuta mai ritornare a vincere come prima. Ne rimasi fortemente colpita perché all’improvviso fui tagliata fuori dalla vita che conoscevo. Mi sentivo sconfitta in tutti i sensi, non avevo nessuna voglia di avere a che fare con la mia famiglia o con i miei amici: li spinsi via e preferii rimanere da sola in casa dove nessuno poteva vedermi. Non sapevo come gestire questa situazione: non ero più Blanka la migliore del mondo, sentivo di aver perso l’identità, era come se stessi aspettando in una stanza vuota qualcuno che chiamasse il mio nome”.
Le condizioni dell’atleta peggiorarono, la depressione divenne insostenibile.
“A quel tempo non andavo d’accordo con il mio fratello maggiore, Marin. Non eravamo più vicini come lo eravamo in passato e non avevo idea di cosa stesse succedendo nella sua vita, finché un giorno lui non si presentò da me e mi disse: ‘Blanka, sto pregando per te”. Fui scioccata, non era il Marin che conoscevo”.
Anche lui aveva avuto dei grossi problemi di salute (conseguenza del baseball), ma non sapevo che aveva iniziato ad andare a messa.
Iniziò a parlarmi di Dio, della sua conversione, anche lui aveva avuto dei grossi problemi di salute. All’inizio ho eretto un muro, ma lo Spirito Santo era al lavoro, e tutti i muri alla fine sono caduti giù come un castello di carte”.
E’ un momento preciso quello in cui avviene la conversione della giovane atleta, uno di quelli che rimangono ben impressi nella mente: “Non dimenticherò mai quello speciale momento di grazia. Le lacrime scendevano giù da sole e tutto improvvisamente divenne cristallino. Era come se ogni cosa che prima ignoravo, adesso la sapevo. Gesù ha preso posto nella mia anima come un pezzo mancante in un puzzle. Quella notte mi sono addormentata serena e ricordo che avevo un pensiero: qualunque cosa sarebbe successa in futuro, se avessi saltato ancora oppure no, il Signore era con me e non dovevo avere paura. Iniziai così ad andare regolarmente a messa, a confessarmi e a fare la comunione”.
La famiglia di Blanka era, per così dire, una famiglia di ‘credenti’ ma non di ferventi. La fede-tradizione negli anni era andata scemando nel nulla, come spesso accade:
“Sia io che i miei fratelli avevamo ricevuto tutti i sacramenti dell’iniziazione cristiana ma solo di recente mamma e papà si sono sposati in chiesa. La nostra fede era più una tradizione, anzi, dopo la cresima non era più nemmeno quello. Come ogni famiglia, abbiamo vissuto periodi buoni e meno buoni, cercando sempre di rimanere in qualche modo a testa alta. Comunque, senza un solido sostegno in nostro Signore, tendevamo ad emettere giudizi esclusivamente dalla nostra prospettiva, che spesso ci portavano solo ad avere contrasti.
L’onda del cambiamento interiore della campionessa è così dirompente che i suoi effetti si ripercuotono sull’intera famiglia:
“I miei genitori cominciarono per la prima volta a considerare l’idea del matrimonio in Chiesa. La scelta si concretizzò pochi mesi dopo: conoscendo mio padre, che non entrava mai in Chiesa a meno che non vi fosse una grande occasione, per me fu un miracolo vederlo preso dall’entusiasmo di un bambino durante lo scambio delle fedi con mia madre; il più bel matrimonio che io avessi mai potuto immaginare, quel giorno tutti facemmo la comunione… Se solo tre anni prima qualcuno mi avesse raccontato quello che sarebbe successo lo avrei preso per pazzo, ma per Dio nulla è impossibile.
La mia famiglia non è mai stata più unita di ora, ci comprendiamo a vicenda perché ci guardiamo attraverso la prospettiva di Dio, non attraverso i nostri occhi. Mi dispiace molto quando sento parlare male delle famiglie, perché so quanto è bello vivere con intorno l’amore dei familiari.
La mia testimonianza sarebbe incompleta se parlassi solamente di come la famiglia Vlasic ha nutrito una campionessa mondiale; sarebbe incompleta, perché essere numeri uno nel mondo non è una garanzia del successo a cui aspiriamo: solo una famiglia che vive in comunione con Dio è completa, una famiglia che riesce a formare e crescere un campione del mondo agli occhi di Dio.
Alta 1,94 cm, salto record personale di 2,08 metri, occhi verdi, il suo corpo statuario sembra scolpito da un Fidia: guardando Blanka si prova la sensazione di trovarsi davanti ad una roccia, ma la personalità dell’atleta sfida ogni apparenza, rivelandosi con una schiettezza non comune anche nelle sue imperfezioni e nei suoi limiti:
“Noi atleti ci sentiamo forti con il suono degli applausi, ma cosa accade quando gli applausi non ci sono più? Allora siamo davvero felici? Io ho avuto bisogno di riscoprire me stessa, e questo è accaduto solo quando ho trovato Dio anzi, quando mi sono ricordata di Lui…
Non siamo abbastanza forti per fare affidamento su noi stessi, anche se il mondo di oggi promuove questo tipo di pensiero, proclamando ogni altra cosa come una debolezza. Ci è stato insegnato che bisogna nascondere i nostri difetti dietro alla maschera della forza e della fiducia in noi stessi, ma è solo una cortina fumogena che scompare ai primi segnali di difficoltà. Solo quando ci giriamo e guardiamo a Gesù, possiamo trovare il significato della croce, da cui sembriamo costantemente fuggire. Dio non risolve i problemi della nostra vita, ma ci insegna come affrontarli, e tutti i giorni mi insegna come stare dentro ai miei.
Per un atleta che sta sotto i riflettori, la vita è più facile e più completa quando conosci la misericordia di Dio e il suo infinito amore: la percezione che hai è quella di un ritorno a casa”.
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Per ogni approfondimento e per conoscere le storie incredibili di campioni olimpici e paraolimpici, leggi “Campioni di vita” edito da Ares e ZENIT books.