Torna l’eutanasia in Germania?

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di Renzo Puccetti*

ROMA, lunedì, 28 giugno 2010 (ZENIT.org).- Un altro passetto della traballante civiltà occidentale verso l’auto-demolizione sembra essersi svolto nella città tedesca di Karlsruhe dove ha sede il Bundesgerichtshof, la Corte federale di giustizia tedesca, presieduta dal giudice Ruth Rissing-van Saan, che ha deliberato in favore dell’avvocato Wolfgang Putz, esperto in diritto sanitario.

Il caso risale al 2007 quando la signora Erika Küllmer, 71enne in stato vegetativo dall’ottobre 2002 dopo essere stata colpita da emorragia cerebrale, morì per “cause naturali”, come stabilito dalla perizia autoptica, due giorni dopo che la figlia, per rispettare le volontà espresse in precedenza dalla madre, dietro consiglio legale di Wolfgang Putz aveva reciso con le forbici il sondino alimentare davanti agli occhi del proprio fratello che peraltro si suiciderà dopo pochi mesi.

Secondo la corte tedesca il caso non costituiva un atto illecito in quanto il comportamento messo in atto configurava la fattispecie del rispetto delle volontà “chiaramente espresse” dalla donna nel 2002 e non costituiva una condotta eutanasia, ma piuttosto sanciva il ripristino del “naturale” corso degli eventi.

La vicenda si intreccia da un lato con la modifica del 1 settembre 2009 della legge che regolamenta la figura dell’amministratore di sostegno in cui è stato riconosciuto l’istituto del testamento biologico scritto vincolante, oppure un succedaneo di esso costituito dalla individuazione delle “volontà presunte” del paziente ricostruite sulla base di “indizi concreti”.

Riguardo all’aberrante caricatura del concetto di autonomia sotteso a tale legislazione mi sono espresso più volte e non è qui il caso di ritornavi sopra in modo dettagliato.[1];[2] Non stupisce quindi che il ministro della giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger abbia salutato la sentenza come una vittoria dell’auto-determinazione e della dignità nella morte, concetto che faccio fatica a separare dall’altro concetto così di moda una settantina di anni fa nello stesso paese, le lebensunwertes lebens (vite indegne di essere vissute).

La vicenda rimanda peraltro anche al modello di testamento biologico presentato congiuntamente dal Cardinale Karl Lehmann per la Conferenza Episcopale Tedesca e dal Presidente ecclesiastico Manfred Kock in quanto Presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania. In tale documento erano affermati due punti.

1) Su di me non devono essere prese misure di prolungamento della vita, se secondo scienza e coscienza medica viene verificato che qualsiasi misura di sostegno vitale sarebbe senza prospettiva di miglioramento e prolungherebbe soltanto la mia agonia.

2) Anche qualora Lei disponga di non desiderare misure di prolungamento vitale nella fase della morte, una cosiddetta “assistenza di base“ viene di principio attuata e in questa rientra anche “l’appagamento della fame e della sete (cfr. i “Princpî dell’Ordine federale dei medici sull’accompagnamento medico alla morte” del 1998). Se l’alimentazione artificiale tramite un sondino naso-gastrico, per bocca o per via gastrointerica (la cosiddetta sonda PEG) o per fleboclisi rientri alla fine della vita nell’“assistenza di base”, va deciso da caso a caso.

Un soggetto in stato vegetativo da cinque anni è difficile che lo si possa definire in stato agonico (agonia è termine che rimanda alla lotta estrema con la morte). La sua nutrizione ed idratazione ha tutti i criteri per essere ritenuta un’assistenza di base.

Quindi le procedure eseguite nel caso in questione non sembrano essere assolutamente in linea con quelle raccomandate dalla conferenza episcopale tedesca.

