L’audacia di Paolo VI

Tornielli racconta il Concilio e la storia di un Pontefice tormentato

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di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 26 giugno 2009 (ZENIT.org).- Molti lo ricordano come un grande Papa, per altri è stato debole e involuto. Papa Paolo VI, il Pontefice che guidò il Concilio Vaticano II, il Vescovo di Roma che soffrì le accuse dei suoi amici pur di difendere il primato di Pietro e il magistero in difesa di vita e famiglia, è raccontato dal Vaticanista e inviato speciale de Il Giornale, Andrea Tornielli,  nel volume dal titolo “Paolo VI. L’audacia di un Papa” (Mondadori, pp. 722, euro 28).

Si tratta di una biografia, basata su una notevole quantità di documenti assolutamente inediti ritrovati in archivi non ancora esplorati dagli studiosi in Italia e all’estero, e su memoriali e testimonianze di prima mano dei principali collaboratori del Papa.

Tornielli racconta in modo approfondito e completo l’intera esistenza di Giovanni Battista Montini, dalla nascita fino alla morte, in un contesto storico che va dal 1897 fino agli anni di piombo del 1978.

Una vita segnata da tante delusioni, ma affrontata con il coraggio e la certezza della fede in Gesù Cristo.

Nel suo ultimo anno di vita il Pontefice Paolo VI assistette all’assassinio di Aldo Moro, con la sofferenza di sapere che tra i brigatisti coinvolti nel rapimento c’era il figlio di un dipendente vaticano da lui ben conosciuto, del quale aveva celebrato il matrimonio.

Per meglio conoscere la storia di un Pontefice di cui è in corso la causa di beatificazione, ZENIT ha intervistato Andrea Tornielli. 

Per una parte del mondo cattolico e anche per una certa pubblicistica Paolo VI è stato un Papa debole, introverso, amletico, mentre per altri è stato eroico e profetico, riuscendo a tenere unita la Chiesa in anni difficilissimi. In seguito alle ricerche da lei condotte che cosa può dire in proposito?

Tornielli: Il cliché del Papa amletico e dubbioso è smentito dai fatti e dai documenti. E’ vero che il pontificato di Paolo VI è stato tormentato, difficile, perché oltremodo difficili erano i tempi che si vivevano, fuori e soprattutto dentro la Chiesa. Ma in Papa Montini non è mai venuta meno la difesa attenta e puntuale del depositum fidei: si ricorda oggi soltanto l’enciclica “Humanae vitae”. Meritano però di essere ricordati gli interventi autorevolissimi in difesa della presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, in difesa della tradizione del celibato sacerdotale, così come il Credo del Popolo di Dio pubblicato in un momento di grande confusione interna al mondo cattolico. Davvero si può definire eroico il suo pontificato.

Il Concilio Vaticano II ha segnato profondamente il pontificato di Papa Montini. Ma, come emerge anche dal suo libro, Paolo VI fece delle scelte forti, soprattutto alle fine del Concilio, che delusero i suoi stessi sostenitori. Il Cardinale Léon-Joseph Suenens per esempio, grande amico e confidente di Montini, ne divenne poi nemico acerrimo soprattutto in occasione della pubblicazione dell’ Humanae Vitae, l’enciclica che respingeva la contraccezione. Che cosa era accaduto?

Tornielli: E’ indubbio che molti suoi amici lo abbandonarono. Molti di coloro che avevano contribuito alla sua elezione lo criticarono, anche pubblicamente, quando Paolo VI assunse posizioni che non andavano nel senso sperato da una certa corrente progressista. Ciò sorprende non poco, perché fu proprio Papa Montini che guidò la “nave” del Concilio, portandola in porto senza fratture e praticamente all’unanimità, e poi perseguendo in modo fermo e tenace l’applicazione delle riforme conciliari, contrastando al tempo stesso sia le immotivate spinte in avanti, sia quelle nostalgiche in senso contrario. Paolo VI è stato un Papa fedele e al tempo stesso audace: ha riformato la Curia romana, ha portato avanti la riforma liturgica, ha svecchiato la corte pontificia, ha inaugurato i viaggi internazionali, ha fatto molto sul piano ecumenico aprendo una stagione nuova nel rapporto con le altre confessioni cristiane… Ma ogni qual volta vedeva messa in gioco o in discussione la tradizione, il depositum fidei, ciò che c’è di essenziale, interveniva senza paura di andar contro alla pubblica opinione, alle correnti più rumorose e influenti, ai suoi stessi amici, come avvenne nei casi che ricordavo prima. 

Nel capitolo relativo ai rapporti tra il Pontefice e il Concilio Vaticano II, lei racconta di scontri relativi al problema della denuncia dei regimi comunisti e del tentativo di relativizzare il primato di Pietro attraverso forme conciliariste. In entrambi i casi il Pontefice assunse posizioni nette che ribadivano il magistero, creando malumori tra alcuni che parevano amici di Paolo VI.  Potrebbe spiegare che cosa avvenne?

