di padre Daniele Moschetti*
NAIROBI, mercoledì, 29 aprile 2009 (ZENIT.org).- Leggendo l’Instrumentum Laboris, documento di lavoro per il sinodo dei vescovi, 2° assemblea speciale per l’Africa, consegnato da Papa Benedetto XVI ai vescovi africani durante la sua prima visita a questo continente, mi aspettavo di trovare riferimenti e analisi più accurate dei vari fenomeni che attanagliano la Perla Nera della Chiesa.
Soprattutto perché il documento rappresenta sia una sintesi del lavoro già svolto nelle varie nazioni ma anche le prospettive future di tutte le conferenze episcopali del continente. In particolar modo ho notato una totale mancanza di riflessione e analisi sul fenomeno dell’urbanizzazione, la sua crescita ma soprattutto le sfide che questo processo di migrazione interna ed esterna sta già portando ai popoli dell’Africa.
Soltanto due fugaci e indiretti riferimenti trattando dell’ambito socio-economico: “……Ne consegue che i giovani dei villaggi, di fronte alla mancanza di una politica agraria, non riescono più a restare nel loro ambiente. La città, però, non è la risposta poiché il tasso di disoccupazione aumenta…….” (25)
E ancora al nr. 26 “….il degrado del tessuto sociale con l’aumento, di conseguenza, del tasso di criminalità, l’allargamento del divario tra ricchi e poveri, l’esodo dalle zone rurali e la sovrappopolazione delle città.”
Eppure la città è sempre stata al centro della dimensione biblica e teologica della Chiesa sin dalle sue origini. Soprattutto nella sua dimensione strategica e metodologia pastorale per gli apostoli, S. Paolo in particolare, ma anche di tutte le prime comunità cristiane.
Bibbia e città
La Bibbia ci annuncia la crescita dell’umanità attraverso la storia di alcuni individui. Questa è la tecnica usata dall’autore della Genesi esplorando il cammino dell’umanità. Dopo la creazione della prima coppia, Adamo ed Eva vivono l’esperienza del peccato che è seguita dalla perdita della comunione con Dio e l’uscita dal giardino dell’Eden. Un secondo passaggio della storia umana è descritto nella relazione tra Caino e Abele. Erano fratelli ma il poco amore tra loro era andato smarrito. Caino finisce con uccidere Abele. Il peccato porta ulteriori divisioni tra la gente e la violenza sembra guidare le loro relazioni. Il figlio di Caino, Enoch, diventa un “costruttore di città”. Da questo momento in poi, la Genesi narra come la città – il luogo del cambiamento, della tecnologia, della modernità, del centro del potere, delle relazioni al di fuori della famiglia – cresce in modo positivo e negativo. Questa crescita raggiunse il suo culmine con la costruzione di Babele. La Bibbia racconta che Babele fu costruita per sfidare il potere di Dio. Un commentario ebraico del tempo di Gesù spiegava che, mentre costruivano l’infame torre, ai costruttori non importava se un compagno cadeva dall’impalcatura e moriva, ma gridavano ferocemente se un mattone si fosse incrinato e spezzato. Un muratore può essere facilmente sostituito; la perdita di un mattone voleva dire uno spreco di tempo nel processo per raggiungere nuove altezze e potere. E’ la logica che impera anche ai nostri giorni: sofferenza, disoccupazione, sfruttamento e morte. Manodopera a basso prezzo e schiavitù per miliardi di persone per l’unico obiettivo per i pochi: l’idolo del profitto a tutti i costi.
Dopo la scomparsa di Babele, la città rimane un luogo fondamentale per la Bibbia. Dal libro della Genesi all’Apocalisse ci sono 1400 riferimenti a nomi di città. E infatti è a Gerusalemme che Dio decide di abitare. E’ nelle città del Medio Oriente che viene deciso il destino delle nazioni. E’ nei palazzi delle città dei Re che si recano i profeti per ottenere conversione e cambiamento.
