di Paul De Maeyer
ROMA, giovedì, 10 marzo 2011 (ZENIT.org).- Numeri che parlano. Gli ultimi scontri a sfondo interreligioso avvenuti martedì 8 e mercoledì 9 marzo nella capitale egiziana Il Cairo hanno provocato secondo il ministero della Sanità e le Forze armate almeno 13 morti e 140 feriti. Ma il bilancio è probabilmente più pesante. Fonti dell’agenzia Fides (10 marzo) parlano oggi infatti di 14 giovani cristiani uccisi.
La tragedia è scoppiata quando un migliaio di copti del quartiere povero di Moqattam (o Mokattam), situato ai piedi delle omonime colline a sudest del Cairo, ha organizzato una manifestazione di protesta contro la distruzione di una chiesa copta nel villaggio di Sol, nei pressi di Atfih, nel governatorato (provincia) di Helwan, a sud della capitale, avvenuta nella notte tra venerdì 4 e sabato 5 marzo. Circa 4mila musulmani avevano assaltato la comunità cristiana del villaggio e raso al suolo la chiesa di San Mina e San Giorgio, facendo esplodere almeno cinque bombole del gas all’interno del luogo di culto (ZENIT, 7 marzo).
La protesta è degenerata quando i manifestanti copti hanno bloccato alcune grandi arterie stradali, che collegano il sud della capitale con il centro e in particolare con l’ormai nota piazza Tahrir, cioè il cuore della recente protesta anti-Mubarak. A questo blocco hanno reagito alcuni musulmani salafiti (un movimento radicale di stampo conservatore, che promuove ad esempio l’applicazione della sharia o legge islamica) di un quartiere vicino, Sayeda Ayisha, che hanno affrontato i manifestanti copti con violenza “inattesa” (Avvenire, 10 marzo).
Secondo il portavoce dell’organizzazione Egyptians Against Religious Discrimination, Mounir Megahed, è probabile che dietro gli scontri si celi la mano dei servizi di sicurezza egiziani. “Alcuni rapporti diffusi di recente hanno dimostrato i legami stretti fra l’apparato di sicurezza e il movimento salafita”, ha dichiarato Megahed (Al-Ahram, 9 marzo), facendo riferimento al coinvolgimento dei servizi segreti nell’attentato suicida contro la Chiesa dei Due Santi ad Alessandria d’Egitto, che il 1° gennaio scorso provocò decine di vittime. La stessa ipotesi era già stata ventilata nei giorni scorsi dal missionario comboniano, padre Luciano Verdoscia, che lavora da anni in Egitto (Fides, 7 marzo).
Emblematiche sono le parole usate dalla guida suprema della Fraternità musulmana, Mohamed Badie, eletto nel gennaio 2010, che ha parlato di “tentativi dei residui del vecchio regime, il Partito Nazionale Democratico (PND) e la Sicurezza di Stato, di riaccendere le discordie in questo delicato momento” (Avvenire, 10 marzo).
Una cosa sembra certa. Secondo alcune testimonianze raccolte dal Washington Post (10 marzo), l’esercito egiziano ha lasciato correre. Prima di disperdere la folla e porre fine alla battaglia in piena regola fra copti e musulmani, sarebbero trascorse almeno quattro ore. L’esercito sarebbe d’altronde l’unico responsabile delle vittime.
“L’esercito ha sparato sui copti e noi abbiamo i proiettili a dimostrarlo”, ha detto un sacerdote della chiesa della Santa Vergine di Moqattam, padre Yohanna (Avvenire, 10 marzo). “Sono stati uccisi tutti da colpi di arma da fuoco, anche i feriti sono stati raggiunti da proiettili”, così ha affermato il sacerdote copto Semaane Ibrahim, la cui testimonianza è stata raccolta da La Repubblica.it (9 marzo). Secondo l’agenzia Reuters (9 marzo), almeno una delle vittime – un cristiano diciottenne – è stato colpito alle spalle.
La violenza dimostra anche il livello di rabbia e di frustrazione in seno alla stessa comunità copta, specialmente tra i più poveri, come appunto gli abitanti della cosiddetta “città della spazzatura” o Manshiyat Naser (anche Mansheya), che sorge a Moqattam. Secondo quanto riferito da AsiaNews (9 marzo), gli abitanti di Manshiyat Naser, in passato presi di mira dalla violenza musulmana, hanno contribuito a far degenerare la manifestazione. Lo ha confermato anche padre Verdoscia, che in alcune dichiarazioni a Fides ha parlato ieri dello spirito “bellicoso” di diversi cristiani copti.
“Siamo stufi delle promesse. Vogliamo azione”, ha detto uno degli abitanti del quartiere, il quarantacinquenne Osama Ezet, che per le sue consegne utilizza un carretto trainato da un asinello (Washington Post, 10 marzo). Gli abitanti dell’agglomerato o baraccopoli sono gli “zabbalin” o “zabbaleen”, ovvero i raccoglitori dell’immondizia di suor Emmanuelle, la religiosa franco-belga nota come la “piccola suora degli straccivendoli”, morta nell’ottobre 2008 all’età di 99 anni.
Alle varie manifestazioni contro la distruzione della chiesa di Sol partecipano d’altronde anche musulmani. Uno di loro – il trentasettenne Ahmed Moustafa – aveva il Corano in una mano e una croce di legno nell’altra. “Sono venuto qui perché non vogliamo conflitti settari”, ha detto l’uomo. “I musulmani e i cristiani sono uniti”, ha aggiunto (Washington Post, 10 marzo).
Per padre Nabil Fayez Antoun, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in Egitto, “la rivoluzione dei giovani ha scatenato le diverse forze che sono presenti nella società egiziana, così come si stanno presentando tutti insieme i diversi problemi che da tempo affliggono l’Egitto. Inoltre la situazione economica è molto critica. Insomma stiamo vivendo una fase molto confusa dove è difficile orientarsi. Speriamo comunque che prevalga la ragione sulla violenza” (Fides, 10 marzo).
Sugli ultimi episodi di violenza settaria si è pronunciato anche l’ex segretario generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), Mohamed El Baradei. In un messaggio Twitter, il noto politico egiziano e premio Nobel per la Pace 2005, ha condannato il rogo della chiesa di Sol come un “tragico crimine”, che rispecchia “valori distorti”.
Secondo El Baradei, che proprio ieri ha annunciato che si candiderà alle prossime presidenziali, “la demolizione di una Casa di Dio è un crimine contro l’umanità, uno che viola i valori della rivoluzione del 25 gennaio, di cui i più importanti sono la tolleranza e l’eguaglianza” (Al-Masry Al-Youm, 09 marzo). Per El Baradei, il giorno della caduta di Hosni Mubarak – l’11 febbraio scorso – è stato d’altronde il “più bello della sua vita”.
Anche il Grande Imam della moschea ed università di Al-Azhar – uno dei maggiori centri d’insegnamento dell’islam sunnita -, Ahmed El-Tayeb, ha denunciato in un comunicato la distruzione della chiesa copta di Sol, definendo l’azione una “distorsione dell’islam” (AsiaNews, 10 marzo).