La rinascita di San Tommaso d’Aquino

Un libro racconta dei tentativi di cancellarlo e della sua riscoperta

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di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 6 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Per anni, anche in ambito cattolico, è stato quasi impossibile provare a parlare di San Tommaso D’Aquino. L’Aquinate era considerato antimoderno, dogmatico, illiberale.

Ma proprio nel mezzo del processo di seppellimento del tomismo, alcuni filosofi cercarono di riscoprirlo con una corrente che si chiamò Scuola Neoclassica. Tra questi John M. Finnis, un australiano che insegna Filosofia del Diritto all’università cattolica di Notre Dame, nell’Indiana (USA).

Sul tentativo di seppellire le dottrine che fanno riferimento alla legge naturale etichettandole come superate e logore e sulla sua rinascita, il prof. Tommaso Scandroglio, dottorando di ricerca in Filosofia del Diritto presso l’Università degli studi di Padova e assistente di Filosofia del Diritto e Filosofia Teoretica presso l’Università Europea di Roma, ha scritto il libro “La legge naturale in John M. Finnis” (Editori Riuniti – University press, Roma 2008, pp. 188, euro 14).

In questo saggio l’autore disegna un ritratto sintetico del pensiero di Finnis sulla legge naturale, sottolineando che la ragione ha una natura intrinsecamente pratica, secondo cui il bene deve essere sempre perseguito, il male sempre rifiutato”. Per questo è irrazionale qualsiasi azione che non abbia il bene come scopo.

Scandroglio conclude però che non può esserci morale senza metafisica, e che il senso della vita non si comprende fino in fondo se non si contempla Dio.

Per approfondire un dibattito che non è solo accademico, ZENIT ha intervistato il prof. Tommaso Scandroglio.

Chi è John M. Finnis?

Scandroglio: John M. Finnis, nato nel 1940 a Adelaide in Australia, è un filosofo del diritto che insegna negli Stati Uniti presso l’Università di Notre Dame, nell’Indiana, una delle università più cattoliche degli USA. Le sue lezioni sono affollatissime dai giovani perchè oltre ad essere un apprezzato studioso della legge naturale – passione che coltiva da più di mezzo secolo – è anche un ottimo oratore.

La sua vicenda come ricercatore è assai curiosa. L’ambiente di riferimento, da cui successivamente e parzialmente si distaccò, era quello della filosofia del diritto «analitica» di Oxford, e gli autori che all’inizio del suo percorso intellettuale ebbero maggior influenza furono Herbert L. A. Hart e Joseph Raz. Ai non addetti ai lavori questi nomi possono dir poco. Ma Hart e Raz furono figure di spicco di un cultura filosofica-giuridica che bandiva la metafisica. Ciò a voler dire che parole quali giustizia, bene, male erano prive di senso per costoro. Finnis studiò questi autori e ne divenne un seguace appassionato.

Ma accanto a queste influenze provenienti dal giuspositivismo di matrice anglosassone, incominciò a svilupparsi in Finnis anche un interesse profondo per il pensiero di San Tommaso D’Aquino in merito alla legge naturale. Interesse sostenuto anche dal fatto che egli, da cattolico, non ha fatto mai mistero di riconoscersi seguace degli insegnamenti del Magistero e quindi seguace di tutta quella tradizione filosofica che proprio in Tommaso trova il suo punto genetico.

Nel cammino di avvicinamento al tomismo incontrò altri due «viandanti», che come lui avevano dei trascorsi nell’ambito della filosofia analitica: Germain Grisez e Joseph Boyle. I tre, agli inizi degli anni Sessanta, insieme fondarono – senza un vero e proprio atto formale – una nuova scuola di pensiero chiamata Scuola Neoclassica, alla quale successivamente si aggiunsero altri studiosi.

Un atto di grande coraggio dato che in quegli anni parlare di Tommaso faceva rizzare i capelli in testa non solo agli anticlericali ma persino ai preti che insegnavano nelle università cattoliche e pontificie. Questo perché si pensava che le teorie di Tommaso fossero superate, anticaglie buone solo per i nostalgici. Insomma Finnis inizia la sua avventura da studioso come giuspositivista che riconosce come valide quasi unicamente le norme poste dagli uomini ed approda poi ad una visione giuridica in cui le leggi dello Stato per fregiarsi dell’appellativo di norme giuste devono rispettare i principi della legge naturale. Un bel salto.

Perché questo libro?

Scandroglio: Il pensiero di Finnis sulla legge naturale merita di essere conosciuto ed io ho tentato di offrire al lettore un ritratto sintetico delle sue tesi, anche se non gli ho risparmiato alcuni appunti critici. Finnis va apprezzato almeno per due motivi.