Tornielli: Nel primo caso, Paolo VI si trovò ad ereditare una decisione al riguardo presa dal predecessore. Nel libro pubblico una lettera inedita del cardinale Tisserant a Serge Bolshkoff, il mediatore di un incontro con il metropolita russo Nikodim avvenuto nell’agosto 1962 a Metz, nella quale il porporato – che conduceva la trattativa su mandato di Giovanni XXIII, spiega: “la Chiesa ci ha sempre guadagnato quando è rimasta nel terreno che le è proprio, che non è quello della politica”. La commissione preparatoria del Concilio proponeva di non toccare direttamente temi politici, Papa Giovanni desiderava che al Concilio vi fossero i rappresentanti della Chiesa ortodossa russa e dunque vi fu una sorta di rassicurazione. Quando poi in Concilio centinaia di padri chiesero la menzione esplicita e la condanna del comunismo, la petizione non fu fatta arrivare in aula, fu detto a causa di problemi procedurali. In ogni caso la responsabilità non è di Paolo VI. Mentre è suo l’intervento che – tenendo conto delle preoccupazioni di chi temeva che nel testo della Costituzione dogmatica Lumen Gentiun vi fossero espressioni che avrebbero dato adito a interpretazioni diverse – volle intervenire facendo collocare d’autorità una Nota previa al testo, nella quale si spiegava che il collegio dei vescovi agisce con Pietro e sotto l’autorità di Pietro.

Lo stravolgimento di valori e di concezione dell’individuo conosciuto come il “68” colpì anche la Chiesa, tanto che Paolo VI, il 29 giugno 1972, durante l’omelia disse “Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”. A che si riferiva il Papa?

Tornielli: Si riferiva al pensiero non cattolico penetrato dentro al cattolicesimo, si riferiva alla liturgia mal celebrata, agli abusi contro la sacralità del rito. Si riferiva agli abbandoni dei preti, dei religiosi e delle religiose. Si riferiva a una mentalità che mettendo tutto in discussione, finiva per travolgere la Chiesa stessa.

Nel libro lei sostiene che nonostante la bufera che infuriava fuori e dentro la Chiesa, Paolo VI riuscì a tenere unita la barca di Pietro, senza cedere alle pressioni del mondo secolarizzato. Quali sono gli argomenti che sostengono questa affermazione?

Tornielli: Paolo VI guidò la nave durante la tempesta. Non assecondò le spinte incontrollate in avanti né quelle frenanti all’indietro. Aveva a cuore l’unità della Chiesa. Propose la verità cattolica e la difese, pur cercando il dialogo con il mondo. Ma il dialogo, per Paolo VI, non è mai stato un fine, bensì un mezzo. Ci si apriva al mondo, si dialogava con tutti, per testimoniare Gesù e farlo conoscere con linguaggio nuovo e più adeguato ai tempi. Una fede da proporre e non da imporre, libera, certa e proprio per questo interessata ad ogni espressione dell’umano. “Non si salva il mondo dal di fuori”, ebbe a scrivere nella sua prima enciclica programmatica. Il fine però era quello di annunciare Gesù Cristo.

Ancora oggi alcuni autorevoli prelati e qualche Cardinale sostengono che i problemi sollevati al Concilio, quali la liceità o meno della contraccezione, la comunione per i divorziati, il celibato dei sa
cerdoti, la gestione condivisa del primato di Pietro, la denuncia del comunismo, la pratica della liturgia antica, sono da risolvere con un approccio diverso da quello indicato dal Concilio Vaticano II. L’attuale Pontefice Benedetto XVI sembra di idea esattamente opposta. Sembra quindi che i cosiddetti progressisti critichino il Concilio e quelli che alcuni hanno indicato come conservatori lo difendano. Qual è la sua opinione in proposito?

Tornielli: Ritengo che il Concilio debba ancora essere bene compreso e applicato. E mi colpisce quella che Benedetto XVI chiama “ermeneutica della riforma” nella continuità della tradizione. Con il Vaticano II non è cambiata la fede, veniamo da una storia lunga duemila anni, che si sviluppa, che fiorisce, che cammina con difficoltà. Cambiano i modi di approccio alla realtà, i linguaggi, gli atteggiamenti, non la sostanza di un messaggio che non dipende da noi. Il 12 giugno 1966, Paolo VI spiegava: “Non dobbiamo staccare gli insegnamenti del Concilio dal patrimonio dottrinale della Chiesa, sì bene vedere come in esso si inseriscano, come ad esso siano coerenti, e come ad esso apportino testimonianza, incremento, spiegazione, applicazione. Allora anche le ‘novità’ dottrinali, o normative del Concilio appariscono nelle loro giuste proporzioni, non creano obbiezioni verso la fedeltà della Chiesa alla sua funzione didascalica, e acquistano quel vero significato, che la fa risplendere di luce superiore”.

E’ in corso la causa di beatificazione di Paolo VI. Sulla base di quanto ha studiato e scritto, che cosa ne pensa?

Tornielli: Penso che Paolo VI abbia esercitato in modo eroico le virtù cristiane. Non sta a me giudicare, ma credo che la causa meriti di andare avanti.

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ZENIT Staff

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