La verginità ha sempre la meglio nel matrimonio

Vangelo della IV Domenica del Tempo Ordinario

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, giovedì, 26 gennaio 2012 (ZENIT.org).- 1Cor 7,32-35 

Fratelli, io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato, invece, si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!

Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.”.

Mc 1,21-28

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, a Cafarnao, insegnava.(…). Ed ecco,..vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”. La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.”.

Nella sua “Introduzione alla vita devota”, san Francesco di Sales, Dottore della Chiesa (1567-1623), afferma che la messa in pratica del Vangelo (ciò che intendiamo con “devozione”) è possibile e doverosa in tutti gli stati di vita del battezzato, nessuno escluso: “E’ un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati”.

Il santo vescovo di Ginevra, dopo aver esemplificato alcuni stati particolari di vita cui corrisponde un modo proprio e legittimo di seguire il Signore, conclude: “la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa”.

Il messaggio è chiaro: in ogni condizione umana si può e si deve testimoniare Gesù Cristo.

Queste parole ci aiutano a comprendere la seconda Lettura.

Paolo, rispondendo alle domande dei Corinzi, aveva dichiarato apertamente di preferire la verginità al matrimonio: “Sei libero da donna? Non andare a cercarla” (1Cor 7,27). Egli ha iniziato a parlare dei due stati di vita con un’affermazione sorprendente, certamente da non prendere alla lettera: “è cosa buona per l’uomo non toccare donna” (1Cor 7,1).

L’apostolo prende qui posizione sulla questione se sia lecito o meno per un cristiano avere relazioni sessuali (“toccare donna”), vale a dire cosa sia preferibile davanti a Dio: sposarsi o non sposarsi? Egli ha già escluso in modo categorico la “porneia” (i rapporti prematrimoniali), ed ora confronta la condizione degli sposati con quella delle persone vergini.

L’affermazione: “chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato, invece, si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!” (1Cor 7,32-34), non intende mortificare lo stato coniugale nel confronto con la verginità consacrata.

Per Paolo, tutti i credenti, uomini e donne, sposati o no, devono impegnarsi a vivere il proprio stato di vita come dono e compito universale di santità, in Cristo.

Certo, agli sposati non mancheranno le loro specifiche “preoccupazioni”, con una certa fatica a vivere in pienezza la relazione con il Signore; ma i rapporti sessuali sono legittimi e santificanti, purché nessuno dei due sposi ne faccia un uso egoistico.

In tal senso, la preoccupazione fondamentale dei coniugi non deve essere quella del “sì/no” all’atto sessuale, ma del “sì” alla verità di esso davanti a Dio.

E la verità del rapporto coniugale è questa: Dio vuole che i due siano “una carne sola” (Mt 19,4-6), e che lo siano in maniera “verginale”, cioè con purezza di cuore e con purezza di amore.

Puro è il cuore che nel dono di sé desidera anzitutto la felicità dell’altro, senza strumentalizzare il rapporto sessuale per il proprio piacere; puro è l’amore, donato e ricevuto, che riconosce in Dio la sua Fonte ed obbedisce ogni giorno alla sua volontà e verità.

E’ lo spirito dei coniugi che non deve essere “impuro”, fa intendere Paolo, ben sapendo che la concupiscenza della carne, anche nel matrimonio, è tentazione diabolica e peccato grave, poiché contraddice radicalmente il significato sponsale inscritto dal Creatore nel corpo.

Passando ora al Vangelo, comprendiamo che l’egoismo sessuale coniugale, anche se condiviso, è per il matrimonio una rovina essenzialmente “diabolica” (‘diavolo’ è l’altro nome di satana, colui che ‘divide’), causa di profonda, dolorosa separazione dell’anima del marito dall’anima della moglie, anche nell’unione dei loro corpi.

In conclusione, mi servo qui ancora di san Francesco di Sales: sia la devozione di chi non è sposato, sia quella di chi è sposato, sono vere e giuste davanti a Dio, purché, nei due diversi stati di vita, ugualmente chiamati alla santità, ognuno, anche “nelle cose del mondo” anzitutto si preoccupi “delle cose del Signore” (1 Cor 7,32-33), vale a dire di star facendo la volontà di Dio in tutte le sue azioni.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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