Anche Gesù ebbe una dimensione cittadina significativa nel suo ministero. Sembrerebbe che i suoi miracoli fossero riservati ai villaggi delle campagne ma al suo tempo c’erano centri importanti di potere economico, sociale e religioso come: Cafarnao, Corazin, Bethsaida, Tiro e Sidone ma soprattutto Gerusalemme. Anche in molte altre città come queste Egli compì la sua predicazione, gesta e miracoli.
In tempi successivi, Paolo e Pietro dovettero fare una scelta. Ambedue decisero di evangelizzare nel cuore dell’Impero Romano. Gli Atti degli Apostoli e le lettere di Paolo ci raccontano con chiarezza come Paolo identificò metodologicamente la città come luogo del suo ministero: Antiochia, Atene, Efeso, Filippi, Corinto e altre. Da qui, la comunità locale si sarebbe estesa nelle aree rurali confinanti. Inoltre, Paolo vide la necessità di rivolgersi al potere della città, proclamando Gesù come Signore e Liberatore di fronte a magistrati, politici, filosofi, e gente d’affari. Infine, sia Pietro che Paolo portarono la loro testimonianza finale a Roma: il centro del potere terreno e la più grande metropoli di quel tempo. Roma, già duemila anni fa, aveva più di un milione di abitanti quando i due grandi Apostoli vi furono martirizzati. Essi avevano scelto Roma perché era la metafora del potere ma anche perché essi sapevano che soltanto evangelizzando il centro di influenza maggiore, il Vangelo poteva trovare fondamenta nella società. Le città, specialmente le grandi città, avevano sempre avuto questo doppio ruolo: centri di potere, di oppressione, ma anche luoghi guida per lo sviluppo e la crescita sia umana che spirituale.
Urbanizzazione in Africa oggi
Oggi l’urbanizzazione si impone fortemente nell’agenda umana. Per la prima volta nella storia del genere umano, la popolazione urbana ha già superato in percentuale la popolazione rurale nel mondo. Tra vent’anni raggiungerà il 60% del totale. Nel 1950, c’erano 86 città con più di un milione di abitanti. Oggi, ce ne sono più di 400. UN Habitat (Nazioni Unite – Studio insediamenti urbani e rurali mondiali), con quartiere generale a Nairobi (Kenya), prevede nel suo report “State of the World’s Cities 2008-2009” recentemente pubblicato che il numero crescerà fino a più di 550 entro 10 anni.
Nel 2050, la popolazione urbana dei paesi in “via di sviluppo” sarà di 5.3 miliardi di persone; l’Asia da sola ospiterà 63% del totale della popolazione urbana nel mondo cioè 3.3 miliardi. L’Africa con 1.2 miliardi di persone, ne ospiterà quasi un quarto della popolazione mondiale. L’attuale popolazione urbana è più numerosa della popolazione del mondo nel 1960.
Ha quindi una grande importanza considerare la città come una nuova arena di evangelizzazione. Soprattutto in alcune aree della città, dove è più evidente che la popolazione degli insediamenti informali (slums, baraccopoli, favelas, barrios) che circondano tutte le grandi città sta crescendo in maniera esponenziale. Oggi, più di un miliardo di persone vive negli insediamenti informali nel mondo. Secondo UN Habitat, il 72% degli Africani residenti nelle città vive nelle baraccopoli e il loro numero è destinato purtroppo a crescere dovuto anche alla crisi finanziaria internazionale che ha colpito i “paesi sviluppati”. Possiamo facilmente immaginare cosa accadeva e cosa succederà nei prossimi anni nei “paesi in via di sviluppo”.
Una strategia per la Chiesa Africana?