Pur condividendone le preoccupazioni, non è molto chiaro il senso del commento alla sentenza Putz espresso dalla Conferenza Episcopale Tedesca: “è determinante una differenziazione fondamentale tra eutanasia attiva e passiva. Essa rappresenta un sussidio etico indispensabile per decidere e ci sembra che non sia stata sufficientemente considerata ai fini della sentenza. Temiamo che questa situazione complessa possa determinare in seguito delicati problemi etici”.[3]

Non si comprende infatti se la differenziazione tra eutanasia attiva e passiva sia dai vescovi tedeschi attribuita alla sola corte, oppure se sia un concetto che i vescovi tedeschi pensano di fare proprio. A tale proposito conviene ricordare il passaggio sull’argomento del documento della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede del 1980 conosciuto come Iura et Bona: “Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati”. Si tratta di una definizione che quindi non limita la valutazione etica all’esteriorità dell’atto, ma lo radica nel suo fine intrinseco (finis operis). L’interruzione di un presidio di sostegno vitale può quindi costituire un atto eutanasico, ma anche un atto dovuto per non incorrere in cure sproporzionate per eccesso. Non esiste quindi un’eutanasia attiva/commissiva cattiva ed un’eutanasia passiva/omissiva buona.

Ci aiuta a comprendere bene il concetto il bioeticista di Princeton Paul Ramsey: “Per comprendere quale trattamento sia obbligatorio abbiamo solo bisogno di capire quale trattamento sia medicalmente indicato. […] Un approccio basato sulla qualità della vita sposta erroneamente il centro dal se i trattamenti sono benefici per il paziente al se le vite dei pazienti sono benefiche per loro stessi”.[4]

Per comprendere poi come l’assimilazione di auto-determinazione e rispetto delle volontà anticipate sia il frutto di una lettura della realtà sicuramente imprudente, quando non asservita all’ideologia, citerò il caso che le cronache giudiziarie indicano come il caso “Marjorie Nighbert”.[5]

Nel 1992 Marjorie Nighbert, un’attiva donna d’affari dell’Ohio, designò il fratello come fiduciario nel caso avesse perso la capacità di decidere. Secondo l’avvocato di famiglia Marjorie affermò che in caso di malattia terminale non avrebbe voluto essere alimentata col sondino. Alcuni anni più tardi, mentre era in visita ai familiari in Alabama, a causa di un ictus, diventò incapace di deglutire e di comunicare efficacemente. Fu così trasferita nella casa di cura Crestview Nursing and Convalescent Home in Florida dove i familiari speravano potesse essere aiutata a riprendersi, ma così non avvenne. Maynard, il fratello di Marjorie, dopo poco chiese ed ottenne dalla corte che le fosse rimosso il sondino per la NIA. Marjorie non soffriva però di una malattia terminale, era viva, aveva fortissime difficoltà a comunicare, ma riuscì comunque ad implorare che le fosse dato cibo ed acqua. Alcuni membri dello staff sanitario, mossi a compassione dalla richiesta di acqua dell’anziana donna, iniziarono a dargliene un po’ di nascosto, finché uno di loro, che poi verrà licenziato per questo, raccontò i fatti all’esterno.

Attraverso l’interessamento di alcuni volontari pro-life, fu aperta un’indagine statale e si giunse ad una richiesta temporanea di rialimentazione. Il caso tornò di nuovo di fronte alla corte dove il giudice Jere Tolton diede appena 24 ore al curatore speciale, l’avvocato William F. Stone, di verificare se Marjorie fosse competente per revocare la delega al fratello.

Con solo 24 ore di tempo il povero curatore speciale affermò che la paziente in quel momento, dopo settimane di malnutrizione e disidratazione, non era competente, ma egli, come curatore, non era in grado di stabilire se la donna era competente al momento in cui la disidratazione aveva avuto inizio.

La corte sentenziò che Marjorie non era competente per annullare il precedente living will, cosicché Marjorie fu lasciata mori
re di fame e di sete. Prima che il curatore potesse appellarsi Marjorie morì il 6 aprile 1995 a 83 anni. Una storia drammatica che può fare riflettere gli entusiasti sostenitori del testamento biologico.

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* Il dottor Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.

1) A. Gaspari. Il testamento biologico può indurre all’abbandono delle cure? Zenit, 17-11-2009. http://www.zenit.org/article-20361?l=italian

2) R. Puccetti. A 40 anni dal primo testamento biologico, è ancora eutanasia. Zenit, 8-11-2009. http://www.zenit.org/article-20230?l=italian

3) Agenzia SIR, 25 giugno 2010, ore 17,52.

4) Ramsey. Ethics at the edges of life. New Haven; Yale University Press, 1978 p. 155-172.

5) Smith WJ. Culture of death: The Assault on Medical Ethics in America. Encounter Books Editor, San Francisco (Ca), 2000. pp. 70-71.

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ZENIT Staff

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