di Jesús Colina
CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 27 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Dal suo osservatorio privilegiato, Daniela Frank, direttore esecutivo del Consiglio Cattolico dei Mezzi di Comunicazione (CAMECO), può comprendere come pochi altri le sfide che la Chiesa cattolica affronta nell’era dela comunicazione.
Il CAMECO, con sede ad Aquisgrana (Germania), è un ufficio di consulenza e assistenza nel settore delle comunicazioni per Africa, America Latina, Asia e Pacifico, Europa dell’Est.
Il Consiglio opera da 40 anni fornendo assistenza diretta ai responsabili di progetti di comunicazione e collaborando con le agenzie di cooperazione della Chiesa in Europa e nell’America del Nord che offrono aiuto ai mezzi di comunicazione.
Daniela Frank traccia un bilancio e una prospettiva del lavoro in questa intervista concessa a ZENIT in occasione del suo soggiorno a Roma per partecipare all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, del quale è consultore.
Voi analizzate centinaia di progetti di comunicazione cattolici. Potrebbe segnalarci il “peccato originale” dei media cattolici, dal punto di vista professionale e tecnico? Perché sulla scena mondiale, ad esempio nella televisione, non c’è oggi un grande media cattolico anche se avrebbe un pubblico potenziale di un miliardo di persone?
Daniela Frank: E’ molto difficile trovare una risposta che copra la grande diversità delle realtà dei media cattolici in contesti tanto differenti come l’Africa, l’America Latina, l’Asia o l’Europa dell’Est. Un problema mi sembra il fatto che molti responsabili sottovalutano il dinamismo, la complessità e la professionalità del mondo delle comunicazioni in cui anche i media cattolici devono muoversi e competere. Per attirare (e mantenere) il pubblico non è più sufficiente “essere cattolico”.
Anche il pubblico interessato alle posizioni della Chiesa, che vuole vedere e ascoltare programmi religiosi o i messaggi che derivano dalla dottrina sociale della Chiesa e condivide la nostra visione dell’essere umano, cerca programmi attraenti e interessanti, capaci di competere con i prodotti professionali di molti media commerciali. Non basta la buona volontà del sacerdote o dei laici impegnati a gestire e sostenere una rivista, una radio o una rete televisiva cattolica. Fare comunicazione è un compito professionale, e per questo dobbiamo aumentare le nostre capacità per poter offrire le notizie in modo attraente.
Un altro “pericolo” delle comunicazioni cattoliche, a nostro avviso, è il fatto di pensare più ai “mezzi” che alla “comunicazione”. L’aspetto importante è spesso stabilire e avere un mezzo proprio, una radio, una rivista, un canale televisivo… e solo in seguito si pensa ai programmi, al finanziamento delle operazioni, alla formazione del personale. Si potrebbe invece riflettere per prima cosa sui destinatari della nostra comunicazione e sui contenuti che li potrebbero attrarre, per poi definire i canali e i formati più idonei. Pensare in modo più “strategico” continua ad essere una grande sfida per noi comunicatori cattolici.
Un problema importante dei mezzi di comunicazione cattolici è l’autofinanziamento. L’informazione religiosa non è quella economica, sportiva o di intrattenimento. In questi casi è pià facile pagare per utilizzarla. C’è una soluzione a questo problema?
Daniela Frank: Il finanziamento delle comunicazioni cattoliche è un tema urgente in tutto il mondo. Per i media elettronici, la pubblicità è quasi l’unico modo per ottenere entrate significative, un’opzione che spesso i superiori ecclesiali rifiutano o che (in vari Paesi) la legge non permette. Un’altra opzione sono le donazioni individuali o (per i media nel Sud o in alcune parti dell’Europa dell’Est) i sussidi da parte delle agenzie di cooperazione. Ci sono anche Diocesi che dedicano una parte del loro budget alla radio o ad altri mezzi di comunicazione diocesani perché hanno un ruolo pastorale fondamentale.
