ROMA, martedì, 20 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Un Vescovo del nord dello Sri Lanka, al ritorno da un’azione umanitaria realizzata in segreto per aiutare la popolazione nella zona di conflitto, ha chiesto al Presidente del Paese la fine dei bombardamenti contro i civili.
Dopo essersi visto negare l’accesso al distretto settentrionale di Vanni, teatro degli scontri tra le truppe governative e i ribelli, il Vescovo di Jaffna, monsignor Thomas Savundaranayagam, si è recato nella zona in incognito per valutare personalmente la situazione degli abitanti e prendere nota delle loro necessità.
Nella visita, compiuta il mese scorso, ha distribuito gli aiuti di emergenza messi a disposizione da Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), l’associazione caritativa che sostiene i cristiani perseguitati e bisognosi. La sua visita ha coinciso con la ripresa delle ostilità dopo che le forze governative con base a Colombo erano riuscite a controllare Vanni dopo aver conquistato le città di Kilinochi e Parantan.
In un messaggio indirizzato ad ACS per informare sulla distribuzione degli aiuti, il presule ha descritto le ristrettezze che affronta la folla degli sfollati che è dovuta fuggire da villaggi imprigionati tra le linee di fuoco dell’Esercito e dei ribelli, le Tigri Tamil.
Monsignor Savundaranayagam, la cui Diocesi abbraccia il nord dello Sri Lanka (inclusa la penisola di Jaffna), ha anche segnalato che i sacerdoti e le religiose di Vanni stanno convivendo con i laici in piccole capanne e che il clero sta distribuendo gli aiuti di ACS e facendo tutto ciò che è umanamente possibile per assistere la popolazione.
Dopo questo viaggio, il Vescovo ha rivolto un appello urgente al Presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapakse, chiedendo protezione per i civili. Nella sua lettera al Capo di Stato, ha affermato che “il costante bombardamento terrestre e aereo dell’Esercito dello Sri Lanka […] sta provocando morti e feriti tra i civili”.
Monsignor Savundaranayagam ha chiesto al Governo di smettere di attaccare chiese e templi, in cui i civili si rifugiano cercando protezione.
Nella sua lettera ha infatti spiegato al Presidente che le chiese e i templi “sono stati tradizionalmente luoghi di rifugio in momenti di pericolo. Per questo, supplico il Governo di smettere di lanciare colpi di mortaio sui luoghi di culto e di mettere fine al bombardamento aereo di insediamenti civili”.
Il presule ha anche sottolineato il dovere da parte del Governo di aprire un corridoio sicuro per facilitare la fuga della popolazione civile dai luoghi che sono bersaglio degli attacchi.
Allo stesso modo, ha criticato i ribelli perché non facilitano una via di fuga sicura per la popolazione civile.
In un’intervista ad ACS, concessa da Jaffna martedì 13 gennaio, il Vescovo ha spiegato che, nonostante le sue richieste, il Governo non ha smesso di lanciare bombe. Lamentando il costante aumento delle vittime mortali civili provocate dai bombardamenti indiscriminati, ha detto che “risulta difficile fare una differenza tra civili e ribelli a 20.000 piedi di altezza”. Secondo quanto ha segnalato, dopo la lettera al Presidente “non sono state prese misure, e mentre il Governo insiste sul fatto che bisogna liberare la zona […] la gente continua a soffrire”.
Gli sfollati e la popolazione civile locale si sono rifugiati lungo la strada che unisce Parantan a Mullaittivu (A35), concentrandosi principalmente tra Dharmapuram e Puthukudiyiruppu. Monsignor Savundaranayagam ha informato che il Governo ha inviato viveri e medicinali per i civili attraverso la Croce Rossa, precisando anche che molti ospedali sono stati trasferiti e che l’assistenza medica si realizza in luoghi precari.
Il Vescovo si è mostrato estremamente critico nei confronti del conflitto armato, e ha affermato che “una soluzione militare non apporterà mai una soluzione duratura al problema”.
Nel 2006 il Governo ha posto fine alla tregua firmata nel 2002 con la promessa di una vittoria che terminerebbe un conflitto che dura da 26 anni ed è costato la vita ad almeno 70.000 persone. Alla fine dello scorso anno, il tentativo delle Tigri Tamil di assicurarsi un territorio proprio si è visto minacciato quando l’Esercito le ha costrette a ripiegare nell’estremo nord del Paese.