MACAO, martedì, 23 agosto 2011 (ZENIT.org).- La lettura della raccolta degli scritti in materia di liturgia e musica di Joseph Ratzinger (Volume XI dell’Opera Omnia ma primo significativamente ad essere pubblicato), oggi Papa Benedetto XVI, mi offre spunti veramente interessanti di riflessione, chiavi di lettura di un momento non facile nella vita liturgica della Chiesa cattolica. In effetti, l’attuale Papa ha attraversato gli ultimi decenni da protagonista, come teologo, Cardinale, Prefetto e ora Pontefice. Egli è stato ed è osservatore privilegiato dei vari sviluppi che si sono susseguiti negli ultimi decenni. A pag. 573, per esempio, dove tratta del “Fondamento Teologico della Musica Sacra”, egli riporta delle osservazioni molto interessanti citando due notissimi teologi, Karl Rahner e Herbert Vorgrimler e la loro lettura della Sacrosanctum Concilium in materia specificamente di musica per la liturgia:
“Nell’edizione tedesca dei testi del Concilio Vaticano II, curata da Karl Rahner e Herbert Vorgrimler e largamente diffusa, il breve commento del capitolo della Costituzione su ‘La Sacra Liturgia’ riguardante la musica è introdotto dalla sorprendente osservazione secondo cui l’arte autentica, come essa si trova nella musica sacra, ‘a causa della sua natura esoterica nel senso buono della parola’ sarebbe ‘difficilmente conciliabile con la natura della liturgia e con il supremo principio della riforma liturgica’”.
Certo, questa affermazione ha sorpreso anche me e io penso che merita una breve considerazione. In effetti ci troviamo sempre di fronte ad un problema ermeneutico, sul come interpretare i testi. Ma in questo caso, mi sembra veramente che ci sia una deriva del senso stesso del testo della Costituzione conciliare che in realtà come tutti sanno, afferma praticamente il contrario. Cioè che il patrimonio della musica liturgica deve essere salvaguardato ed incrementato (114). Ma a proposito di questo punto, i due insigni teologi suggeriscono che non va inteso come se ciò debba avvenire nell’ambito della liturgia. Così in me si fa largo una domanda impellente: dove dovrebbe essere salvaguardato ed incrementato? Provo ad immaginare lo scenario suggerito dai teologi: in realtà i padri conciliari avrebbero suggerito nel punto 114 che la musica liturgica tradizionale deve essere conservata al di fuori della liturgia, magari nei concerti (ma perché incrementarla?) ma non ha più posto nella liturgia. Ma perché i padri conciliari semplicemente non hanno detto questo con chiarezza, ricorrendo ad una frase che sembra suggerire il contrario? Già, perché se poi quella frase è letta insieme a quelle sul canto gregoriano, sulle Scholae Cantorum, sulla formazione, sull’organo, si deve ammettere che l’interpretazione degli illustri teologi si fa veramente ardita.
Ma qual è il problema della musica liturgica tradizionale? Essa è “esoterica” (nel senso buono della parola, però), non accessibile alla gente semplice. In realtà qui mi sembra ci sia un problema con cosa si intenda per “accessibile” e sul ruolo della musica nella liturgia. Essa non è lì per trasmettere “informazioni” o dilettare, ma è lì per elevare colui che ascolta ad una maggiore contemplazione del Mistero che viene celebrato. Così la sua funzione è esattamente non di abbassarsi al livello in cui siamo ma di elevarci al livello in cui dovremmo essere. Certo non adempirebbe questa funzione se essa fosse cervellotica o banale. Ma questo non è il caso della grande tradizione musicale della Chiesa cattolica e di coloro che ancora scrivono musica per la liturgia, anche in lingue diverse dal latino, con l’intento di elevare con il potere della musica alla contemplazione delle realtà soprannaturali. I teologi di cui sopra suggeriscono che dovrebbe essere impiegata la musica d’uso, il linguaggio a cui siamo quotidianamente sottoposti, la musica pop. Ma la liturgia non dovrebbe essere una porta verso l’altrove? Perché si cerca di naturalizzare tutto? Certamente l’impiego della musica cosiddetta d’uso nella liturgia si configura come un abuso, nei confronti della stessa musica pop che ha una funzione diversa e nei confronti della natura della liturgia e del principio supremo della riforma liturgica che è la partecipazione ma alle realtà significate dalla liturgia, non a quelle che noi significhiamo.
Io potrei chiede rispettosamente agli illustri teologi: ma i vostri scritti, così densi e difficili alla lettura, non sono anche essi di élite e al di fuori della gente comune? Loro mi risponderebbero che non scrivono per la gente comune ma per altri specialisti e che per comunicare alcuni concetti necessitano di un linguaggio specialistico. Ecco, perché questo non è vero anche per l’arte nella liturgia? Certo essa è per tutti, ma non nel senso di livellamento al basso (poi si dovrebbe capire cosa significa oggi gente semplice ma questo porterebbe lontanissimo…). Per comunicare certi concetti hai bisogno di un linguaggio altro. Ma al contrario dello scrivere in modo criptico deve ancora essere dimostrato che la musica liturgica intesa nel senso tradizionale non comunichi anche alla gente cosiddetta semplice. Quello che vedo io è che la Chiesa nel corso dei secoli ha voluto offrire ai suoi figli semplici e non il dono prezioso della bellezza nella liturgia. Come ogni Madre farebbe per coloro che ama.
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*Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. E’ professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute, la Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. E’ socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l’ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.