di Nieves San Martín
BUENOS AIRES, lunedì, 3 maggio 2010 (ZENIT.org).- Al termine della sua 99ma Assemblea Plenaria, alla fine del mese di aprile, la Conferenza Episcopale Argentina ha reso pubblico un comunicato indirizzato “al popolo di Dio e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà”, in cui si concentra sulla famiglia affermando che “spetta alle autorità pubbliche tutelare il matrimonio tra uomo e donna mediante le leggi”.
I presuli argentini ricordano che Dio ha stabilito con l’uomo un dialogo di salvezza e che “la Chiesa è chiamata a estendere questo dialogo alla convivenza umana”. “La chiarezza del dialogo richiede un discernimento per riconoscere la verità, sulla quale noi pastori non possiamo tacere”. Ciò, ovviamente, “non presuppone disprezzo né discriminazione”, precisano.
Allo stesso modo, affermano che l’immagine di Dio si riflette “non solo nella persona individuale, ma si proietta nella complementarietà e nella reciprocità dell’uomo e della donna, nella comune dignità e nell’unità indissolubile dei due, chiamata da sempre matrimonio”.
In questo senso, segnalano che “il matrimonio è la forma di vita in cui si realizza una comunione singolare delle persone, e questa concede senso pienamente umano all’esercizio della funzione sessuale. Alla natura stessa del matrimonio appartengono le qualità menzionate di distinzione, complementarietà e reciprocità dei sessi, e l’ammirevole ricchezza della sua fecondità”.
Il matrimonio, segnalano, “non è un’unione qualsiasi tra le persone; ha caratteristiche proprie e irrinunciabili, che ne fanno la base della famiglia e della società. Così è stato riconosciuto nelle grandi culture del mondo. Così riconoscono i trattati internazionali assunti nella nostra Costituzione Nazionale. Così ha sempre inteso il nostro popolo”.
Per questo, “spetta alle autorità pubbliche tutelare il matrimonio tra l’uomo e la donna con la protezione delle leggi, per assicurare e favorire la sua funzione insostituibile e il suo contributo al bene comune della società”.
Secondo i Vescovi, “se si concedesse un riconoscimento legale all’unione tra persone dello stesso sesso, o venisse messa su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio e della famiglia, lo Stato agirebbe erroneamente ed entrerebbe in contraddizione con i propri doveri, alterando i principi della legge naturale e dell’ordinamento pubblico della società argentina”.
I presuli hanno spiegato che “l’unione di persone dello stesso sesso manca degli elementi biologici e antropologici propri del matrimonio e della famiglia. E’ assente da essa la dimensione coniugale e l’apertura alla trasmissione della vita. Il matrimonio e la famiglia su di esso fondata, invece, sono la casa delle nuove generazioni umane. Fin dal loro concepimento, i bambini hanno il diritto inalienabile di svilupparsi nel grembo materno, di nascere e crescere nell’ambito naturale del matrimonio. Nella vita familiare e in relazione al padre e alla madre, i bambini scoprono la propria identità e raggiungono l’autonomia personale”.
I Vescovi osservano che “constatare una differenza reale non è discriminare. La natura non discrimina quando ci fa uomo o donna. Il nostro Codice Civile non discrimina quando richiede il requisito di essere uomo o donna per contrarre matrimonio; riconosce solo una realtà naturale. Le situazioni giuridiche di interesse reciproco tra persone dello stesso sesso possono essere sufficientemente tutelate dal diritto comune. Sarebbe quindi una discriminazione ingiusta contro il matrimonio e la famiglia concedere al fatto privato dell’unione tra persone dello stesso sesso uno status di diritto pubblico”.
Per questo, i presuli fanno appello “alla coscienza dei nostri legislatori perché, decidendo su una questione così grave, tengano conto di queste verità fondamentali, per il bene della Patria e delle sue generazioni future”.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]