Ci si potrebbe chiedere perché porre tanta enfasi sull’evangelizzazione delle città africane, senza però tralasciare l’importante presenza e ministero tra pastoralisti, campagne e foreste. Dopo tutto le città sono luoghi che hanno la più alta concentrazione di ministeri e personale. Per fare un esempio, in Sudafrica, oltre le Chiese storiche e Pentecostali, ci sono più di 4.000 Chiese Africane Indipendenti registrate. Soltanto nel complesso urbano di Soweto (Sudafrica) dove vive oltre un milione di persone, sono rappresentate più di 900 denominazioni. Questo è altrettanto vero per la maggio
r parte delle metropoli e città secondarie in Africa. Tuttavia, il solo numero delle istituzioni religiose non dice molto circa la loro reale influenza sulla realtà delle città. Molte chiese, in realtà “sette religiose”, sono un affare personale o famigliare. Sono una fonte di reddito e – anche se gestite con buone intenzioni – hanno poco interesse al di là di radunare la gente e guadagnarsi da vivere. La maggior parte di questi gruppi di fede mancano di impegno sociale, politico, formazione ai diritti del cittadino e attenzione agli ultimi. Predicano un Vangelo di personale liberazione dal peccato, di salvezza interiore, promuovendo infine una alienazione dalla realtà. Coloro che sono disperati a causa della loro situazione sociale trovano in queste “chiese-sette” la sicurezza di un futuro migliore in Dio. Coloro che vogliono tranquillizzare la loro coscienza trovano la garanzia che essi non sono socialmente colpevoli, dal momento che si rivolgono direttamene al Signore. Questa è religione che diventa oppio dei popoli.
La Chiesa deve invece essere presente in maniera autentica e creativa nella città, e specialmente negli insediamenti informali dove vive la stragrande maggioranza della popolazione, per promuovere la crescita integrale della persona. Questo significa che questioni finanziarie, etiche, sociali, politiche e religiose devono essere studiate e prese in considerazione insieme, forti di una spiritualità incarnata nella realtà quotidiana per proporre cammini di giustizia, riconciliazione e pace all’interno di città che diventano sempre più invivibili. Le città e le loro periferie diventano sempre più luoghi dove si scatenano le più efferate violenze sia criminali, etniche, sessuali e politiche. La persona al centro della proclamazione di Gesù non è una persona distrutta da bisogni primari. Tutti i bisogni e aspirazioni sono parte integrante della persona e vanno considerati in maniera olistica. Si deve proclamare una salvezza integrale e l’azione si deve rivolgere a tutte queste realtà e restituire alla gente la dignità perduta. Una breve visita a qualsiasi slum di Nairobi, Johannesbourg, Lusaka o Lagos, dà una triste immagine delle disumane condizioni in cui vivono milioni di persone. La mancanza di servizi di base – acqua, condizioni igieniche, salute, educazione, spazio – si combina con la mancanza di lavoro e l’alto tasso di criminalità e illegalità. Appena a pochi chilometri di distanza, pochi godono uno stile di vita uguale a quello dei più ricchi del mondo. Nairobi ne è l’esempio. La città ha una popolazione di 4 milioni di abitanti, 2,5 milioni dei quali vivono in oltre 200 baraccopoli – che coprono meno del 5% del territorio dell’intera area urbana. La maggior parte della terra usata dai residenti dello slum appartiene al governo e alle autorità locali. Tuttavia, con la complicità di funzionari governativi, privati cittadini e speculatori hanno assunto il controllo della terra e imposto affitti incredibilmente alti e costringere la gente che migra verso le città a vivere in case improvvisate e fatiscenti.
Non c’è dubbio che le città dell’Africa hanno bisogno di udire la Buona Novella liberatrice di Gesù Cristo ma hanno anche bisogno di vedere testimoni e toccare con mano e fede che le comunità Cristiane sono impegnate ad occuparsi del cambiamento religioso, sociale, politico e culturale. Una sfida che il prossimo sinodo dei vescovi africani deve prendere in seria considerazione per un vero e profetico futuro al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.
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*Padre Daniele Moschetti è un missionario comboniano, che vive e lavora nella baraccopoli di Korogocho, alla periferia di Nairobi (Kenya).