In primo luogo egli recupera le tesi di Tommaso sulla legge naturale. Conoscendo Finnis si conosce Tommaso, cioè si viene in contatto con quella genialità argomentativa del filosofo-teologo del Duecento che ha affascinato così tanti studiosi. Finnis illustra, seppur a suo modo, il pensiero dell’Aquinate sulla legge naturale ed attraverso le sue spiegazioni riusciamo ad immergerci nella stringente logica espositiva del «bue muto» (così era appellato il santo per via della sua stazza e per il fatto che era sempre immerso nei suoi pensieri), assaporiamo tutta la cristallina semplicità delle sue conclusioni, apprezziamo la sua vis polemica nel distruggere le tesi contrarie.

In secondo luogo Finnis cerca, anche se spesso non convince in questo suo intento, di trovare nuove argomentazioni a fondamento degli atti morali, nuove giustificazioni per fondare la morale naturale, più vicine alla sensibilità dell’uomo moderno, così assetato di felicità. Illustrando e commentando criticamente le argomentazioni del filosofo di origine australiana ho quindi tentato di riproporre in chiave nuova alcune tesi tomiste attinenti alla moralità degli atti. Questo perché, forse, le idee di Tommaso sulla morale in salsa Finnis riescono più appetibili per i palati sofisticati dei nostri contemporanei.

Quale è la rilevanza del pensiero di Finnis nel dibattito odierno?

Scandroglio: Finnis tenta – ma a mio modesto avviso non riesce in questo intento – di conciliare un metodo di ricerca proprio della filosofia analitica e un contenuto mutuato da Tommaso D’Aquino sulla legge naturale. In parole povere Finnis vuole provare che esistono norme morali oggettive, universali, assolute, conoscibili, a-confessionali, fondando tutto il suo ragionamento non sulla natura umana e/o su Dio ma bensì affermando una sorta di autoevidenza di alcuni beni fondamentali, descrivendo un altrettanto evidente tensione quasi psicologica di ogni individuo verso tali beni, e soprattutto individuando nella ragione pratica non lo strumento per produrre norme morali, bensì la fonte esclusiva della moralità prescindendo dalla natura umana.

Questa sintesi tra teorie antiche e metodi di studio moderni ha riscosso e continua a riscuotere vivo interesse tra gli studiosi anche di area giuspositvistica. Tra i molti che pensavano che sulla legge naturale non si potesse più dire nulla di nuovo, Finnis appare come il conciliatore di teorie avverse, come un innovatore sul fronte della ricerca scientifica del giusnaturalismo. Insomma grazie a Finnis molti filosofi che gravitano nell’ambito giuspositivista hanno aperto occhi e orecchie sulla legge naturale. E ciò comunque è sempre un bene.

Purtroppo, come ho provato ad illustrare nel libro, il tentativo di Finnis di fondare una morale non sulla metafisica bensì sulla ragione non colloquiante con la natura umana, sui desideri di felicità e sul concetto di evidenza, è destinato a naufragare.

Un altro aspetto interessante della teoria di Finnis che ha attirato l’attenzione degli addetti ai lavori si può riferire alle sue argomentazioni riguardo alla cosiddetta fallacia naturalistica. L’argomento è molto complesso ma cercando di semplificare il più possibile potremmo dire che molti giuspositivisti sostengono che dalla descrizione di un ente – per esempio la natura dell’uomo: come è fatto l’uomo – non si possono derivare le no
rme di condotta di quell’ente – come l’uomo dovrebbe comportarsi.

Dall’essere non si può transitare al dover essere. Finnis, a suo modo e non sempre efficacemente, invece offre delle soluzioni sicuramente innovative a questo dilemma ormai plurisecolare che costituisce uno dei temi più dibattuti all’interno del dibattito odierno e non solo della filosofia del diritto.

Quali sono gli argomenti che proporresti per convincere una persona a leggere questo libro?

Scandroglio: Può sembrare un paradosso ma grazie a Finnis, che predica un morale sganciata dalla metafisica, possiamo capire che non ci può essere morale senza metafisica. Esaminando passo dopo passo le sue tesi sulla legge naturale ci si accorge che se non predichiamo e proviamo la esistenza di una natura umana identica in ogni individuo, non ha senso parlare di etica, di valori condivisi, di diritti fondamentali e non negoziabili.

Finnis – ed è questo credo uno dei suoi meriti maggiori – sa parlare all’uomo di oggi. Egli punta il dito sulla sete infinita di felicità che alberga nel cuore di ogni uomo, sul suo desiderio di realizzarsi compiutamente, sull’esigenza di uno Stato che favorisca e tuteli i beni fondamentali per una convivenza pacifica. Egli quindi sa declinare i principi della legge naturale secondo la nostra sensibilità.

I suoi dardi arrivano sì al bersaglio, ma purtroppo non al centro del bersaglio. Infatti la felicità, il desiderio di realizzarsi nella vita di tutti i giorni, la giusta pretesa di essere governati secondo giustizia devono trovare la loro radice non in terra, così come propone Finnis, ma devono agganciarsi ad un chiodo che si trova in prima battuta dentro di noi, nel nostro intimo, che in termini filosofici potremmo chiamare «natura», e poi in ultima istanza in cielo, cioè in Dio.

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ZENIT Staff

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