Sostenere un mezzo di comunicazione cattolico è senz’altro una sfida enorme ed è una sfida per crescere nella “responsabilità condivisa”, una responsabilità che include la gerarchia locale, i fedeli e altri che si identificano con questo mezzo. Non ci sono soluzioni facili né soluzioni che funzionano in qualsiasi contesto, ma possiamo constatare che iniziative con produzioni creative, destinatari ben definiti e basi sociali solide affrontano questa sfida più facilmente. Dobbiamo essere più creativi, dobbiamo crescere nell’impegno (che è possibile solo se siamo convinti che il nostro mezzo offra davvero un servizio importante e qualificato) e dobbiamo liberarci dai pregiudizi contro il mondo commerciale. Possiamo imparare molto dai media commerciali che hanno successo senza copiare semplicemente le loro azioni.
Nei Paesi in via di sviluppo ci sono molte iniziative di comunicazione cattoliche e pochi mezzi. Queste realtà possono approfittare della vostra attività professionale di consulenza e aiuto? Come?
Daniela Frank: Assistere le Chiese locali di Africa, America Latina, Asia ed Europa dell’Est è di fatto la ragion d’essere del CAMECO, fondato 40 anni fa per sostenere le agenzie di cooperazione dell’Europa Occidentale e dell’America del Nord nel processo decisionale sulle richieste di iniziative di comunicazione. Al margine dei progetti, include quasi tutta la varietà delle comunicazioni, dal teatro dei burattini alle piattaforme Internet e alla televisione via satellite.
Assistiamo circa 500 progetti all’anno, e più del 40% è proposto direttamente dagli incaricati dei progetti stessi, che ricercano il nostro aiuto nella pianificazione strategica delle loro iniziative, per l’aiuto allo sviluppo organizzativo o la formazione del personale, o per coordinare assistenza e valutazione in loco. Molti contatti si svolgono soprattutto per posta elettronica o Skype, ma visitiamo anche i progetti o – nel caso in cui sia necessaria un’assistenza più ampia e dettagliata – cerchiamo esperti esterni che possano organizzare laboratori e accompagnare i processi di cambiamento.
Qualsiasi incaricato di un’iniziativa di comunicazione che voglia consultarci può contattarci direttamente al CAMECO, ad esempio per posta elettronica. Per ulteriori dettagli, invitiamo a consultare la nostra pagina web www.cameco.org.
Viviamo nell’era della società dell’informazione e della comunicazione, ma molti pensano che la Chiesa sia ancora all’epoca di Gutenberg. In base alla sua esperienza, com’è possibile far scoprire a Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici la gravità della situazione?
Daniela Frank: C’è una grande apertura ai cambiamenti nel mondo delle comunicazioni. Credo che come Chiesa siamo entrati già da molti anni nel mondo della comunicazione audiovisiva – radio, video, televisione. In America Latina già dagli anni Cinquanta e Sessanta la Chiesa è stata in molti Paesi una delle istituzioni più attive nella radio. In Africa solo da 10 o 15 anni c’è la possibilità legale di istituire radio della Chiesa.
E’ evidente che nella gran parte delle regioni del mondo per comunicare con la gente bisogna essere presenti nei mezzi audiovisivi a causa dell’analfabetismo, dei problemi di trasporto dei quotidiani stampati, delle tradizioni orali, ecc. La Chiesa risponde con decisione a questa situazione, senza dimenticare il ruolo dei media scritti in varie culture per certi gruppi di destinatari.
La grande sfida di oggi sono i nuovi media interattivi, soprattutto Internet, e le prospettive di collegare vari canali come radio, televisione e piattaforme Internet. Bisogna tener conto del fatto che i responsabili delle comunicazioni della Chiesa non sono “nativi digitali”, ma forse “nativi migranti”, che scoprono passo per passo le dinamiche delle nuove tecnologie. C’è sempre un certo rischio di essere “contro” ciò che è nuo
vo, sconosciuto, ma c’è anche un crescente numero di Vescovi che si muove facilmente in questo mondo e così apre le porte della Chiesa per approfittare di tutti i canali di comunicazione per compiere la nostra missione nel mondo di oggi.
Per ulteriori informazioni, www.cameco.org
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]